venerdì 24 dicembre 2010

Accio: BUON NATALE LALO

 




BUON NATALE BABBO
da tuo figlio Accio

da qui, da questa mattinata dove il cielo sembra latte ammalato,
ma domani è Natale, e in questa vigilia, guarda
questo piccolo e semplice omaggio.
Avrei potuto scrivere versi, ho ancora un certo mestiere,
o dipingere un bell'acquarello,
so ancora disegnare,

ma ho avuto voglia di raggiungerti così,
di Cardiodramma siamo specialisti noi Di Scalzo,
poi c'è il rosso e il celeste.
Il primo colore è quella della nostra storia anarchica
il secondo lo confido pallido riflesso
di quello che abiti.
Prendilo come il trattino, Babbo, per un'avventura
che non finisce
in attesa
di raccontarci qualcosa che ci faccia sorridere
insieme ancora.

24 dicembre 2010
ALBA

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mercoledì 8 dicembre 2010

Claudio Di Scalzo: Il fumetto di Karoline Knabberchen e Fabio Nardi. Dittico, I

                                                                 

                                                     da "La maschera di ferro", Dumas-Piffarerio




IL FUMETTO DI KAROLINE KNABBERCHEN E FABIO NARDI. DITTICO, I


Dedica di Karoline Knabberchen

(Risposta, ritrovando l’albo, trent’anni dopo come personaggio da fumetto)

                                                                              


                                                                          DEDICA



Al mio Accio

al mio moschettiere

che di quattro ne fa uno

ma che perde sempre

senza la sua Costanza

a proteggerlo dalle trame

che s’inventa contro.

Karoline Knabberchen, 1981









MOSCHETTIERE DI KAROLINE KNABBERCHEN

Astratto presepe il calendario con l’assenza
dell’Angelo, eppure il luccichìo
della tua dedica sopra un fumetto
travalica la bigia polvere dei giorni,
l’inchiostro di una spada, i fili grigi nei capelli,
l’elsa scheggiata, e davanti alla calligrafia
il tuo moschettiere ti saluta.
Là fuori, Karoline, oltre la biblioteca, tanti duelli
impavidi mi hanno atteso, e tradimenti anche,
ho subito, e agguati in luoghi ostili,
e la Morte avvicinarsi tra mele cotogne
nel tremore del vento fuggevole, avverto,
guarda me da infilzare e te che giovane recise,
e ti confido: …è mancata la tua protezione,
“Ho sempre perso”. Errore e Colpa ombre infide
a me accanto hanno disarmato l’intelligenza,
reso vano il coraggio; ma sono stato fedele
all’irruenza di D’Artagnan,
alla filosofia pascaliana d’Aramis,
all’aristocratico scetticismo di Athos,
e alla forza virile data dal cibo e dal vino di Porthos.
Quando avverrà… l’inchino al mio Angelo e Regina
perfetto disegnerò in altro cielo
con il cappello e la piuma più candida.

 Fabio Nardi




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MOZART

Mozart Piano Concerto K. 467 - II. Andante

http://www.youtube.com/watch?v=PJsRv3HXSfE




Mozart Piano Concerto 21 K467 II- Andante, Citlalli Guevara


domenica 5 dicembre 2010

Claudio Di Scalzo: L’Olandese Volante a Paolo Fatticcioni pirata come me

 

                                          Cds, "Conversando con Paolo fatticcioni da un buio a un altro buio". Matita e tempera


A Paolo Fatticioni sulla poesia capitata per caso e per caso buttata via come la vita

WHEN I WAS TWENTY ONE IT WAS A VERY GOOD YEAR… e tu con me… mio Paolo  lontanissimo amico… e insieme in ogni evento sentimentale ci dissetavamo nell’ebbrezza di viverlo e insieme ci confidavamo l’arsura provata nel perderlo… mio pirata trapassato in altro oceano che mi figuro luminoso per te… mi avvicino anch’io all’orizzonte dove la memoria è l’ultima schiuma contro la fuga del tempo e la pausa concessa prima che il reale persa ogni sua nominazione e solidità ci renda fiato e vento per qualcosa d’altro. Ma sono belle le vele di questa nave, e candide, ne ho il timone come Olandese Volante. Sei invitato al mio compleanno l’otto dicembre, so che ci sarai. Brinderemo all’avventura vissuta assieme, a chi ci ricorda in modo degno. Perché di bravuomini ce ne sono tanti nel mondo, ma è di "cattivi" Imbecilli e Tragici come noi che difetta. Perché la poesia fatta e data soltanto perché se ne ha voglia di viverla anche nel buttarla via e noi con essa perduti alla gioia, non è da tutti inventarla e poi festeggiarla anche con un camposanto di mezzo. Tuo Claudio nella notte del 5 dicembre 2008.


PS. Ti dedico questa canzone di un cantante che mi facesti conoscere tu quando andavo troppo forte in auto una volta a Viareggio... da qualche parte l'ho raccontato ma non ricordo dove...


Willy DeVille
    
Heaven Stood Still



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(da “La settimana prima del compleanno di Accio l’otto dicembre". Le puntate precedenti sono: Fabio Nardi: "In materia di fotografia e scrittura" (Tellusfoglio, 27.11.2010); Fabio Nardi: "Stamani non ho fotografato la montagna" (2.12.2010); CDS: "Lettera a Plinio Osio su Facebook e sulla letteratura on line (3.12.2010); CDS: "Scenari e l'altro scenario" (Tellusfoglio, 3.12.2010); Fabio Nardi: "Ho letto il bacio primo di Francesca Delmas" (Tellusfoglio, 3.12.2010); CDS-Nada Pardini: "E' tutto un ghiaccìo" (Tellusfoglio, 3.12.2010); Claudio Del Sempre: "Volare non è amare" (Tellusfoglio, 3.12.2010); Claudio Del Sempre: "Volare con Shaftesbury sulle ali" (Tellusfoglio, 3.12.2010) - su FACEBOOK/PROFILO: "Scrivere non è necessario" (29.11.2010) - "C'era una volta un bambino sulla sedia" - "Il bambino sulla sedia è un apprendista senza età" - "Ero di Lotta Continua" - "Piloto un V. 1 Arado" - E' tutto un ghiaccìo" - "L'aereo un lemma metafisico" - "Cuore e Mano per Luigia Zamorano" - "Il Golem è risorto" (5.12.2010); "When I was twenty one.." (5.12.2010);
 


