giovedì 8 dicembre 2011

Claudio Di Scalzo: Alla Nada al seno che m’allattò e all’altro, la nostra nave - 11

   

CDS: "La nave della Nada e di Accio" - 8.XII.2011
(Alla sarta Nada Pardini mia madre, ore 15,30)


I SENI CHE ALLATTARONO IL FIGLIOLO DELLA NADA

La  “Nave della Nada e di Accio” partì dal porto in un freddo inverno quando nacque il bambino a cui venne dato il nome Claudio. Che in latino vuol dire claudicante. Ma Lalo e Nada non lo sapevano che aggiungevano un peggiorativo  a chi di cognome era già scalzo. Più tardi sarebbe arrivato il il soprannome Accio  a complicare le cose. Intanto il bambino nato di sette mesi è talmente piccolo che sta in una scatola di scarpe, dice il padre, che somiglia a un personaggio dei romanzi di Jack London ed è esplicito. Rude. Sembra un coniglio spellato, aggiunge. E la Nada non avrà certamente gradito. Perché allora di sette mesi si moriva. Però il su figliolo  ce la fece. Anche se puppava da un capezzolo solo perché l’altro non funzionava alla madre. E anche qui c’è un sigillo. Secondo la spiccia filosofia psicoanalitica  del Pazzo son sempre stato poco fedele in coppia perché cercavo l’altro seno.  
Mi sei costato tanto crescerti, diceva la Nada, ecco perché sto sempre in pensiero per te, che  ti ficchi sempre nei guai, mi preoccupo che tu non sfaccia quanto ho fatto. Aveva una sua logica. Le monellerie da bambino, le ribellioni con Lotta Continua, i viaggi fitti come grandine, gli incidenti d'auto,  le fidanzate, poi il lavoro tra i monti, e via via sempre complicazioni. Per una madre un figlio lontano, vedova, del Grande Lalo, non sarà stato facile. E allora, quando tornavo, la sarta Nada, in delle buste, con la sua grafia un po’ stentata, da quinta elementare, mi lasciava i suoi consigli e pensieri sul comodino. Comprese quelle dove mi racconta del suo cuore malato. Di questo ultimo anno. Ho conservato tutte le buste e i biglietti. Oggi da alcune buste ho ricavato le vele di una nave. E le ho fatto una dedica.  Gli è costato tanto allattarmi!, crescermi, e amo pensare che il seno a cui non puppai, me lo sono inventato da solo, e questa è un'impresa da Accio, un seno bello tornito e caldo  e florido come il suo,... ed era, è, quello della Poesia.

"Tu voi esse hamato pe i tui lati peggio da Accio ma questo lo fa solo chi intende le matite  e  penna che tieni fra le mani fin da bambino...e lo so che non l'ai mai trovata"

"Quando torni portami i dischi di quella cantante che si chiama come me... di Livorno... che mi garba ascoltarla tanto"

Claudio Di Scalzo
8.XII.1952


Il figliolo della Nada, Accio




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MANUTENZIONE DELLA DATA DI COMPLEANNO

NADA

Ti troverò

http://www.youtube.com/watch?v=CQC__BLht0g&feature=related

8.XII.1952 - Buon Compleanno Claudio Di Scalzo detto Accio... da Paolo Fatticcioni detto il Pazzo. 9




CDS: "Accio e il Pazzo sulle Mura di Lucca... la rivelazione della malattia"




E' FINITA LA COLLA

-La ricordi Accio… la storia della Colla che è finita?
-Sì! la ricordo… e intuisco cosa mi vuoi dire.
-Sono un manifesto che non sta più su alcun muro… Ma non ho paura Accio, che sia finita la colla...
-Lo so.
-Verrà anche per me il momento che la colla finirà…
-Spero non con le sofferenze che provo. Fai sapere a chi sappiamo che sono stato un uomo forte. E che l’ho ricordata fino alla fine.
-Lo farò.
-…e un giorno racconta di noi due. Compreso di quella che non scelse.
-Te lo prometto. Prima che la colla finisca anche per me... lo farò.
-Ora vai. La prossima volta potrei non avere parola. E senza parola non voglio mi vedi. Abbracciami.
-E’stata una bella avventura la nostra amicizia…
-La migliore che potevamo vivere.
-Addio Accio,… compagno matto.
-Addio Pazzo,… compagno matto.

Si può morire anche così. Questa storia di un uomo, di un barbiere di gran talento, vale mille volte le morte illustri in un letto letterario o suicidi per nevrosi. Aspiro ad una vita non-illustre così, ad una morte non-illustre con questo coraggio quando finirà per me la colla... Che Il Pazzo sia al mio compleanno non deve sorprendere nessuno. I vivi spesso non bastano e solo i Morti sono amici su cui puoi contare.

          
             
CDS: "Accio e Il Pazzo sulle Mura di Lucca..."


Paolo Fatticcioni (1948-2005) è stato il più grande amico della mia vita. Più grande di me di quattro anni. Ci siamo ritrovati, dopo esserci conosciuti ragazzi in Bonifica (e ciò lo racconterò altrove), quando apparve in Lotta Continua di Vecchiano. Ad inizio anni Settanta. Con lui inaugurai una sorta di militanza rivoluzionaria debitrice più che di Marx e Mao del Burlator di Siviglia e di Casanova. Di giorno in sede tra falci e martello. E la sera e notte nelle sale da ballo di Viareggio. Bussola compresa. Una sorta di doppia vita. Se fosse venuto il Comunismo saremmo finiti in un Gulag! immediatamente. Come decadenti ed individualisti. Eravamo molto ludici. Non ci facevamo mancare niente. Viaggi. Caccia di frodo. Ristoranti. Soldi spesi a casaccio. Incidenti d’auto. Essendo due figli unici cercavamo nell’amicizia quel tocco di fraternità che rende anche complici. Avevamo due madri leggermente possessive fra l’altro. Per i loro “bimbi”. Sempre giustificati anche per azioni non proprio da ricordare. Spesso verso le donne. Abbiamo avuto anche, come nel film sul Mucchio Selvaggio, interpretato da Paul Newman e Robert Redford, che narra la storia di Butch Cassidy e Sundance Kid, ed Etta Place... la stessa donna: Daniela Cantelli. Non abbiamo mai saputo chi amasse di più. Tra noi due. Volemmo pensare che per disperazione scegliesse un terzo uomo. Ma forse non era così. Semplicemente era meglio di noi due. Più serio. Più affidabile. Ci voleva poco ad esserlo. Ci consolavamo dei nostri disastri sentimentali dicendoci che allegre e in divertimento come con noi due, anche se sposavano altri, non sarebbe più capitato loro. Chissà se era vero. Di certo questo nostro“vivere” ci teneva lontani dai militanti seri, dai borghesi tranquilli, e anche dagli artisti con l’etica della “correttezza nei rapporti d’amore”. Questo groviglio dovrò scriverlo prima o poi.
   
