sabato 21 luglio 2018

Claudio Di Scalzo detto Accio: Giovanni Boine sulle Mura di Lucca e in Lucchesia. A Sara Cardellino riconoscente.



CDS: Giovanni Boine sulle Mura di Lucca. Bastione di San Colombano







Claudio Di Scalzo detto Accio


GIOVANNI BOINE SULLE MURA DI LUCCA E IN LUCCHESIA

a Sara Cardellino riconoscente




Sara Cardellino a Lucca




Passato il centenario della morte è stata abbandonata verso Boine ogni corte. Passato il maggio 2017 la critica da burletta è tornata sul web a giocar favoletta a tressette in altre ruffianerie a leccare altri nomi come nelle gelaterie. Il gioco è sempre lo stesso, anche se scontato e fesso, si sale nani sulle spalle dei giganti, sul web si slancia cotanta ombra, si saluta in guanti, fidando che il motore Google pescando in eterno comando accosti nano e nana nell’episodica celebrità demente e vana ovvietà. Che val niente ma il nome naneggiato a qualcun resterà in mente imbalsamato. Così è successo al povero Giovanni Boine nel centenario ch’è sempre con tal gente un guaio. Di serpenti ovaio nel pensier nullatenente.

Chi scrive, assente alla festa a Imperia ove han sbendato il morto da 100 anni esatti, riporta qui un sogno svitato come tomba divertente mobile e seria!   Con dedica all’uccelletto che custodisce del mio presente buon detto.










BOINE MISTICO 
SUL BASTIONE DI SAN COLOMBANO A LUCCA

A Sara Cardellino che mi ha guarito dalla tosse mortale 
nel maggio 2017, questo sogno.





1

Me ne sto sul Bastione di San Colombano, farfuglia il poeta di Finalmarina, non so come ci son capitato, ma perché l’atto estetico non sia vano (oh Colombano tu sìì ‘ontento della rima mi va’ di pensà mentre s’imbionda il grano) cancello in me il malnato. Rimare come nòtare senz’acqua il gusto gliè poo ma non s’affoga e con la facile illusione si voga.

Giovanni Boine, che consuma su’ anni, ridacchia a bocca torta perché se rido da diritto di sangue n’esce una sporta. A misticare mi fo addosso gorgogliare.

A Lucca, sulle Mura, la vita non ti spaura, aggiunge il poeta facendosi serio nel suo sogno. Soprattutto se devi smontare, perbenino, uso il diminutivo come un vecchianese sulla marina stenta delle dune, le “Pagine Mistiche” di quel cattocomunista di Romolo Murri. Perdio questa parola a mi’ tempi non esisteva! Ovvoivedé che qualcun altro più che sognammi mi descrive mentre sogno! Eh no!, bellino, basta diminutivi, il metaromanzo nemmeno a fette lo digerisco e poi questa tennia sta per tecnica tradotto dal vernaholo a’ mi’ tempi di tosse e crociane mosse non esisteva. Ma tant’è, segno che sogno al futuro. Di tempi che mai vivrò e fra l’altro a breve morirò di tisi e a Venezia non mangerò riso e bisi. Smettiamo grullerie entriamo nel ginepraio delle recensioni che già da giovane mi faceva girà i ‘oglioni.

Il gioino, come si dice a Lucca, è sempre lo stesso. E se qualcuno mi sogna nel seolo doppo isto, il duemila, probabile siano arrivati su Marte gli homini e ancora stiino a recensì libri che niente valgono  a confronto del riso coi bisi. Ma son probremi loro io a breve mòio fissando a Porto Maurizio l’ultime vele e morì gliè duro sfizio ve l’assiuro a voi che mi leggete ner mi sogno a Lucca.

Riassumo. Lo ridio. Murri, o da dove ti scaturri?, scrive “Pagine Mistiche” recensendo, e di ciò godendo gusti un po’ osceni, “Storie dell’amore sacro e dell’amore profano” di Tommaso Gallarati Scotti, induve elogia il “saggio notevolissimo di alcune tendenze mistiche neo-cattoliche”, ovvvìa qui si legga non si battibecca neh Murri! A muso duro insanguinato puro, tanto da morinne e non so se è fine e adatto scrivelo in un sogno, però arrabatto la mia risposta contro questa demente “adorazione estetica della religione”.

Che vi devo dì!?!, a me l’adorazioni delle parole della religione della filosofia della poesia della letteratura fanno venì il gira’oglioni. Immagino durerà a lungo questa santa messa inventata da Papini e Prezzolini che son, sia detto, due emeriti cretini.

