mercoledì 31 marzo 2010

Silvia Comoglio - Claudio Di Scalzo: Pegaso il volo che muta in stella. E due lettere. Con nota del 23 settembre 2018 sul trafugamento di immagini on line. Cioè il "Cielo Stellato" a firma Claudio Di Scalzo





            Cds: "Cielo per il Pegaso di Silvia Comoglio" 
 Tempera e acquarello su carta
cm 20 x 30 - 1985

  





Silvia Comoglio

PEGASO

( il volo che muta in stella )




I

Effigie eterna di archetipo che mima

enigmi di muta meraviglia, sei luce che fende in equilibrio
lo sghembo tetto della casa, l’albero scalato
dentro alla bufera. E moto, sei moto, a stasi e punto fermo,
pura erranza a crescere nel mondo fin oltre
la prossima parola, fin dove all’apice del canto
l’ignoto si rovescia in assolo di orbita segreta, in dono
lungo a labirinto. E il volo, il tuo volo,
è volo a differenza dal tempo che già disfa
angoli di terre aperti sulle rose, sorgente che si accalca
nel fiore alla radice: un’ implosione di fragili millenni
rimasti nel vento a sillaba corale, a grandi
enormi orchi e ciclamini.


II


“Vedi? l’amalgama che siamo è storia tutta già narrata

nel volto appena generato, soggiorno puro di cammino
dove l’ala forte è l’ombra ruvida di terra, un dire ricondotto
verso lumi di liquide radici. E l’orma
è il blocco di partenza, lo schiudersi leggero di ordini di segni
in cui voli, voli scommessi senza fine, sono mia e vostra luce
a misura di frattempo, di un taglio a risalire all’eremo di guardia,
all’alba chiara e sibilante, come fosse folle
folgore traslata dal tempo al paradiso, ebbrezza
da cui venimmo fiammanti di gran vento”.

E l’orizzonte è casa ormai caduta, afasia in cui si fonde

il mondo e la sorgente, lo sguardo da me a te appena transitato,
vivo di racchiuso attimo restato
terso e ripetuto nel fragore di vecchie lettere d’amore.


III


Divaricare la vita in soffio e il soffio in volo

è puro andare terribile di veglia, mondo
in cui prendere le case e fare forme nuove
e intessere le strade tutte di bisbiglio, isolando
voci da parole. “Orientarsi è scommettersi nel vento
tornato di sorpresa, fare balzi simili ad incanti
da brughiere e manzanite fino al culmine del cielo,
al tempo trainato verso la rete
estesa delle stelle, la lingua tracciata a dirci
come avvenne l’amore forte impazzito alla finestra,
e l’eco di un giorno sfuggito al proprio corpo;
la vaga sorte in pieno suo stupore.”

          















Silvia Comoglio - Claudio Di Scalzo





                                     Due brevi lettere con cavallo alato e cielo gocciolante


Caro Claudio! Ti faccio leggere questi versi con l'augurio che Pegaso, cavallo alato trasformato poi in costellazione luminosa, porti fortuna a te e al tuo nuovo progetto di Magazine*.  Silvia

Cara Silvia,... il tuo cavallo alato mi ha protetto... ho realizzato con altri amici Olandese Volante che a fine aprile sarà on line, e in questi giorni anche "creato" qualcosa di terrestre come uno strambo Golem che, a Praga, forse ha il cuore di Accio. A te è piaciuto su Tellusfoglio, e generosamente lo trovi dolce e incantevole in un'altra lettera. Per questi due doni... “Pegaso” e l’attenzione per il Golem dal cuore d’argilla tra vampe fuoco - doni molto importanti per me che vivo e scrivo e disegno in solitudine - ho acquarellato per te un cielo con stelle alla mia maniera, che gocciola e gocciolando scrive: grazie Silvia. Accio-Golem


  


NOTA del Curatore weblog addì 23 settembre 2018

 
Il Magazine-portale a cui fa riferimento Silvia Comoglio è L'Olandese Volante (2011-2017); (2018 Antologia OV) - Nel 2010 l'ho progettato con l'azienda Retesì di Sondrio dopo che persi TELLUSfolio (2005-2010) e Valchiavenna on line (VAOL) 2000-2005. Il weblog TELLUSFOGLIO lo firmai nel 2010 per tutelare un minimo la mia produzione dopo la perdita di TELLUSfolio.