Ho sempre pensato, ma forse è un’autoassoluzione, da tanti fallimenti, che se ci fossero stati più comunisti come Accio e Il Pazzo forse sarebbe stato possibile mettere su un qualche comunismo decente. Per certo, due come noi, non hanno avuto il problema di pentirsi del loro “comunismo”. Il Pazzo è morto comunista alla sua maniera e anch’io, quando sarà finita la colla, avrò lo straccetto rosso nel taschino. Ce l’ho anche per il mio compleanno, domani, otto dicembre 2011.

"E’ finita la colla” , come metafora di un presente di vacanza o di disimpegno da un lavoro più serio nacque dall’arguzia di un falegname di Nodica, paese accosto a Vecchiano, di cui non ricordo il nome, a cui mancavano alcune dita perse sul lavoro. Forse faceva di cognome Baglini. Era comunista militante dell’allora PCI. Questo compagno ci vedeva spesso, anche a sera tardi, attaccare manifesti e striscioni, e la colla era la fenomenale A-Z 15 usata per carta da parati. Che si scioglieva in acqua a meraviglia. Una sera, Baglini, ci scoprì al Circolo Arci. C’era quasi tutta Lotta Continua della sezione “Vecchiano e paesi” e in quattro giocavamo a carte, un poker, tesi come funi verso il piatto. Il compagno passò e sorridendo ironicamente sibilò: "è finita la colla!?" Come a dire… vi vedo impegnati in qualcosa di non proprio rivoluzionario... forse è finita la colla. E i manifesti o son stati appiccicati o lo saranno! Io e il Pazzo restituimmo il sorriso. Capendo che il militante del PCI ora aveva una forte arma polemica verso gli estremisti. L’ironia di averci scoperti parecchio "borghesi". Il bis avvenne alcuni giorni dopo, in un ristorante scic, di Viareggio, dove il Baglini portava alcuni prodotti della sua campagna, ci vide, me e il Pazzo mentre eravamo serviti e riveriti con pietanze a base di pesce,... ci guardò ancor più sarcastico… "E’ finita la colla compagni?"

La sua battuta fece il giro di quelli che si occupavano di politica. E alcuni ci guardavano con simpatia ma altri no. E fu usata una settimana dopo… e stavolta non proprio amichevolmente… uscendo dal Principino di Piemonte con due amiche, non proprio proletarie,… un vecchianese, ahimè solitario nella sua domenica… ci disse aspro dietro le spalle: “Compagni di Lotta Continua… è finita la colla?”. - Cosa vuol dire Colla? Chiesero le ragazze. - Poi ve lo spieghiamo… abbiamo due identità. E anche con loro cominciò la nostra stravagante storia. 


E’ finita la colla… tornerà in uno dei nostri ultimi incontri. Tanti anni dopo. E’ il 2005 e il Pazzo è malato grave di cancro. Alla gola. La sua malattia me l’ha rivelata qualche mese prima sulle Mura di Lucca. Siamo in casa sua. Sta sdraiato sul divano.
- Come stai Paolo?
- E’ finita la colla Accio: Sono un manifesto che non può più essere attaccato. Andava meglio quando giocavamo a poker od uscendo dal Principe di Piemonte? Ricordi?
E intanto fumava, “...io alla malattia non la do vinta".


   
MANUTENZIONE DI UNA DATA DI COMPLEANNO

Il cantante preferito di Accio e del Pazzo preferito era Willy De Ville.... 

HEAVEN STOOD STILL


http://www.youtube.com/watch?v=ioxeqbQCvMo


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Sul weblog TELLUSFOGLIO a questo link: "Anonima: Piccolo Requiem per Paolo Fatticcioni" anche l'elenco delle altre pubblicazioni:

http://claudiodiscalzotellusfoglio.blogspot.com/2011/06/anonima-piccolo-requiem-celeste-per.html

Che qui viene riproposto:
(Scelta di narrazioni dedicate a Paolo Fatticcioni detto Il Pazzo)



L'ULTIMA VOLTA...

http://claudiodiscalzotellusfoglio.blogspot.com/2010/04/claudio-di-scalzo-lultima-volta-con.html



LA RIBELLIONE LIBERTINA


http://claudiodiscalzotellusfoglio.blogspot.com/2010/02/la-ribellione-libertina-del-barbiere-di.html



UNA SERA SUL LAGO...

http://claudiodiscalzotellusfoglio.blogspot.com/2010/05/accio-e-il-pazzo-un-sera-sul-lago-di.html


LA RADIO LIBERA CON IL PAZZO E WILLY DEWILLE

http://claudiodiscalzotellusfoglio.blogspot.com/2010/06/willy-deville-i-call-your-name-per.html


TORNANDO DA VIAREGGIO

http://claudiodiscalzotellusfoglio.blogspot.com/2010/04/tornando-da-viareggio-con-immigrant-son.html


IL PAZZO E ACCIO E SILVIA COMOGLIO A CACCIA DELCINGHIALE

http://claudiodiscalzotellusfoglio.blogspot.com/2011/03/claudio-di-scalzo-il-pazzo-e-accio-e.html




                    

sabato 5 novembre 2011

Golem e Mara Zap: Dal Ponte Carlo a Kampa, dagli occhi dolci al Vdolek

                              
                                            
CDS: "Isola di Kampa", 1982



 DAL PONTE CARLO A KAMPA, DAGLI OCCHI DOLCI AL VDOLEK

Un universo intero di pensieri (siamo idealisti trascendentali  sul Ponte Carlo?) transita in noi due dalle mani che si stringono agli occhi che si guardano. Non me ne rendo conto del va e vieni unita come sono al Golem poderoso, ma già lampeggia il sospetto per dopo. All’Isola di Kampa, pochi metri più avanti sarà lo stesso incanto?  Se un granello d’equilibrio  venisse meno, una pulsazione d'amore fallisse, precipiterei nella realtà del bisticcio, degli ingranaggi fuori fase tra la mia logica che Tutto puntualizza, ferrea, e quella del Golem che Tutto svicola. Creta e ferro van d’accordo? – Beata acqua che mulino muove senza darsi pensiero!
Golem dobbiamo  fare la spesa... per domani domenica, va bene Polévka, zuppa di cavolfiori, Uzené,  maiale arrosto, birra Staropramen? E poi Vdolek, dolce con ribes e panna montata?
Cribbio, Mara,… ma cosa ti succede a novembre?  

PRAGA - 5 NOVEMBRE 2011



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SMETANA - VLTAVA

http://www.youtube.com/watch?v=Wwd51vB7Uow





NOTA

Le avventure del Golem e di Mara Zap sono un Graphic Poem a cui mi dedico dalla primavera del 2010.  