Si scrive un libro. Lo si pubblia. Lo si recensisce sbrodolando aggettivi e incanti. Ci s’attizza attorno qualche miagolio sul tetto della copertina, si spargono leccate che nemmeno le scimmie allo zoo danno alle noccioline, e poi l’estetica celebrata dovrebbe funzionà come il burro sullo sfintere anale per mettici meglio il cazzo! Mi si scusi questo tango lessicale un po’ parigino e porcello ma starei meglio al Moulin Rouge che non in questo bastion d’orticello arboreo. In procinto d’esser definito reo per quanto scrivo! Mostro. Rancoroso. Invadente che tossendo mente e si spegne in qualche accidente. Insomma un poco di buono! da non frequentare manco nei sogni a Lucca Bastion San Colombano ficcati nel core quanto tengo in mano: La penna o il cazzo duro e puro? Accidenti nun faccio altro che riferimenti a trombare, se non viene a trovammi la Gorliero mi sfinisco dalle seghe, mistiche, in sogno solitario!

Ma torniamo a bomba. Libresca che sto qui a farci tresca nell’arietta di maggio fresca. M’intono insomma sulla frasca d’ippocastani a piene ali e mani. Ho un certo mestiere in tasca. Si direbbe. Che altri, senza stilo e stile, manderebbe in giulebbe. A me non me ne fotte niente di sapé scrive per frammenti e intero. Quanto ho scritto lo pubblieranno dopo che sarò morto e non potrò guardalli a labbro storto per le stronzate che appronteranno in libri. Per come, da stronzi che galleggiano in porto in acqua salata, si forbiranno le labbra stucchevolmente dolci citando il nome e cognome di me che lasciarono solo come un cane a tossì a morì a fassi le seghe ognidì perché nessuna si fa Sibilla col tisio col fallito nelle lettere con chi se lo frequenti perdi entrature e carriera. Tutti questi ‘attolici modernisti, ve lo ‘onfesso, anche perché mi faran fesso, tutti estetia e poa fatia di vive come persone serie, sono personaggi tristi. Dei centurioni e delle centurione che mi ficcano lance ner ‘ostato e mi dan fiele da bè! E da tossì crocifisso!

In questo sogno sto a di’ proprio le ‘ose come stanno come andranno nei seculi seculorum. Perché i mistici della parola sono razza che come l’erba inutile tra i mattoni del Bastion San Colombano prospera.

Ecco perché scrivo “Di certe pagine mistiche”. Dove come nella boxe, destro sinistro, metto a tappeto, sul ring, i due pugili sonati (e da me gabbati e ‘ome ci godo a dimostranne l’inconsistenza, li faccio neri!, seppur intenti a far carriera in dorata mensa. Perché la critica pugilistica con “Plausi e botti” l’ò inventata io Boine che non fa ruffiane moine! Sia inteso da vivo da morto e sognante in quel di Lucca parlando vernaholo vecchianese) Murri e Gallarati. Ora spiego come li pugno li bullo li scardino.




CDS: Giovanni Boine in Lucchesia







2

Il sottoscritto tossito che presto all’artro mondo se ne sarà ito, ripudia la mistica come l’intendono i modernisti e nel futuro i sempiterni figuri tristi che voglino apparì se stessi oro nella parola e invece son bronzo o rame che vanagloria cola. Ma siccome se la dicon e se la cantan si po’ dir anco bronzo che si sgola fingendosi oro gonfiandosi rana somigliante il toro. Questi mistici de noartri, cribbio uso anco il dialetto romano!, prima o poi scoppiano nella loro malintesa salute teologica. E piove tanta merdina nell’aria fina. E i piccioni in San Colombano ci mettono qualche giorno a capì che la pioggia lucchese per portalla via ci impiegherà qualche mese. Troppo collosa e sciropposa.

Al misticismo alle “parole buie”, Giovanni Boine, oppone il duro e l’asprezza ferrigna di quanto è più antico  e forte cresciuto nella morale e nella logica d’una esistenza degna e scevra da ogni carriera nelle belle lettere da insegnare a torbidi e plagiati fedeli. Il poeta, in solitaria appassionato subito Getsemani culturale, lo martirizzeranno, definendolo mostro minato dal rincrescimento e da ogni illogica ostilità verso chi possiede il sapere necessario a salvare la poesia e la filosofia e la religione, rifiuta il Modernismo, sia detto, basato sopra un finto democraticismo che rende amorfi e senza propria personalità chi vi aderisce, che si manifesta, in pubblicazione e dichiarazioni  genuflesse verso una “imperitura poesia della fede. Fede senza oggetto; fede senza idee”.