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Direzione

CDS



 
 

giovedì 2 settembre 2010

Claudio Di Scalzo: Preghiera del povero scrittore scalzo a Gemma Galgani



                                                                  Cds, "Gemma Galgani parola del Volto santo", 2.XI.2010



PREGHIERA DEL POVERO SCRITTORE SCALZO
 
Gemma, santa in Lucca, prega per noi sempre uguali
cristiani pagliacci, giocolieri, trapezisti
dimentichi nel chiasso on line d’esser mortali
di viver d’orpelli letterari… d’esser poveri cristi

Notte del 2 settembre 2010
Claudio Di scalzo detto Accio



                                                     Volto Santo - Cattedrale di san Martino - Lucca



PICCOLA NOTA SOTTO A UN DISEGNO

A Lucca, nella Cattedrale di San Martino, c’è il Volto Santo. Ad Esso mi sono ispirato nel ricordo per ricarvarne un disegno a china, sono stato ai suoi piedi nell’agosto 2010. La scultura lignea di Nicodemo è scolpita in un cedro del Libano. L’immagine di Gemma Galgani mi è stata donata dal custode Domenico Battistini quando ho visitato la chiesa di Santa Maria della Rosa e la stanza dove la santa ha sofferto l’infermità e l'agonia. Aspiro a che questa “preghiera” sia una semplice scheggia colorata, in Rete, di mia narrazione morale. Sono stato chierichetto di Don Gino a Vecchiano, e non ho bisogno di conversioni perché sono un anarchico cristiano. Ho raccontato il mio rapporto con la fede della mia infanzia e adolescenza nel “Manuale Cattolico” e nel “Posatore di Croci”, occultato annuario (Tellus 27, "Cattolicesimo, nella letteratura italiana, nell'arte europea", volume esaurito. Alcune parti le ripubblicherò su Tellusfoglio) che prima o poi consegnerò a un editore di rilievo. Il mio cattolicesimo è attraversato da fratture e contraddizioni, da sempre, e ci sono sante che possono intenderne il valore di sofferenza più di altre, io ho eletto Gemma Galgani a mia protettrice, anche quando ero e sono lontano dai Comandamenti. Accadeva ad Accio bambino e a quello grande. Fino ad oggi. A volte, a salvarsi, è chi i peccati li ha conosciuti davvero e non sui libri e segno ne porta come Croce, a volte a salvarsi è chi i letterati li ha accostati ai farisei, ai mercanti nel tempio dove si baratta la parola come fosse oro e invece è fiato perso e carbone. Io spero che sia così. Claudio Di Scalzo detto Accio



(La chiesa di Santa Maria della Rosa dove abita Gemma Galgani)




  

domenica 15 agosto 2010

Claudio Di Scalzo: Quattro Apologhi per la sera muta. Con nota sulla vicenda dei medesimi.

                                            

                                            Cds, “Coriandoli del Cuore Morto”, agosto 1984, da “Cardiodramma”



Claudio Di Scalzo

QUATTRO APOLOGHI PER LA SERA MUTA

Inferno Domestico

Lo spettacolo si rappresentava quasi sempre nella gabbia montata in cucina. Lì il Domatore volgeva le spalle alle belve e doveva riconoscere chi gli dava le zampate dalla profondità delle unghie che gli entravano nella carne. Il Domatore aveva fatto presente che ormai il gioco era inutile perché riconosceva con facilità il peso delle zampe del maschio e della femmina madre e aveva consigliato di graffiargli casomai il petto, risparmiando per un po’ la schiena. Era fiato sprecato, tutto doveva continuare come sempre. (9.VII.1985)

Da “Apologhi per la sera muta”, annuario Tellus 27, “Dalla Torre Pendente alle Alpi. Viaggi e altri viaggi”, febbraio 2006. Volume esaurito. Gli Apologhi verranno ri-pubblicati sul magazine on line Olandese Volante.

Il racconto celato

Egli fu tentato di chiamare il suo infermo domestico “L’ultimo racconto di Federigo Tozzi” ma accorgendosi che il finale era stato strappato proprio dallo scrittore senese come troppo crudo, non ne fece di niente e si dimenticò pure incipit e trama di quella sua giornata ferragostana. (15.VIII.2010)


Facce da Cardiodramma per i tempi di Facebook

Il gruppetto che comprendeva i miei turbamenti estivi si presentò al Giudice con maschere di cuore perfettamente aderenti a occhi zigomi bocche imploranti. Il Giudice guardò la comitiva con sufficienza e poi ci sgranocchiò con morsi annoiati come fossimo grissini. Pulendosi col palmo le sanguinolente labbra sghignazzò… che bella mattinata accorata. Un attimo dopo la polpa di faccia cuore che sputacchiò, definendola amara, era la mia che infatti, mentre morivo tra le mandibole, pensavo al bene perduto per stupidità e sul quale era perfettamente inutile chiedere un giudizio che sapevo di colpevolezza… però la mia truppa sentimentale cercava una fine simbolicamente allegra e adatta a Facebook. Un Cardiodramma visibilmente in grado di commuovere il pubblico. (15.VIII.2010)
  