   
  
  

lunedì 10 ottobre 2011

Claudio Di Scalzo: Scoperta Epocale. Da "Tutto l'amore che c'è". Con due varianti di poco conto.



                                       Cds "Scoperta epocale presa per mano e alla lettera"






Nel 2003, la mia amica Daniela Marcheschi, mi chiese una poesia per la sua antologia einaudiana, "Tutto l'amore che c'è". Le girai "Scoperta epocale". La trovate a pagina 49. Tra Lodovico Leporco di "Come un'aringa fiamminga ovver saracca" e "Storia  naturale" di Giampiero Neri

E' una delle poche volte, a parte certe rivistine ciclostilate degli anni Settanta, che ho accettato di essere antologizzato. Ieri, aggirandomi nella Biblioteca domestica, ho aperto a caso il libro e scoperto che, appena ricevuta la copia, vi avevo fatto una piccola aggiunta, che propongo; forse la manina di gomma l'avevo trovata in un pacchetto di patatine. Credo completi la poesia, in modo assolutamente realista. Mi preme ricordare che leggendola ai miei studenti ho ricevuto da loro la qualifica di "Prof poeta" e che questa "scoperta" è stata a lunga usata come sms sui cellulari tanto che la TIM anni addietro mi dono molto schede gratuite e la possibilità di fare un viaggio con destinazione a scelta, tra varie isole esotiche, che non ho mai fatto.





CDS, 10 ottobre 2011




                                                  
Einaudi, 2003, antologia. Euro 14,50




Rileggere la poesia, scoprire l'aggiunta con la manina a far da iniziale al mio nome, mi ha suggerito, un'ulteriore glossa, per la mia tomba, da scrivere sulla lapide quando morirò. E questo regalo me lo faccio ad ottobre.


Quando un amore
finisce male
è come se un mare precipitasse
in un bicchiere
a decantare tesori che nessuno
vuol più vedere

Ora da morto
ricordando questa terrestre verità
sono nell’universo a capovolgere quant'era storto
l'amore infelice in gioiosa eterna immensità

CDS



 

sabato 27 agosto 2011

Libertario Di Scalzo detto Lalo e Figlio detto Accio: La filosofia del cancello verde. II

    

Libertario detto Lalo e Claudio detto Accio - 17 luglio 2011



CARI LADRI QUI SOLDI NON CI SONO…


Cari ladri… in questa casa di soldi non ce ne sono. La porta è aperta. Come lo è il cancello verde fatto a scala. Se avete fame nella dispensa c’è pane fresco e salame. Se siete mussulmani c’è una forma di pecorino. Il vino bianco è in frigorifero e sul tavolo quello rosso. La frutta sulla tovaglia, senza veleni, è del mio campo alla Barra. Nella stanza accanto ci sono i libri del mio figliolo, Accio. Se vi piace leggere prendete quelli che volete tanto lui li ha già letti. E’ un compagno come me e quanto prendete potete tenerlo.
Non mi svegliate andando via perché domattina presto vado col camion a caricare la paglia in San Rossore. Col fresco si lavora meglio. Saluti”.

Questo cartello sulla porta di casa lo mise mio padre Lalo. La versione che so io. Altre me ne hanno raccontate. Prendeva in giro la paura negli anni novanta dei ladri, tutti albanesi o slavi o zingari secondo la vulgata del sospetto contro i diversi. Ma scherzava anche con la Nada per niente rassicurata da un cancello verde così facile da scalare. Mi ricordava con affetto per i libri letti e come compagno. Questo vale molto per me. E’ una prosa umoristica che traspare il suo anarchismo umanista. Oggi, diciassette luglio 2011, una storia orale incontra la mia trascrizione scritta on line. Per questo siamo assieme davanti al cancello in camicia bianca e lineamenti consegnati all’ombra dell’essere, io e lui, due sconfitti. Nei tempi che corrono. Nelle avventure che ci riguardarono. Dove molto perdemmo inventando la “filosofia del cancello verde”.


Libertario Di Scalzo detto Lalo e Figlio Claudio detto Accio

17 luglio 2011





Libertario Di Scalzo detto Lalo e Figlio Claudio detto Accio: La filosofia del cancello verde. I

       

                                        Libertario detto Lalo e Claudio detto Accio - 17 luglio 2011




LA FILOSOFIA DEL CANCELLO VERDE, I


Le filosofie di vita sono tante. Da quelle esistenzialistiche alla Sartre a quelle del fornaio del giorno per giorno lievitate la notte. La mia è “La filosofia del cancello verde”. E l’ho elaborata in un racconto con foto, di mio padre Libertario Di Scalzo detto Lalo, il 17 luglio 2011. Come sia possibile che mio padre morto il 12 giugno 1995, possa stare in questa estate in posa davanti al suo cancello, non so dirlo, ma essendo un’ombra forse ciò è possibile con le risorse dell’avanti e indietro della letteratura.

Mio padre dopo le ripetute insistenze della Nada - che in questi giorni mi ha dato la sua versione sul cancello, ricavandone lietezza per il suo cuore medicalizzato in visite mediche che tanta ansia le danno - si decise a mettere un cancello davanti a casa. Per dare alla moglie una maggiore sicurezza con la chiave la sera sul mobiletto d’ingresso. Visto che lui, giocatore di carte, tornava parecchio tardi. “Ma lo faccio io il cancello e a modo mio”, esclamò Lalo. Mia madre era perplessa, paventò un disastro nelle saldature, però mio padre fu irremovibile. S’inventava saldatore e fabbro. “Un camionista come me sa fare tutto”, disse. “E muro anche le colonnine su cui poggiarlo”. Aggiunse spavaldo. Mia madre lo lasciò combinare quello che voleva. “Il cavallo matto di razza va fatto correre come vuole”. Proverbio che poi mi è stato trasmesso in eredità. Dalla Nada: dal marito al figlio. In più la larghezza da coprire con un cancello era ampia. Perché lì ci passava il camion OM 42 che veniva parcheggiato nel fienile sul fondo della viottola. Dove ora, nella foto, si vede un ombrellone e una porta dopo il pino il noce e la magnolia. La casa abitabile un tempo era più piccola essendoci a lato il fienile dove il camion riposava i carburatori. E la mia licenza elementare non fu, a dieci anni, prendere un foglio di carta, ma saper parcheggiare dalla strada, entrando, il camion OM 42, al volante. Con Lalo che si divertiva a guidarmi lungo le ruote, dicendomi: spostati a mare, Accio, spostati a monte, per dirmi vai a destra vai a sinistra. Se è così che si diventa anche artisti so chi ringraziare.