Per sincerarsi di quanto affermo, si legga, se mai verrà messo in ordine e pubblicato, il magma delle mie lettere. L’epistolario insomma. Da non masticare come gomma. Ma non esiste il Chewing-gum nei miei tempi tra Voce e Riviera ligure. Che strano!

A quanto per lui è fiacco confuso nella boria trasfuso che scodinzola come un biacco tra le crepe dell’ambizione teorica, contrappone, chi com’esso crepa nel corpo, sano o che s’ammali, che tossisca o scoreggi, che goda a pipo ritto o che si bagni lo sterno di sangue, lo sterno dove attesi che la donna mia stil novo nella mistica d’amor ti provo, mai trovata ahimè, mi posasse come fe’ Beatrice e Laura e Silvia la mano, il palmo ferito come i miei polmoni, per guarirmi e salvarmi.

Giovanni Boine non leggeva filosofi e pensatori per ricavarne bracciali da esporre nelle vetrine delle pubblicazioni in riviste, oggi lo fanno sul web questi adoratori di mammona-carriera estetica; se s’appuntava quanto scritto da Ollé-Laprune e da Unamuno, ne ricavava medicina per tirare avanti e non soccombere all’assedio degli amici letterati che si addobbavano coltissimi sapienti pronti a insegnargli la giusta e retta via!

Al pensiero concorre l’organismo corporeo, afferma l’Ollé Laprune e ciò è un virtuoso pruno olé olé. Hola, aggiunge Unamuno, bella l’immagine del pruno, per me il sentimento tragico, col quale affrontare l’estetica e la poesia, si nutre di sangue midolla ossa cuore. Con la tisi che segna male, con l’irruenza del mio sangue ligure tra gli ulivi sano che segna libertaria salute, col sangue mi c’intendo. Si dice Boine sul Baluardo che lo fa sentir oggi coraggioso bardo.

Unamuno pruno così lo tradussi, la traduco, come nella mela il bruco?, ride alla battuta Boine, che si dichiara vecchianese nelle facezie grulle, l’essere lo si rende nella sua unità e unicità di arte e verità, oltre le apparenze brulle, e da ciò discende l’aspetto estetico che ne è figliato. Sennò è tutta una falsità ch’è inutile stalla a remà nel golfo di Porto Maurizio come in san Colombano: misero sfizio estetico. Di ciò non voglio più senti il tanfo, te ne prieco, oh Boine che nel sogno ti traduco!

Meglio star scalzo sulle Mura che calzato estetico da metter paura.

Boine ride alle mie rime sceme.

“Montagne… torrente… catene di montagne… aggrovigli di valli… io voglio da voi prender ritmo”, dice ispirato sul Ponte del Diavolo a Borgo a Mozzano.

E’ felice Giovanni Boine sul Serchio. Che belle scoperte che faccio in questo sogno, su questo ponte leggendario, che poi è talmente reale che quasi quasi lo dono, da viverlo, a qualche mio lettore che mi legge, o mi leggerà?, avendo inteso tanto di me: come carattere e sconfitte ad ogni angolo dell’esistenza.  

Mi sento qui, dopo Lucca, “uomo reale”. Che a viver nel bene nel male capisce che tutto vale.

Sto al centro della mia condizione esistenziale sgocciando sangue e verità. Sento esuberanza e subitanea fiacchezza, son malato del resto, ma intuisco, su questo ponte, che vivrò l’immortalità per questa mortalità che mi morde i garretti, per le delusioni d’amore che mi spezzano i detti, per i tradimenti che resero miseri gli affetti. Però devo sbrigarmi perché nel grido dell’angoscia “non ho costrutta la mia anima ancora”.

S’affaccia dal parapetto, un’onda gli consegna il ritratto di un gobbino con il cilindro, e Boine lancia un bacio al filosofo, caspita è giuntò fin qui da Copenaghen, proprio un sogno senza confini questo, e pensa la sua anima che va verso la Marina di Vecchiano, come schiuma che non si scioglie. E che qualche pescatore di orate accoglierà con la sua rete.

Contento di non aver pescato pesci ma la schiuma che tutti i pesci accoglie. Ti saluto pescatore sconosciuto del mio sogno. Custodiscilo. Appena ci svegliamo assieme. In due vite diverse che ne fanno, casualmente, per un giorno: una.