Insignificante teologia ferragostana

Si era, come diceva sardonicamente il Demonio che l’aveva preso sotto la sua protezione, "acculturato"; e aveva tanti amici fidati nei testi ricevuti, intrisi di alta passionalità anche romantica, da mettere alla prova! sibilava caustico l’amico Demonio che pure glieli aveva cercati, e per questo il Marinaio sciocco se ne stava tranquillo. Anche quando arrivò l’esondazione del fiume nella sua vallata complicata da una sciagurata onda malevola del mare, non si preoccupò dicendosi: “Semplice salvarmi!, con l’aiuto di queste pagine formo la chiglia, con quest’altre poppa e prua, con altre ancora timone e vele e mi metto in salvo”. Il più tardo dei marinai avrebbe considerato che per quanto nobili fossero quelle pagine, e altamente ben scritte, e colme di metaforici slanci, erano pur sempre carta, e infatti l’imbarcazione stette a galla un attimo per poi inabissarsi con il Marinaio Sciocco in totale solitudine. E sciocco lo fu fino all’ultimo, pur di non ammettere la sua ottusità fiduciosa annegava e s’immaginava accolto da un’isola felice dove la nave con lui sopra avrebbe visto realizzato quanto di bello le pagine raccontavano. Invece l’isola era un sordido spuntone di roccia sul melmoso fondale marino, a guardar meglio una specie di aguzza poltrona, su cui il Demonio stava seduto aspettandolo sulle ginocchia afflosciato cadavere e avvolto nella carta ridotta poltiglia come fosse un inchiostrato sudario senza importanza. (15.VIII.2010)


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NOTA SUGLI APOLOGHI PER LA SERA MUTA


“Agli Apologhi per la sera muta mi dedico da una vita. Alcuni sono comparsi su rivista. Poche pagine. Credo sia utile riproporre al lettore, nelle tre occasioni che ciò è accaduto negli ultimi vent’anni, le brevi note introduttive”.
“Scrivo sui cornicioni di Diari, racconti e romanzi. A volte scivolo su umide intimità, spiaccicando in basso la confessione dei miei capogiri. In altri giorni, da un’altezza non mia, girotondo con la vita apparente del testo un’allegria di virgolette, mimo resurrezioni di personaggi, stampo sulla mia fronte tramonti e albe opache, e tutto per diventare un segnalibro ben riconoscibile”. Da Zeta, Campanotto editore, Udine, anno X, n.10, 1988.

“Sotto lo stelo sull’abat-jour di camera mia, da anni, tengo dei minuscoli racconti. Foglietti. Quasi un eccentrico centrino. Ne ho sfilati a caso sette”. Da TELLUS, n. 18, 1997.

Nei “Quaderni Valtellinesi” n.73, 2000, mi presentò l’amico Ugo Sentito.
“La vocazione di questo scrittore è l’occultamento. Mentre chi si dedica alla letteratura si fa subito sedurre, anche per i suggerimenti degli editori, dal romanzo, Di Scalzo si affida al componimento breve: racconto, poemetto in prosa, frammento, apologo. Tanto da costituire un reticolo di radici, un rizoma direbbe Deleuze, che dalla sua scrivania passa, con il contagocce, da riviste ciclostilate (ricordo nell’87 “Tra noi”, Bollettino parrocchiale ciclostilato di Traona-Valtellina) fino a quelle distribuite nelle librerie. L’intrico è complicato dal fatto che nel suo sottolibro (faccio una battuta), Di Scalzo coniuga con la scrittura disegni o fotografie. Perché questo nascondimento? Ammetto che non lo so. Nevrosi, direbbe lo psicoanalista; coscienza che tutto è vanità senza Dio, dice il teologo; anarchia artistica, potrebbe dire chi rifiuta la mercificazione dello spirito; delusione per la presunzione degli intellettuali incontrati nell’editoria e nelle riviste specializzate, dirà il sociologo; stupidità di chi non sfrutta la propria capacità operativa, afferma il self-made man. Lasciamo irrisolta, come è giusto, questa incognita. Le poetiche si spiegano a posteriori. In ogni caso sono riuscito a farmi regalare alcuni apologhi (...)”. Da Tellus 27, 2006, cit.



martedì 27 luglio 2010

Claudio Di Scalzo: Marco Pachi nel Raccontino Miserino. Ciondolo n. 25

   





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Il tempo passato del sonno inquieto
Il tempo futuro del sonno angosciato
Mi prese a pugni perché ero tempo presente
Tentato di gioire nel sonnambulismo
Dell’amore eterno. Insufficienza
Da tempo verbale misera sentenza

Da Marco Pachi nominamale!
Luglio 2010


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Le avventure di Marco Pachi compariranno nell'annuario OLANDESE VOLANTE in uscita nel dicembre 2010. Nel dicembre 2009 sono state pubblicate nell'Autoantologia Scalza, in TELLUS 30, "Nomi per 4 stagioni", ultimo della serie, ora esaurito. 


 



  

lunedì 7 giugno 2010

In morte di Mauro Puntoni. Da Claudio Di Scalzo detto Accio

 