Lalo lavorò tanti giorni con grande lena, saldò anche senza occhiali scuri un paio di volte, facendosi diventare gli occhi rossi come una bestia sotto il sole estivo. E colorandolo verde perché “l’erba a primavera rinasce di questo colore e non muore mai” completò il cancello, e la sua teoria di fabbro e camionista libertario. Creando naturalmente malumore e litigi con la Nada per niente rassicurata.

“Il cancello ha barre orizzontali. Come una scala. Il verticale non mi piace. Se anche il cancello è chiuso chi vuol venire a trovarmi, ci sale con facilità, e salta dall’altra parte. Mi chiama ed entra. La tavola è apparecchiata. Io stesso se torno tardi dal bar della piazza, se è chiuso, perché te Nada vuoi stare serrata, ci monto sopra, abbacco, e vado di là. Dei ladri non preoccuparti, un cancello così gli fa capire che trippa per i gatti in casa non ce n’è”. Il mi’ babbo, aveva inventato il “cancello che cancello non era”. Per questo sta fotografato con me in nera ombra sabbiosa e camicia bianca davanti alla sua opera che è anche la mia. Siamo fotografati il 17 luglio 2011. In un giorno che ricorderemo, perché quel giorno è accaduto qualcosa che va contro la nostra “filosofia del cancello”. Non mi ci dilungo: è un mistero difficile da spiegare, essendoci di mezzo l’amore diventato odio. Diciamo che una presenza, varcato il cancello verde, ha raggiunto la tavola imbandita rovesciando pietanze e stoviglie e a certi scritti ha “comandato”, imposto, il Nulla. La distruzione. E’ un altro racconto. Ne accenno la trama in rapporto al cancello tramandato di padre in figlio. Un gesto da Medea, Medea T. Vir, verso Giasone-Accio.

Il mio aggiornamento della “Filosofia del cancello” è la seguente. Da un decennio e più sto sul Web. Qui pubblico e disegno. Ho un weblog  come Tellusfoglio, e una rivista come L'Olandese Volante. Qui come con il “Cancello verde” di mio padre, si può entrare in qualsiasi momento e sono in casa ad accogliere chi viene. Dando loro tutto quello che ho. Anche se è poco. E come i ladri non avrebbero trovato soldi e i gatti trippa entrando, così nei miei Weblog e nella nave dell’Olandese Volante, non ci sono titoli per far carriera o galloni per qualsiasi gerarchia di miserando potere. Per comandare. C’è la tavola imbandita, quella sì, sempre, per gli amici per le amiche, per i passeggeri, per chi vuole stare in compagnia, e qui vige il motto, che mio padre, Libertario detto Lalo, voleva scrivere sul cancello, e che poi la Nada la vinse, facendolo desistere, perché un cancello non è un manifesto politico. Aveva ragione. Era ed è, una filosofia di vita. Che io, Accio, ho ereditato. “Né comandare, né essere comandati. Anarchia”.

Libertario Di Scalzo detto Lalo e Figlio Claudio detto Accio
17 luglio 2011



 
 

venerdì 1 luglio 2011

A.C.C.I.O. – Musica per il cuore della Nada, II


 CDS: "Felix a 34 anni" - Acquarello, sabato 2 luglio 2011



MUSICA PER IL CUORE DELLA NADA, II

Cara Mamma... siamo in estate, e luglio in via Indipendenza, ti consiglierà di stare al fresco nelle stanze “di dietro”. Che poi sono quelle a Nord. Che guardano al santuario sul monte della Madonna di Castello. Protegga il tuo cuore, la Madonnina, e mi fido di più, per la protezione, di quella in salotto, in una stampa con sonetto un po’ zoppicante nelle rime, ma colmo di fede. C’è stato un musicista che da ragazzino, Mendelssohn, musicò il “Sogno di una notte di mezza estate”. Una fiaba musicale ripresa dal più grande scrittore di teatro di tutti tempi: Shakespeare. Ne scriveva alla sorella, Fanny, man mano che la inventava. E questo particolare mi piace. Ho sempre avuto nostalgia di un fratello o di una sorella, mamma. Sempre solo a fare il figlio unico. A volte mi è pesato.Il musicista vive nell’Ottocento, ed era dedito a un movimento chiamato Romanticismo. Erano dei sognatori, e cosa c’è di meglio che inventarsi a occhi aperti fiabe e note musicali! L’estate diventa proprio bella, e questa ouverture, anche a sentirla lì dove sei, migliorerà tanto stanze  e vicinato. Sembrerà musicale l’abbaiare del cane di Agostino, non sentirai le sgommate dei motorini in piazza, e se ci sono i piccioni sulla scala a beccare le mollica che gli lasci, ti sembreranno camminare meno ciondoloni del solito.  L’apertura ha quattro accordi un po’ misteriosi dei legni, e a ruota il sussurante degli archi che deve inventare il volo notturno, un fruscio benefico, delle fate. A questo punto appaiono tanti animali, mamma, e noi ne abbiamo conosciuti sull’aia, ma Mendelssohn, li presenta, ed il bello!, con strumenti musicali: e il tutto fa “Allegro molto”,...le fanfare annunciano Teseo, Bottom, mutato in asino, raglia e i ragli ci pensano gli archi a simularli con un salto di corda. C’è anche un leone inventato dalla tuba. Zampilla giovinezza, come disse un altro musicista, ma questo abbastanza matto, chiamato Schumann. E a te mamma la giovinezza, i giovani, ti son sempre garbati. Anche perché a loro pantaloni e gonne stanno a pennello. Poi s’ingrassa  e ci si sforma, dici. E la sarta non può far miracoli!
A 34 anni, il musicista, mamma, con il doppio di anni di quando aveva composto l’Ouverture, ne fece un proseguo. Ed ai geni capita, di avere da adulti, la stessa freschezza inventiva di quando erano ragazzini. Il poeta Giovanni Pascoli, e questo l’hai imparato a memoria in un paio di poesie, che abitava in Lucchesia, e ti ci ho portato, a Castelvecchio, diceva che c’era un fanciullino che non invecchiava nel corpo dell’artista. Vorrei tanto fosse successo anche a me, mamma. Forse quando vedendomi disegnare mi dici: “O che bambinata è...” mi dici che sono rimasto un po’ “Fanciullino”. Scriverti da qui sul web, per farti ascoltare la musica, che un vicino di casa ti porterà con un portatile, forse è proprio da Fanciullino. Ne sarei contento. Accio e la Nada. Che accoppiata. Poetica davvero. Ma torno al “Sogno di una notte di mezza estate”. Concludo. Gli altri movimenti sono L’Intermezzo, il Notturno, Lo scherzo e...la Marcia Nuziale. La riconoscerai. E’ quella che usano anche in Sant’Alessandro. E ne hai visto di spose, vero? Anche se l’unico abito da sposa, mi racconti, che hai cucito fu il tuo sposandoti con Lalo. “L’ho cucito per me e basta. Uno è stato. Uno sarà per sempre”. Buon ascolto mamma, e mi raccomando, quando andrai in chiesa al prossimo matrimonio, potrai dire ascoltando la marcia nuziale, rivolgendoti alla Gina, la tua amica: è di Felix Mendelssohn. Quinto movimento. Il mi figliolo me l’ha spiegata come funziona. 

A.C.C.I.O
Artista Candido Con Infinito Omaggio
per la sarta Nada





sabato 4 giugno 2011

Anonima: Piccolo Requiem celeste per Paolo Fatticcioni

    





PICCOLO REQUIEM CELESTE PER PAOLO FATTICCIONI DETTO "IL PAZZO"

L’uccellino blu non avrà più bisogno dell’esistenza leggera
perfetto passerà il tempo senza linfa senza rugiada senza le ombre della sera.
Non incanterà più l’aria né giocherà col vento
posato sulla roccaforte di un bastone da passeggio.
Si è fatto di legno per non morire.


Gentile Claudio Di Scalzo, ...la raggiungo con questa e-mail in un luogo che presumo nel nord Italia, non avendola vista al funerale di Paolo detto “Il Pazzo”. So della vostra amicizia - che mi hanno detto rinsaldata dagli anni passati nella formazione politica di Lotta Continua e in tante scorribande di gioventù nelle sale da ballo di Viareggio - e per questo ho vinto la mia ritrosia a disturbarla. Ho anche letto sulla sua rivista - e qui ho trovato il suo indirizzo elettronico, in “Vite con ribellioni”, (Riferimento all'annuario Tellus 26, 2005. Volume esaurito. NdC) come Paolo Fatticcioni racconta la sua vita di barbiere a Nodica e di Don Giovanni un po’ ovunque, e questo mi ha convinto a chiederle una cortesia. Ho scritto per Paolo una specie di poesia, unendola a un’immagine catturata dal mio telefonino. (Le immagini che ricevetti nel 2006 erano tre, stesso soggetto. Ndc). Le chiedo, caro Di Scalzo, di pubblicarla sulla rivista come se fosse un requiem per quest’uomo che ritengo una persona veramente speciale e indimenticabile. Non cerco di essere diversa da altri amici e amiche che si sono affidate a una corona di fiori, oppure a una preghiera, perciò non le dirò niente di me. Il mio requiem sarà anonimo, l’uccellino azzurro è un simbolo e tale voglio che resti: inafferrabile ma presente come un saluto inscalfibile. Addio professore, ignori il mio indirizzo e-mail che subito cancellerò, non mi risponda dunque, conto che mi esaudisca.







Ho ricevuto una e-mail con immagine e didascalia dedicata a Paolo Fatticcioni, il barbiere di Nodica morto giorni prima, il 14 novembre 2005.  La composizione, nel suo insieme, unisce poesia e dolore trasfusi nel fiabesco. Scelgo di pubblicarla sull'annuario Tellus, che già nel numero 26 ospitò il mio amico con la sua ironica confessione. Il volume è dedicato al "viaggio",... e c'è per tutti quello nel regno delle Ombre.  L’uccellino azzurro dell'Anonima è una lettura del dolore e dell’assenza che consola e turba: come la poesia può fare, come l’amicizia sincera suggerisce, come l’amore che non si consuma impone. Che cos’è la Morte se non l’indurirsi di una mancanza dove l’assente diventa come un bastone per avere ancora, con lui, il contatto verso la terra? E la scelta del tono irreale ha ancor più valenza di simbolo. Lo trovo così elegiaco questo spartito con immagine, così delicato, che mi sono permesso, nel pubblicarlo, di metterci un titolo e di trascriverlo a stampa come: Piccolo requiem celeste per Paolo Fatticcioni, e non avendo potuto rispondere alla mittente senza nome lo faccio qui, in calce a questa nota: “Gentile inventrice dell’Uccellino azzurro, le confido che se non ero al funerale è stato perché tenedomi la mano stretta mi disse: "Accio, non venire dietro la bara, non tu, vai a ricordarmi sul molo di Viareggio". E così ho fatto. Sappia che anch'io aspiro, come dono che sigilli la mia avventura, a un uccellino simile. Magari un cardellino con le zampette posate su dei versi testimonianti che l'amore non fu vissuto per nulla. E tali perciò da accompagnare protettivi nell'arduo viaggio"  Claudio Di Scalzo, 2006







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Il Comune di Vecchiano ha dedicato il campo sportivo La Coronella di Nodica, lungo gli argini del Serchio, a Paolo Fatticcioni detto Il Pazzo. La stele dell’architetto Fabio Daole, che esprime l’energia e la circolarità della vita,  ricorda la sua dedizione al gioco del calcio come evento di vitalismo giocoso lontano dagli stereotipi in auge.  L’epigrafe che mi sono sentito di dedicare al mio amico dice: "Paolo Fatticcioni raccontò e ascoltò storie nella sua barberia, tu che passi e qui sosti, aggiungi una storia al vento, al silenzio di questa stele". Io lo faccio tutte le volte che lì sosto tornando a Vecchiano.






Paolo Fatticcioni è nato il 10 ottobre 1948 a Laura, sulle colline pisane, ed è morto a Nodica, Pisa, il 14 novembre 2005. Barbiere di grandissimo talento. Portiere dilettante. Fondatore di Lotta Continua a Vecchiano. Cacciatore di padule con richiami nel lago di Puccini. Anche di frodo spesso. Tiratore al piattello. Giocatore di carte. Scopritore di talenti nel calcio e organizzatore di tornei. Ma soprattutto dongiovanni. Alla morte non l’ha data vinta fino all’ultimo giorno, fumando lo stesso con un tumore in gola e bazzicando locali e tavoli da poker a Viareggio.
Mi piace immaginare che l’Anonima, scrivendo per lui i versi con L’uccellino azzurro, abbia scritto un’elegia indimenticabile.
A questo personaggio che ha fatto della sua vita un romanzo orale da lui interpretato e da tante voci raccontato, e che sicuramente tante altre arricchiranno di nuovi capitoli, va la mia protezione nel viaggio che ora lo vede coinvolto.
Ha raccontato qualcosa di sé in “Vite con ribellioni”: Annuario Tellus 26, 2005. Volume esaurito. 
(dall'annuario Tellus 27: Dalla Torre Pendente alle Alpi, Viaggi e altri viaggi", 2006. Volume esaurito)


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(Scelta di narrazioni dedicate al Pazzo)

L'ULTIMA VOLTA...
  