                                                         Malevich - Quadrato nero - 1915


IN MORTE DI MAURO PUNTONI

Due giorni fa, con un messaggio su Facebook, avendomi letto sul Weblog “Vecchiano un paese”, un mio compaesano, Mariano Nencini, e intanto sono passati quaranta anni, mi ha scritto un biglietto: “Caro Accio, credo tu sia l’Accio che conobbi alla Pergola, sono Mariano, ti saluto e ti do purtroppo una triste notizia: il Puntoni è morto.
Giovanissimo, facevo i primi anni di Ragioneria a Pisa, e prima di conoscere il Pazzo, bighellonavo in un bar di Vecchiano: La Pergola. Aveva ed ha un glicine che proteggeva in estate i tavolini. Con le prime sedie all’americana dove potevi stare come un papa perché cilindriche e variopinte. Qui la sera appariva il Puntoni. Mauro Puntoni. Un ragazzone alto, corpulento, fasciato in una camicetta troppo piccola. Che parlando a scatti diceva: Passami una sigaretta. Dai! Passami una sigaretta. Che poi veniva fumata tenendola sul suo faccione con minuzia, stretta tra l’indice e il pollice fino al filtro. Fumava come ci si aspettava che facesse l’attore in certe comiche in bianco e nero prima di scivolare sulla classica banana. Il Puntoni, arrivando da Piazza Garibaldi e in avvicinamento alla combriccola amicale, era salutato con richiami e qualche fischio e lui si dondolava con passo incredibilmente felpato per la sua mole: Che si dice, ragazzi, che si dice! Passami una sigaretta! Stasera andiamo a vivere! Eh! Vado dalla mia bella. Aveva una ragazza il Puntoni? Sì e no. E credo che Mariano Nencini sappia qualcosa in più di quanto so e ricordo io. Il Puntoni, o “Maurino”, aveva in questi amici, a volte eccessivamente scherzosi, un punto di riferimento sicuro, che lo faceva vivere allegro e spensierato quanto l’allegria e spensieratezza consentiva a un giovanotto con qualche rotella in meno. Viveva la giovinezza, oltre la protezione asfissiante di genitori preoccupati. Prima che arrivassero le ASL con i medici annoiati e le loro note incomprensibili sul disagio mentale, prima del politicamente corretto che magari ti consegna a una solitudine infernale. Il gruppo in cui ero capitato aveva inventato, invece, un’originale cura psicologica per far “vivere” bene il Puntoni. Mariano Nencini era uno di questi “medici”. Scanzonato portava in giro il Puntoni, a Torrre del lago, anche a Viareggio. Che altrimenti non avrebbe mai visto! Non so come, non lo ricordo, ma qualcuno, deve aver pensato che era tempo di far conoscere al Puntoni la sessualità. La prassi. Ne parlava a scatti, con confusi riferimenti, lo chiedeva con circonvoluzioni d’immagini a volte oscure, che denotavano anche una chiara sofferenza a non aver mai assaggiato la nicchia, la topa, la passera. Rapida colletta, salto a Viareggio, la più bona e costosa, per la bisogna, putttana in circolazione, e il gioco era fatto. Debitamente istruita la puttana fu dolce, comprensiva a sobbarcarsi quel corpaccione accaldato e tremolante, e fece un’opera veramente dolce e sublime.
Però Mauro Puntoni s’innamorò. Forse era da prevederlo. E non della passera e basta!, no, della donna, di quegli occhi dolci, di quella voce, di quel profumo, di quel viale, di quell’appartamento, fino allo zerbino tanto fine, al campanello dal suono melodioso, fino ai cinque minuti regalati, a lui, Mauro, per fumare una sigaretta, bere una bibita da un frigo assolutamente moderno. E ora come tenercelo lontano? Bisognava portarcelo ancora e ancora e ancora? E fare altre collette o sviarlo? E se partiva a piedi? E se chiedeva il passaggio a dei malintenzionati? Non tutti, fuori da Vecchiano, lo conoscevano e lo “accudivano”.
Non so come sia andato a finire l’amore di Mauro Puntoni. A breve mi trasferii in un altro bar. Nel paese vicino. Nodica. Dove trovavo Il Pazzo. Per raggiungere, insieme, la Capannina di Franceschi o la Bussola, e lì Puntoni non l’avrei certamente trovato. Non l’avrebbero nemmeno fatto entrare! Me lo racconterà casomai Mariano, il proseguo. Ricordo però che da quando si diffuse notizia della passione amorosa del Puntoni, tanti paesani presi dal caos emotivo e pulsionale per un amore dove il punto di vista implicava trasformare Dulcinea in una Dama, venivano battezzati come “maurini”, è un “maurino”, dicevano sarcastici. E tutti capivano. Il fondatore, intanto, del neologismo continuava a raggiungere la pergola, il glicine, e chissa come cadeva, il fiore, sulla sua testa a cucuzzolo, quando ne scoteva i rami fingendosi arrabbiato contro tutti.
Il Puntoni è morto in un centro per anziani. Solo. I suoi genitori da tempo non c’erano più. E neppure la combriccola della pergola, a renderlo personaggio nelle sere estive: guardando verso Viareggio. Al Puntoni, per il lutto, lascio un glicine sul quadro di Kasimir Malevich, tutto nero. Una lapide meno anonima di quella che gli avranno frettolosamente scolpito. Dal suo lontano amico Accio. E ringrazio Mariano Nencini, di avermi dato l’occasione di ricordare un paesano. Stamani all’alba.

                                                 Claudio Di Scalzo detto 


Ps: A un amico di Como che, di recente, mi istruiva su come Facebook sia un meccanismo frivolo, per scambi tutto sommato futili, o al massimo per stare in circolo come fans, come adepti di una foto, di un video, di un incontro poetico o artistico, dimostro che si può fare anche altro con la scrittura, con l’amicizia, con il proprio volto ritrovato su Facebook. Che si può scrivere sulle vite non illustri, quando si è scelto come me, sempre e comunque, di illustre non esserlo. Però poi accade che ti cerchino 40 anni dopo, che cerchino Accio, sapendo che scriverà sul Puntoni. E non per un premio, per una plaquette, per aggiungere un titolo a un curriculum di autore. Per me essere scrittore così grazie a un biglietto di Mariano Nencini, operaio in pensione della Piaggio, è già un dono grande. E credo proprio che l’amico di Como abbia sbagliato indirizzo a scrivere a uno come me. Meglio impieghi le sue risorse a dialogare con addetti ai lavori più fini e introdotti in faccende letterarie. cds







 

giovedì 3 giugno 2010

Willy DeVille: I call your name per Olandese Volante. Ricordo di un incidente d'auto... della Radio Libera Gong... e del barbiere Paolo Fatticcioni. A cura di Claudio Di Scalzo detto Accio


 

                                               William “Willy DeVille” Bursay, 1953 - 2009



Claudio Di Scalzo

L'INCIDENTE D'AUTO DI ACCIO 
E IL PAZZO CHE SA COME GUARIRLO

Willy DeVille è morto il 9 agosto 2009. Quando lessi la notizia trafiletto su di un quotidiano era inutile ne parlassi con gli amici di Marina di Vecchiano. Tanto non lo conoscevano. E il Pazzo, l’unico che ne sapeva qualcosa, non c’era più in giro. (1949-2005. In Rete, sull'Olandese Volante, su Tellusfoglio, sull'annuario Tellus lo ricordo. Amico del Cuore. E nella Rivoluzione). Per ricordare che era stato lui a farmelo conoscere. Tra le tante avventure strampalate messe in piedi c’era anche quella di organizzare una Radio Libera. A fine anni Settanta. Radio Gong. Con cui ci svenammo di spese. Ed anche a chiamare i Gong in concerto a Viareggio. 

Trasmettemmo per qualche mese, appunto. Poi il Pazzo per recuperare i soldi spesi andò a fare il Disc-Jokey al Principe di Piemonte, e io lavorai con mio padre, a guidare il camion da mattina a sera, anche in estate, per pareggiarmi. 

Willy DeVille veniva dal punk newyorkese, all’inizio aveva un gruppo i Mink Willy Deville, e poi inventò dischi ibridi con musicalità latine. Nel 1982 quando stavo attraversando Viareggio, diretto alla Bussola-tenda dove cantava Battiato, in fulgore allora con Bandiera bianca, all’incrocio di via Alfieri con via Foscolo, non mi fermai allo stop, anche perché le strade interne a Viareggio si somigliano tutte, e una Renault 9, me la ricordo con precisione!, mi sfece la fiancata alla Mini sbattendomi contro un muretto. Mi lussai una spalla, sbattetti la testa, e mi portarono all’ospedale per controlli. 

Per un laureato in lettere che non aveva alcuna voglia di insegnare letteratura, e che normalmente faceva il perdigiorno, era un segnale! Il Pazzo transitato un quarto d’ora dopo con la sua macchina, vedendo la mia mal ridotta, si precipitò in ospedale a vedere cosa mi ero fatto. Volevano tenermi lì per controlli la notte. Ma io volli andar via. Le lastre non davano niente di rotto. E il ghiaccio in testa potevo tenercelo da solo. 

In auto il Pazzo mi disse: Ascolta questo cantante, è un fenomeno. Non ricordo che canzone fosse di DeWille. Amo pensare fosse una canzone sentimentale, ma di quel sentimentalismo acre, e tagliente, che sembra venir fuori da qualche film sceneggiato da chi ha letto Conrad e Faulkner. Escludemmo di andare al concerto. E chi ci aspettava tanti saluti. Andammo a pescare sul lago. Al casotto con la rete. Le ammaccature e la spalla dolevano. Però le canzoni di Deville erano vitali, riconciliavano con la felicità d'averla fatta franca al dolore che mutila. Paolo, il Pazzo, era protettivo, come un fratello maggiore, aveva tre anni più di me, Accio l'hai scampata bella! ti ricordi come a me sia andata peggio! eh!, e aggiunse: telefona alla Nada e le dici che siamo a pescà, la macchina domani G. te la ripara e Lalo non se n'accorge; poi telefona anche a lei... dille che hai avuto un incidente, vedrai che smette di studià i filosofi, ansiosa scende dall’Engadina, fate pace, ti sistema la carrozzeria, testa compresa! e così vai più piano! 

Seguii il consiglio. Mentre alzavo la cornetta sorridevo. Con la testa che mugliava come il mare. Con Deville a complicare il ronzio. cds











L'Olandese Volante, in uscita on line a metà giugno, sarà diretto da Claudio Di Scalzo,

   







   

mercoledì 2 giugno 2010

Willy DeVille per Olandese Volante: My forever came today. Assoluto in navigazione



 


Sempre, per sempre, nei secoli dei secoli dei secoli /Ever, forever, ever and ever and ever / Reaching out for me / Raggiungere per me / Something warm in your eyes / Qualcosa di caldo nei tuoi occhi /Touched my heart / Toccato il mio cuore / And all the love I never knew, I found in you / E tutto l'amore che ho mai conosciuto, ho trovato in te / Suddenly, my world, my life was standing still / Improvvisamente, il mio mondo, la mia vita era ancora in piedi / And you touched my hand / E hai toccato la mia mano / For everlasting love, I've been forever dreaming of / Per amore eterno, ho sempre sognato / At last, at last, my forever came today / Finalmente, finalmente, mio per sempre è venuto oggi / Reso la mia vita solitaria un paradiso / It came today, forever came today / E 'venuto oggi, per sempre è venuto oggi / Ooh, look in my eyes and see how much I want ya Ooh / guarda negli occhi e scopri quanto ti voglio / Feel my touch, you know how much I need ya / Senti il mio tocco, sai quanto ho bisogno di te / I may be young, but I'm old enough to know / Posso essere giovane, ma sono abbastanza vecchio da sapere / Look at me, I will never let it go / Guardami, non potrò mai lasciarlo andare / Let this moment thrill me a lifetime / Facciamo sì che questo momento sia brivido di una vita / Make it last, make it last / Farlo durare, farlo durare / Make it last forever / Farlo durare per sempre

                                                       Ever, forever - Sempre, per sempre
Make it last forever - Farlo durare per sempre
Ever and ever and ever - Sempre e sempre

Ooh, you're my precious little flower - Ooh,  tu sei il mio prezioso fiore piccolo
Girl, you give me so much sweetness - Ragazza, tu mi dai tanta dolcezza

Make it last for more than just a day - Farlo durare di più di un giorno
Make it last for more than just an hour - Farlo durare di più di un'ora
Make it last forever - Farla durare per sempre

I believe we can make it last forever - Io credo che possiamo farlo durare per sempre
That we can make it last forever - Che possiamo farlo durare per sempre

Ever and ever and ever -  Sempre e sempre


     

  


  

sabato 29 maggio 2010

Claudio Di Scalzo: In ricordo di Adriano Spatola.