                                     
LA RADIO LIBERA CON IL PAZZO E WILLY DEWILLE
                                                


TORNANDO DA VIAREGGIO

http://claudiodiscalzotellusfoglio.blogspot.com/2010/04/tornando-da-viareggio-con-immigrant-son.html


IL PAZZO E ACCIO E SILVIA COMOGLIO A CACCIA DELCINGHIALE






venerdì 3 giugno 2011

Claudio Di Scalzo: Il sogno che t’aspetti di Accio e del Pazzo

    

                                                                       Accio e il Pazzo




Ieri sera guardando il disegno dei due amici in esergo, che mi accompagna da mesi, ho pensato che i due personaggi potevano essere anche Accio e Il Pazzo. Io con il mio amico che è morto di cancro nel 2005. Nella notte l’ho sognato. Stamani ho trascritto il sogno come meglio potevo. E aggiunto una didascalia possibile, dopo quanto sognato, ai due sulla riva dell’oceano. In me la “narrazione” funziona così. È il mio modo di pregare ricordando un’amicizia. Che la Morte non ha scalfito. In tanti ci hanno “fatto la lezione” e condannati come inaffidabili e rovinosi per le esistenze a cui ci legavamo. Forse è stato proprio così. Eravamo "imputabili". Ma poi ci si riscatta o scrivendo o sapendo morire come altri non sanno fare. E qui sta il “sughero”. Mi piace pensarlo nel giugno ventoso. Dopo un sogno...

                                       -Andiamo, Pazzo, dobbiamo partire da questo luogo per un’altra avventura
                                       -Partiamo subito?
                                       -Prima devo andare in Tribunale... sarà una cosetta da nulla!
                                       -Ne sei sicuro?
                                       -Sì... mi sembra...
                                       -Lo spero. Allora vado in barberia, ho un cliente. Passa di lì...
                                       -Impegnativo?
                                       -Una cosetta da nulla.
                                       -Lo spero, Pazzo. Ci vediamo tra poco e poi si parte...



IL SOGNO CHE T’ASPETTI DI ACCIO E DEL PAZZO.
(SOGNO A GIUGNO)



-Lei è imbutabile, dice il Giudice, per quanto accaduto. Come si dichiara?
-Come vuole che mi dichiari! su di una parola che non esiste! e poi perché mi dà del Lei,... vengo qui un mese si e uno no a rispondere di accuse e a pagare pignoramenti! Ci conosciamo ormai...
-Non le ho dato del Tu quando l’ho condannata la prima volta, che per me è una specie di amore a prima vista, figurarsi se cambio adesso che condanna dopo condanna il suo caso mi ha stancato, ah non dica impietosito! non provo pena per i dannati come LEI!... ripeto Lei è Imbutabile... ne tragga le conseguenze. Segua la procedura di Lontananza e Gelo che impone la sentenza.

Dal volto di persone che ridacchiano nel salone intendo che sono perduto, però non mi viene rivelato in che supplizio... capisco solo che morirò... tutte le altre volte ho trovato una via di fuga e nella sopportazione del dolore mi mettevo in salvo. Ha un ultimo desiderio? Sì, Giudice! devo salutare un amico che abita qui vicino. Guardie accompagnate l’Imbutabile perché non scappi. M'incammino verso la barberia con i due alle calcagna che rimpiccioliscono fino a diventare due talpe: siamo armate mi dicono tracotanti riducendosi ai minimi termini. Entro nella barberia del Pazzo: sta tagliando i capelli a un cliente. In silenzio. Il che mi sembra strano. Cosa ti è successo? mi chiede guardandomi nello specchio. Mi hanno dichiarato Imbutabile! Lo guardo anch’io nello specchio: ha le fattezze da venticinquenne! Le talpe salgono sulle sedie a leggere giornali di cronaca nera e si leccano i baffi in modo volgare. Ci diamo un’occhiata, come ai tempi delle nostre avventure in Versilia e scattiamo via di corsa; le Talpe ci seguono al trotto, e anche il cliente che si porta dietro le forbici. Noi corriamo verso il Tribunale. Grido al Pazzo che dobbiamo trovare un’altra strada perché nel prato del Tribunale c’è un enorme imbuto dove verrò gettato. Dove verremo gettati, corregge. Perché non scappiamo? chiedo interrogativo. E’ il Conto Accio, non fare il duro di comprendonio! lo sai cos’è il Conto?! ti hanno presentato il Conto! fino ad ora te le sei cavata perché sapevi che il Conto in un modo o nell’altro l’avresti pagato! ora sei Imbutabile! da lì non si scappa secondo la condanna! si precipita giù come vino nella bottiglia senza fine. Nessuno sa dove si finisce. Allora perché non torni in barberia? Sono Imbutabile anch’io. Guarda il Cliente chi è. Mi volto. E vedo la faccia dello stesso Giudice. Si divide in più persone come vuole, mi dice ironico Il Pazzo. Immagina un po’ chi è Accio!? Ci vuol poco a capirlo!

Vediamo il parco del Tribunale. Con al centro una specie di piscina a forma d'imbuto interrata dove gorgoglia un liquido scuro. I trampolini da cui ci getteremo si flettono nel vento di giugno. Sono due infatti. E più in altro sopra un albero vedo un uomo pallido che gocciola sangue sull’ultimo ramo. Anche lui sta per tuffarsi. E ci guarda e ci dice: usate quanto avete rubato ieri sera se siete imbutabili. E venitemi dietro. Ma chi è? chiedo al Pazzo. Come chi è? risponde meravigliato, come fai a non riconoscerlo! E’ Cristo! - Cristo? ... allora noi siamo i due ladroni. Così uno di noi due non si salva! E chi te lo dice! stavolta ci salviamo in due! Cosa vuol dire usate quanto avete rubato ieri sera? Non ti ricordi più nulla Accio. Abbiamo bevuto due bottiglie di Champagne e poi siamo scappati dal retro del ristorante saltando la finestra! Ah già... e allora? Tu hai portato con te i due tappi. Per ricordo, hai detto. Potevamo pagare ma per il gusto di rubare il pranzo al ristoratore avido siamo scappati. I due tappi tirali fuori. Ne passo uno al pazzo. Che lo stringe. Con sguardo deciso. Ora vediamo se funziona! Si muore assieme, dice! e forse si torna a galla da un’altra parte. Quelli come noi finiscono male ma hanno vissuto sapendo cos’è il bene avendone nostalgia. Lui ci aiuta a scoprirlo, ci dà la sua mano, Accio. Non potevamo che morire così! Imbutabili...

Il Cristo s’era già tuffato e nuotava come un pesce spandendo sangue. In alto il Giudice, affacciato al muretto, aveva il viso corrucciato come se la sua sentenza potesse essere vanificata e insieme era soddisfatto perché sparivamo. Il Conto è salato, mi urla il Pazzo mentre sprofondiamo come in un maelström... e ha il viso deformato dal dolore e dall’agonia. E anch’io riesco a malapena a rispondergli, è atroce questa sentenza!,  ho la nuca strattonata in una specie di garrota che mi toglie il fiato... il Conto è salato... com’è giusto che sia! gorgoglio, e stringo il sughero.



Notte tra il 2 e il 3 giugno
A Paolo Fatticcioni detto Il Pazzo
da Claudio Di Scalzo detto Accio






martedì 10 maggio 2011

Claudio Di Scalzo: Alberto Giacometti nel cimitero di Borgonovo di Stampa

   

                                





LOTAR... GUARDIANO DELLA TOMBA DI ALBERTO GIACOMETTI

                                                             


Oggi sono tornato nel cimitero di Borgonovo di Stampa a trovare Alberto Giacometti. In Val Bregaglia. Pochi chilometri oltre il confine. Da Chiavenna si arriva in mezz’ora. Qui parlano anche italiano. Per poco tempo sulla lapide, fissata con quattro bulloni, c’è stata una statua di Lotar. L’impressionate uomo macerato da tagli e accumuli di palpitazioni che gli fratturano respiro e membra. A questa figura, Giacometti, come del resto ai “Nasi”, si dedicò già malato, con un tumore addosso. Adesso la statua sta in un piccolo museo locale. L’avrebbero rubata fosse rimasta sulla tomba. Dopo ho passeggiato per il paese. Pensato a quando venivo qui con una guida, abitante in Engadina, che sapeva più di me dell’Esistenzialismo. Giacometti su tutti. Eletto Maestro. Nel chiasso attuale dove si vive “chiacchiericciando” di arte e poesia on line, su Facebook, e nei festival poetici, dove pittori e poeti della domenica hanno invaso ogni giorno della settimana sentendosi autori ognidì... rivedere Lotar, ripensare ai Nasi, a chi indagava il “Male” come Giacometti, è scossa e principio. Sono fortunato a raggiungere, con questa facilità, il suo naso in terra alpina. Vegliato da Lothar. Claudio Di Scalzo












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IL NASO DI GIACOMETTI







Steso bocconi sul letto sfatto del suo studio. Gesso e polvere modellano la stoffa della sua camicia un tempo bianca. Ho mezzo stomaco, e tiro avanti lo stesso. Pensa Giacometti. Mangerò mezzo uovo nel solito bistrot. Ingoia un gemito. I chirurghi che operano, in fin dei conti sono miei parenti. Asportano. Peccato che le loro sculture vengano ricucite. Anche me hanno ricucito con perfetta abilità. Annusa con il suo nasone un odore di viole marcite. Da dove viene questo profumo? Certo. Certo! Dal cimitero di Borgonovo in Val Bregaglia. La scoperta lo fa rabbrividire. Un cimitero che esala i suoi profumi fino in questo atelier in Rue Hippolyte-Maindron deve avere qualche missione nascosta. Ah, cerca questo scheletro di noia che mi sorregge. Strofina il naso sul guanciale. Ha delle croste nelle narici. Cola una goccia di sangue. Calda come olio in padella. Pensa. E’ il mio naso che cerca il cimitero. La sua grassa terra vuole la mia proboscide. Fittone s’impianterà nella piccola patria natia. Per tutta la vita da scultore ho annusato la materia. Ora ne sentirò l’olezzo in eterno. Posso riderci sopra anche in eterno. Quando un naso si stacca dalla persona che indirizzò il corpo nel mondo della luce, borbotta tossendo, per andare a morire, il sole va in esilio. Giusto il tempo che chiudano la bara. Sentì del gelo sulla nuca. Il solito gorgheggio dell'ombra in libera uscita. A tasto prese dal pavimento un libro che aveva sfogliato qualche ora prima. E se lo mise aperto a capanna sulla testa. Ora dormo ancora. La copertina informava che era un trattato su come stampare i libri: la grafica, i caratteri. L’aveva dimenticato lì un editore, interessato alle sue sculture. Non si erano intesi. Lui pensava al naso. E i nasi che vanno a morire non si stampano nei libri.


Dalla raccolta di racconti: "Amori a bassa quota"
Annuario TELLUS 29 “Febbre d’amore. Stendhal + Web”, 2008
Copyright di CDS









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ALBERTO GIACOMETTI A STAMPA







lunedì 18 aprile 2011

Claudio Di Scalzo - Buck Eden: Pasqua ribelle. Risposta a Margherita Stein sul trattato di Michel Onfray


   
      

                                  Cds: Kierkegaard + Stirner = Ribellione Assoluta - Aprile 2011





Claudio Di Scalzo

RISPOSTA A MARGHERITA STEIN SULLA RIBELLIONE

Ho letto Margherita mia,… nel libro che mi hai spedito, le pagine di Onfray. A specchio. Hanno quel tono enfatico che ogni scrittura annunciante il rivoluzionamento, possibile, impone. Io quel tono ce l'ho sempre avuto. Però come sviluppare il rivoluzionamento, restando “ribelle”, nella situazione culturale italiana?. (Ne trovi traccia in Compagna Tellus: "Situazionismo e sinistra": http://compagnatellus.blogspot.com/2011/04/claudio-di-scalzo-situazionismo-e.html - E nel personaggio di Buck Eden, trasfigurazione letteraria della ribellione in solitudine:   http://claudiodiscalzotellusfoglio.blogspot.com/2011/01/buck-eden-io-e-la-scrittura-on-line.html ).

Però devo considerare che ogni mio progetto politico “in ribellione estetica” è fallito! in Rete, iniziato nel 2000, da Tellusfolio, a Tellusfoglio. Però non mi sono arreso del tutto! c'è in cantiere, presso l'azienda Retesì di Sondrio,  L'Olandese Volante che confido salpi nel maggio prossimo, salvando la storia dell'annuario TELLUS, la mia UTOPIA LIBERTARIA-WEB, indicando nuove rotte acquoree non più terrestri, imbarcando, più che poeti e letterati,...  musicisti e personaggi dalel vite non letterarie e non illustri, e corredandolo con immagini visuali inedite nei segni! Una sarabanda della post-avanguardia fino al post-umano  all'arte relazionale al designer resistenziale. Ottimo sarebbe creare intrecci con le nuove bio-tecnologie ma questi gruppi sono attivi all'estero scrivono e parlano inglese e io senza il tuo aiuto sono perso.


Al momento vivo un isolamento totale! E temo che i social alla Facebook cancelleranno tutti i siti  ei giornali indipendenti sorti in questi anni. Insomma un Giacobino sotto la Restaurazione aveva più scambi e meno nemici! Di me!