                                         








Claudio Di Scalzo: Un aperto cassetto (in ricordo di Adriano Spatola)
Adriano Spatola: Sterilità in metamorfosi (da Manuale di Poesia Sperimentale di Guido Guglielmi e Elio Pagliarani, Mondadori, 1966)
Adriano Spatola: Vita e bibliografia.




                                      RICORDO SPATOLATO

Nel 1981 Spatola mi scrisse interessato a una poesia visiva che gli avevo spedito. M’invitava al Mulino di Bazzano, la pirotecnica sede del suo laboratorio, della rivista Tam Tam e di tante altre performances. Gli risposi in divisa, fanteria, ero a Chieti, nell’inverno 1981 e gli mandai una poesia visuale sul mio essere fotografato e intruppato. Mi scrisse che la metteva in Geiger 9 o in una antologia di Geiger, di quelle che veniva assemblate.  Lo incontrai l'anno dopo, 1982, per una performance al Mulino Di Bazzano, dove come poeta saldatore saldavo parole di metallo! forse era il 1982. Poi ci siamo visti in molte altre occasioni. Stemmo molto assieme nel 1987, ad Udine per una mostra organizzata dalla rivista Zeta, ne ero redattore, e da Campanotto editore, a Gradisca d’Isonzo: Parola Immagine-Immagine Parola. Si ricordò di una cartolina che incorniciava la sua voluminosa stazza di poeta. «La tengo appiccicata in biblioteca», mi disse. E aggiunse qualche consiglio sul mio anarchismo distruttivo.

Recitava versi, si batteva il corpo con un microfono, era disponibile con tutti, insieme ironico e magmatico. Personificazione dell’avanguardia in Italia, la più riuscita la più fragile nei suoi esiti.

Altri vi avrebbero costruito carriere universitarie, editoriali, ruoli di prestigio nell’accademia che già esisteva in musei e gallerie, non lui: lo zeroglifico che si mischia, scompone, scompare era il suo emblema. L’avrebbe accolto in sé fino alle estreme conseguenze. Che il suo cuore si sia fermato all’improvviso è semplicemente un dato estetico, non medico. (2 luglio 2006)


                                            


STERILITÀ IN METAMORFOSI
          (da Manuale di Poesia Sperimentale di Guido Guglielmi e Elio Pagliarani, Mondadori, 1966)


1
persino è della pietra far vermi questa notte
dentro la pietra sono i suoi capelli
grumo nero impastato con bianchissima calce
e la roccia sta nel mezzo del lago
le sue dita irte di radici sono formiche
grumi neri impastati con bianchissima calce
le cinque dita sono cinque radici nel mondo che si solleva
perché persino la pietra fa vermi questa notte
fondamento del quale purtroppo qui non è luogo
radice comune dalla quale rampollano essi stanotte
è lama di coltello che taglia tra le dita


2
è lama di coltello che taglia tra le dita
si fa sabbia pietra rossa e della sabbia fango
e la roccia sta nel mezzo del lago
la mano a cinque dita che fu dentro la fogna
perché la roccia nel mezzo del lago si carica d’acqua
occhio del pesce arpionato che fissa il nero stivale che luccica d’acqua
è lama di coltello che fende la tua mano
e il mondo che si solleva si chiude a pugno
guarda nel centro della mano
ogni radice è dentro la tua carne
non risalgono più dal baratto giallo di sabbia


3
non risalgono più dal baratro giallo di sabbia
grumi neri impastati con bianchissima calce
è la tua mano che s’apre tra le dita come un fiore nell’alba
rana squartata che frigge nell’olio della cucina sul fiume
e i funghi tra le dita seminati ora vedono il sole
radice inchiodata allo scafo della roccia sommersa
come s’alza nell’aria il pesce che l’aria consuma
e i funghi gonfiati dal sole producono pus
perché dentro la pietra sono i suoi capelli
perché il mondo che si solleva si chiude a pugno
perché non risalgono più dal baratro giallo di sabbia
e il sole li gonfia perché producano pus


4

perché ho preso i capelli di colei che mi fece
al lento ruotare dell’occhio dentro la testa
sepolti tra le mie dita essi che terra ricopre
questa mano medusa schiacciata dal piede di marmo
quando dentro il tuo ventre semino dita di mani e di piedi
perché con la pietra si salda la torre di carne
lama di sabbia rossa che fende la sterile acqua
e il mondo che si solleva si chiude a pugno
al lento ruotare dell’occhio dentro la testa
radice inchiodata allo scafo della roccia sommersa
pesce che s’alza nell’aria e che l’aria consuma


5
è la tua colpa colomba rossa che sale dall’intestino
come la mano che tengo nell’acqua che bolle
e il ventre è questa parete che scivola sopra di me
mentre distesa sul fianco la città s’addormenta
in mezzo alla piazza di marmo gonfio di pus
e come sappiamo da tempo da sempre bambini gridano in piazza
quando mi levo dal letto sopra la valle
e la sua mano aperta sotto la gonfia radice si chiude con la radice
perché non risalgono più dal baratro giallo di sabbia
avendo già appeso il cappello alla torre dell’orologio
corpo di luce che dentro alimento e distruggo
gonfie di vermi radici le sbarre in rugoso cemento


6
lascio la lingua che affondi dentro la pietra scheggiata
mentre mi spezzo le unghie contro la tenera carne
perché ho preso i capelli di colei che mi fece
perché persino la pietra fa vermi questa notte
al lento ruotare dell’occhio dentro la testa
quando su dal tuo ventre sorgono dita di mani e di piedi
denti del ventre che strappo con l’unghia affilata
affinché il piede dell’uomo conosca la morsa delle radici
tra i funghi gonfiati dal sole che semina pus
corpo di luce che dentro alimento e distruggo
qui dentro lamiera contorta della sua casa
la roccia nel mezzo del lago si carica d’acqua