Il Rivoluzionamento Cyber-Soviet che propongo dal 2000, assieme a Carlo Formenti, cara Margherita, è fallito perché confidavo che la ribellione non fosse singola bensì comunitaria, di gruppo, molecola di consiglio operaio della scrittura, di autori e autrici! Mi hanno invece frainteso. Occultato. Cancellato. Rimosso. Poi i miei riferimenti alla Comunità suggerita dal filosofo McIntyre basata sull'etica e sull'identità data dalla terra, da Tellus, è stata presa al solito come di "destra" e i dogmatici si squagliano. (POI SULL'OLANDESE VOLANTE: VECCHIANO DI MCINTYRE)


Ovviamente della mia carriera personale, me ne sono sempre infischiato altamente (ed è documentato dalla biografia!), però credimi almeno trovare qualche compagno o compagna per lottare-navigare assieme sarebbe necessario per organizzare una rotta possibile con il progettatto OLANDESE VOLANTE! 


La scommessa sarebbe quella di proporre-inventare un nuovo accesso alla produzione letterario-artistica oltre ogni gerarchia, in forma comunistica ma "piegando" direbbe il buon Deleuze la tecnica-web a qualcosa che dia scacco anche se momentaneo al capitalismo schizoide con un nuovo alfabeto da letteratura intanto minore  e poi si vedrà.  

Forse con L'OLANDESE VOLANTE potrò proseguire la “Lotta Continua” iniziata nei primi anni Settanta con gli Igloo visuali situazionisti  econ la poesia diffusa su cartoline e in manifesti da Street Art!  

Di certo imbarco filosofi scomodi! come Stirner, “Chi sopra di me? Nessuno sopra di me”! aggiungendo Kierkegaard. Sopra di me il Cristo dell’Umiliazione e dell’Abbassamento. Probabile che un possibile rivoluzionamento nei segni abbia bisogno di una sorta di pauperismo totale. Di ladroni e santi!  


Siamo a Pasqua del resto.


Ho fatto tutto quanto potevo, amata compagna, per rimanere fedele alla nostra giovinezza ai nostri ideali! Mi sono anche rovinato economicamente. Perché i poeti e le poetesse conoscono l'arma della querela! se la critica arriva fino al corrosivo umorismo nero sui testi zuccherosi on line.  


In questa lotta comunista libertaria... il tragico ti può sgambettare in qualsiasi momento poi i tempi web muovono al riso e la tragicommedia mette la pietra tombale sulle rivolte.  


Conservo però ogni spensieratezza che vissi. Anche la nostra. Scoprire che un filosofo francese ha scritto un libro sulla ribellione in cui posso riconoscermi dalla prima all’ultima pagina, mi consola. Ti bacio parecchio tuo Claudio detto l'Olandese. A questo punto. 



Tuo Claudio







                                                                    Accio nell'aprile 2011





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Michel Onfray - La politica del Ribelle

L’invito marxista a cessare di accontentarsi d’interpretare il mondo, per tendere infine a un’azione su di esso, resta d’attualità. Cambiarsi o cambiare l’ordine del mondo ha smesso, in compenso, di essere la sola alternativa formulata da Cartesio. Le scuole di sapienza ellenistiche e romane hanno illustrato il primo termine, quella dell’utopia rivoluzionaria il secondo. Oggi si può immaginare, più che un’opposizione, una contraddizione tra queste due opzioni, una complementarità, ovvero un legame pressoché di conseguenza: cambiarsi significa cambiare l’ordine del mondo. Il divenire rivoluzionario degli individui sembra allora la sola via per infondere resistenza e antifascismo, ribellione e insubordinazione dove trionfano i modi autoritari. Così la rivoluzione diviene meno molare e monolitica, meno centralizzata e giacobina, e più molecolare e diffusa, plurale e frammentata.

L’estetica ha ragione a farsi generalizzata non appena non ha più un luogo proprio e fisso da occupare. Così le occorre agire in un’infinità di occasioni, tutte precarie, momentanee, talvolta impercettibili, infinitesimali. (…) La vita quotidiana delimita il campo di battaglia sul quale si oppongono delle forze, si formulano delle violenze e si fomentano gli assoggettamenti. Le avanguardie artistiche hanno aperto, per un’esistenza propria, la possibilità di resistere, diventando un possibile supporto d’investimento estetico. Il corpo definisce l’individuo nella sua radicalità, nel suo assoluto: ciò di cui non lo si può privare. La fine di ciascuno è soltanto consustanziale al suo ultimo respiro. Nell’attesa, la carne esprime l’essere e l’anima, e ogni movimento individuale che incontri una forza che ne impedisce l’espansione si trova implicato e contenuto in un registro politico.

Mettere al centro della propria vita quotidiana un dispositivo sovversivo ispirato da un volontarismo edonistico, da un’estetica di sé lussuosa e dispendiosa, traccia i contorni di questa estetica generalizzata. Tale arte di sé mostra il suo improbabile recupero nel e per il Mercato liberale. L’impossibilità di un oggetto a essere circoscritto, commercializzato, venduto, integrato nel circuito delle merci comuni fa del procedimento libertario e artistico una tecnica fissata saldamente al corpo di ciascuno, senza la minima possibilità di farne uno spettacolo economico. L’impossibilità della merce spiazza il Capitale. L’arte sfuggirà al mondo liberale quando entrerà nel desiderio libertario come si entra nella resistenza, rifiutando il riciclaggio dell’energia del divenire rivoluzionario degli individui in tracce spettacolari, in feticci degni di essere esposti, commentati, proposti allo sguardo vuoto dei divoratori d’immagini privati del senso del gusto.

(…) Un nuovo romanticismo rivoluzionario concentrato nell’arte di produrre situazioni, nella volontà di promuovere una teoria dei momenti, associato a una pragmatica che celebra gli atti e le azioni che mirano a rendere più flagrante il divario tra l’individuo pazzo di libertà e il mondo liberale divoratore di sostanze vitali singolari. (…) Sublime, ciò che presuppone il salto e il pericolo, che richiede forza e agilità. Sublime, ciò che mette in pericolo ed esige il superamento di sé. Sublimi, la vitalità dell’artista e la dinamica della sua ispirazione, il torrente della passione e la potenza di ciò che squilibra, di ciò che sprofonda nell’entusiasmo e s’impossessa di un corpo per trasfigurarlo, trasformarlo. Sublime, l’estasi. E voglio anche immaginare sublime questa estetica generalizzata e il dominio delle forze che essa comporta, sublimi anche queste stesse forze. Dove si preferiscono le alture alle valli, le cime asciutte e roventi agli anfratti umidi, c’è sublime. L’azione, dunque, e le forze che la rendono possibile conferiscono a questa mistica di sinistra la potenza e la possibilità d’incarnarsi in una forma libertaria.


(da “Verso un’estetica generalizzata”, in Michel Onfray: La politica del Ribelle.
Trattato di resistenza e insubordinazione”. Fazi Editore, 2008 )