7

la roccia nel mezzo del lago si carica d’acqua
nero impastato con bianchissima calce
tela bianca che strappo con l’unghia affilata
qui dentro lamiera contorta della sua casa
scende la pressa rugosa che schiaccia la dura mano
è la tua colpa colomba rossa che ruota dentro la testa
piedi di marmo che tarlo corrode nel mezzo del prato
ora che il tempo equivale a ciò che sarà
unghia che taglia contorta lamiera del ponte
al lento ruotare del pesce dentro la roccia


8
semino capelli e dita nel ventre che arai
perché con la pietra si salda la torre di carne
ed è calda la cera che scende a riempire la bocca
ora che il tempo equivale a ciò che sarà
radice inchiodata allo scafo della roccia sommersa
e lungo disteso sul pavimento il quadro dell’impiccato
perché ho preso i capelli di colei che mi fece
radice comune dalla quale rampollano essi stanotte
perché il mondo che si solleva si chiude a pugno
quando nel sonno degli abitanti si brucia la vera città
scoppiano sassi nel fuoco sotto la pelle
riga che cresce e che sale sul foglio
verso ritmato nel luogo dell’insolita lama
e il ventre è questa parte che scivola sopra di me
sui denti che l’unghia affilata strappa dall’alveo


9
e dentro qui questa pietra capelli di questa colei
ah che prendo le dita e i capelli di questa colei
come s’alza nel pesce lamiera contorta del ponte
affinché il piede dell’uomo conosca la morsa delle radici
e come sappiamo da tempo da sempre bambini gridano in piazza
sepolti tra le tue dita essi che terra ricopre
pesce che friggenell’olio della cucina sul fiume
mondo che si solleva nel chiudersi a pugno
raccolgo polvere e sassi sotto la pelle
mentre chino sul foglio annoto gli effetti dell’esplosione
per questa ripugnanza tra tue chino e me chino in avanti
e il nodo che lega alle cose divampa sul collo dell’impiccato


10
io siedo sopra me stesso
rosea medusa che brucio la mia libertà
è la mia pelle conciata il muro che incido con l’unghia
fuoco che danza nel volto contro se stesso
corpo di luce che dentro alimento e distruggo
s’accumula cera che frigge tra l’unghia e la carne
la roccia sommersa divampa dentro la sterile acqua
al lento nuotare dell’occhio dentro la testa
nel ventre di questa parete che scivola sopra di me
sabbia che si fa pietra
l’erba che cresca in mezzo ai capelli
ruggine sopra le unghie
ora che il tempo equivale a ciò che sarà
pressa rugosa che schiaccia nell’occhio la testa
gonfia di vermi radice la sbarra in rugoso cemento
la mano le cinque dita già dentro la fogna


11

perché si degna colei che mi fece
radice inchiodata allo scafo della roccia sommersa
e scoppiano sassi nel fuoco sotto la pelle
è questa la mia sapienza è la sapienza che parlo
nodo che lega alle cose divampo nel collo dell’impiccato
perché si degna colei che mi fece
e io siedo sopra me stesso
mentre ruota la notte nell’occhio del chiuso spazio
mentre scivola sopra di me nel suo ventre la bianca parete
con questa sapienza che il sole gonfia di pus
perché si degna colei che mi fece
roccia sommersa divampo dentro la sterile acqua
tela bianca che strappo con l’unghia affilata
polvere e sassi raccolti sotto la pelle
cinque dita cinque radici nel mondo che si solleva
perché si degna colei che mi fece


I2

è lama di coltello che fende la mia mano
mentre la roccia nel mezzo del lago si carica d’acqua
né più risale dal baratro giallo di sabbia
là dentro lamiera contorta della mia casa
mentre chino sul foglio annoto gli effetti dell’esplosione
è la mia pelle conciata il muro che incido con l’unghia
nel ventre di questa parete che scivola sopra di me
grumo nero impastato con bianchissima calce
cinque dita cinque radici nel mondo che si solleva
sui denti che l’unghia affilata strappa dall’alveo
fuoco che danza nel volto contro se stesso
rosea medusa che brucia la mia libertà
s ‘accumula cera che frigge tra l’unghia e la carne
gonfia di vermi radice la sbarra in rugoso cemento
e come sappiamo da tempo da sempre bambini gridano in piazza
quando nel sonno degli abitanti si brucia la vera città
al lento nuotare del pesce dentro la roccia
e i funghi gonfiati dal sole producono pus


13
poiché persino la pietra fa vermi questa notte
casa avvampante nello spazio chiuso dai chiodi della roccia
rana squartata che frigge nell’olio della cucina sul fiume
e l’erba ricresce tra i suoi capelli
è la tua mano che s’apre come un fiore nell’alba
è la radice inchiodata allo scafo della roccia sommersa
è la mia colpa dispersa nel ventre di alcune madri
ah giuoco che mi moltiplica
ah freccia feconda
ah torre feconda
poiché persino la pietra fa vermi questa notte
trascina la pelle che pende sopra la ghiaia del nostro giardino
piede che fango ricopre al salire del mondo
riga che cresce e che sale sul foglio


14
riga che cresce e che sale sul foglio
fuoco che danza nel vuoto contro se stesso
mentre distesa sul fianco la città s’addormenta
e semino capelli e dita nel ventre che arai
e il ventre è questa parete che scivola sopra di me
e come sappiamo da sempre da tempo bambini gridano in piazza
luce che si consuma nel pesce che ruota dentro la testa
tela bianca che strappo con l’unghia affilata
unghie spezzate contro la tenera carne
la tua colpa colomba rossa che sale dall’intestino
è la mia colpa dispersa nei ventre di alcune madri
e nel tuo ventre il nodo che lega alle cose
pesce che s’alza nell’aria e che l’aria consuma


15
è lama di sabbia rossa che fende la sterile acqua
questa mano medusa schiacciata dal piede di marmo
nel ventre di questa parete che scivola sopra di me
pressa di marmo che scende con cinque radici sopra la testa
cinque radici nel mondo che si solleva chiudendosi a pugno
siringa che inietta bacilli alla radice del naso
perché a quel tempo tra gli occhi non c’era la morte
non c’era a quel tempo tra gli occhi una cosa immortale
ma sono le grida dei bimbi che giocano in piazza
nel ventre di questa parete le cinque radici
lame di sabbia rossa che fendono sterili acque
e collo dell’impiccato
di ciò che è stato detto
si sa che è stato detto perché bruci nel mondo


16
a cui ci sono dati gli oggetti quando sono pensati
per questa ripugnanza tra me chino e chino in avanti
radice comune dalla quale rampollano essi stanotte
posizione imperfetta che con lo sguardo riacquisto così
perché cosi si trascende nell’onda che gonfia stanotte
in cui ci sono dati gli oggetti quando sono pensati
e precedono quelli che oggetti hanno pure un motivo
fondamento del quale purtroppo qui non è luogo
radice comune dalla quale rampollano essi stanotte
in cui ci sono dati gli oggetti quando sono pensati
e precedono quelli che oggetti hanno pure un motivo
fondamento del quale purtroppo qui non è luogo
radice comune dalla quale rampollano essi stanotte
per questa ineguaglianza tra me chino e me chino in avanti
perché sia necessario notare soltanto la condizione
perché non solo essenziali si appare secondo la divisione




ADRIANO SPATOLA: ZEROGLIFICO, 1966



Come commento allo Zeroglifico riportiamo una dichiarazione di poetica di Adriano Spatola comparsa nel libro Zeroglifico (Sampietro, Bologna 1966): «L’obbiettivo della poesia concreta è la ristrutturazione sistematica dei metodi di creazione poetica, mediante la ricerca sperimentale di nuove forme di disponibilità eteronoma del fare poetico e la Costruzione di modelli di comportamento inediti all’interno dell’attività creativa. Le esperienze svolte nell’ambito della poesia concreta sono caratterizzate dalla provocazione controllata di aperture semantiche a largo raggio, i cui risultati si presentano come dati preliminari di operazioni successive intese all’analisi delle possibilità “attive” della parola, sulla base del postulato che la parola non è l’oggetto amorfo ma il centro vitale di forze in continua trasformazione.

«La poesia concreta (effetto ottico + valore semantico) muovendosi nel più vasto contesto della poesia sperimentale analizza le tecniche di interazione tra i vari livelli di significato, agendo per mezzo di metamorfosi morfologiche, fonologiche o sintattiche, e di declinazioni o sostituzioni sillabiche.

«Arte essenzialmente tecnica, la poesia concreta è poesia razionale, fondata non più soltanto sulle leggi estetiche ma anche su quelle statistiche, e rappresenta un passo decisivo verso il rinnovamento radicale dell’immaginazione».



 
ADRIANO SPATOLA: VITA E BIBLIOGRAFIA


Adriano Spatola è nato a Sapjane (Istria) nel 1941 ed è morto a Sant'Ilario d'Enza (RE) nel 1988. Dopo un'adolescenza vissuta ad Imola, nel 1957 si trasferisce a Bologna dove collabora alla rivista Il Mulino e successivamente conosce all'Università Luciano Anceschi che lo fa collaborare al Verri. A Bologna pubblica la sua prima plaquette di poesie, Le pietre e gli dei (Tamari, 1961) e fonda la sua prima rivista, Bab Ilu, con C. Altarocca, V. Bini, A. Ceccarelli, C.M. Conti, e Malebolge, con G. Celli, C. Costa, A. Porta, N. Scolari. Ha pubblicato, inoltre, L'ebreo negro (Scheiwiller, Milano, 1966), Majakovskiiiiiij (Geiger, Torino, 1971; The Red Hill Press, Los Angeles & Fairfax, 1975), Diversi accorgimenti (Geiger, 1975), Various Devices (The Red Hill Press, 1977), La composizione del testo (Cooperativa Scrittori, Milano, 1978), Cacciatore di mosche (I Telai del Bernini, Modena, 1980), La piegatura del foglio (Guida, Napoli, 1983); poesie visuali e concrete, Poesia da montare (Sampietro, Bologna, 1965), Zeroglifico (id., 1966; Geiger, 1975), Algoritmo (Geiger, 1968), Zeroglyphics (Red Hill Press, 1977), La panoplie (Manicle, Aix-en-Provence, 1983), Recenti zeroglifici (Il Punto, Velletri, 1985); il romanzo L'Oblò (Feltrinelli, Milano, 1964) e i saggi Verso la poesia totale (Rumma, Salerno, 1969; Paravia, Torino, 1978), Miroglio, qualcosa di metafisico (Geiger, 1970), Quadri ritratti miraggi di Francesco Guerrieri (id., 1971), Impaginazioni (Tam Tam, San Polo D'Enza, 1984), Il futurismo (Elle Emme, Milano, 1986). Dopo un breve periodo trascorso a Roma, dove entra nella redazione di Quindici, trasferitosi a Torino, nel 1968 dà inizio con i fratelli Maurizio e Tiziano alle Edizioni Geiger. Si ritira poi con Giulia Niccolai, sua compagna dopo la separazione dalla moglie Anna Fausta Neri, a Mulino di Bazzano, dando vita, nel 1971, alla rivista Tam Tam. Nel '79, terminato il sodalizio con la Niccolai, fonda e dirige Baobab (la prima audiorivista di poesia in Italia) e nel 1981 Cervo Volante, poi diretta da A. Bonito Oliva ed E. Sanguineti. Ha partecipato e curato a numerose esposizioni di poesia visuale e performances di poesia sonora.