Scrivo "perdita" dei vari siti o loro cessazione essendo andato perduto lo spirito fondativo... perché, come per l'ultimo L'OLANDESE VOLANTE, sono sopraggiunte complicazioni tali da snaturarne l'impianto originario che era stato pensato libertario e senza fine di carriera letteraria da antico regime.


Amici mi segnalano, tanto per rivelare come on line funzioni "uso e trafugamento" di immagini (e testi) che in un blog di racconti e, soprattutto, nel sito di arredi per soffitti PIDROMISE (dunque un'attività commerciale, di DESIGN PER LA CASA, con tanto di copyright messo per le proprie immagini, anche per la mia annessa. Celebrandone la "magia" come se l'avessero inventata loro. "Pittura Soffitto Cielo Stellato: La magia del cielo stellato sul soffitto di camera) figuri, senza richiami all'autore, cioè io, il soffitto. Annettendosene l'invenzione.


PIDROMISE

 http://pidromise.info/soffitto-dipinto-cielo-stellato/


sabato 27 marzo 2010

Hugo Pratt: la morte in faccia per meglio rinascere. Le Elvetiche






Nella Bibbia si dice che “La speranza delusa rende il cuore malato, ma il desiderio compiuto è un albero di vita” (Proverbi, XII, 12). E Corto Maltese che conosceva Freud attraverso il suo amico Steiner, sapeva anche che i desideri frustrati sono causa di malattie. Neppure gli Huron e gli Irochesi ne dubitavano, e attribuivano anzi una così grande importanza alla soddisfazione dei desideri di un individuo che facevano di tutto per accordargli quanto aveva visto in sogno. Esisteva persino una festa, chiamata “Festival dei sogni”, in cui ci si sforzava di dare a ciascuno ciò che aveva sognato di possedere.
Si può pensare che i sogni del Maltese fossero divenuti troppo arditi, troppo folli persino per un mondo di avventure, e che l’impossibilità di realizzarli lo avesse spinto a ritirarsi per un po’ di tempo in Svizzera, nel piccolo villaggio di Savuit-sur-Lutry. Si era nell’autunno del 1924 quando accaddero alcuni avvenimenti curiosi, in una Svizzera magica, antica terra di alchimisti e astrologi. (…) I sogni, come diceva Rasputin, e mi riconosco nella sua efficacia lasciando Corto alle incertezze metafisiche svizzere, sono una brutta bestia, e se li tieni nell'Es in trappola diventano come gatti rabbiosi frullati in un sacco, uscendo combinano sfracelli con gli artigli e ogni organo dal cuore alla voce ne sopportano le ferite e la malattia.


    

lunedì 15 marzo 2010

J. H. Füssli: "L'incubo", 1791, seconda versione. Tellusmostre di Tellusfoglio








J. H. Füssli (1741-1825: "L'incubo", seconda versione, 1791, Francoforte, Goethe Museum. Il dipinto si richiama a quello ora a Detroit ed esposto nel 1781 alla Royal Academy di londra, garantendo al pittore un grande successo. Il sogno per la prima volta nella pittura occidentale è proposto come incubo prodotto dai recessi della psiche. In questo caso femminile. Ancora l'amata Anna Landoldt? L'amata, e amata infelicemente, compare, anche in un altro dipinto, poco riprodotto, sempre a Detroit, dove l'essere mostruoso non è accompagnato dalla cavalla con le froge demoniache. Un'altra versione è andata persa nel II conflitto mondiale in Inghilterra a causa dei bombardamenti. 
 
Anna, mia donna, corpo dipinto dal pensiero. Avverti quanto il tempo orlo del mistero ti sfiori dormendo? quanto le tue braccia nude castighi affidandole a mostri? Fuggi la vanità della mia presenza perché con velature organizzo il tuo incarnato?
Füssli seppe che ogni ora nella pittura era compendio a un raggiro, dato anche all’amore. Anna aveva rifiutato  questo suo modo di affidarsi all’arte. Dimora e divora la mia vita in pittura. Anche quando amo questo fiore tempestoso che offro all’inconoscibile. Domani mi pento. Ora devo finire l’opera. Questa è una copia, nettare del mio niente, Anna da anni è sposata. Con un attore di teatro. Ma l'unica posa che lui ha per ammirarla è questa. Insuperabile. A me dà la nausea. Claudio Di Scalzo da "I calzari del Minotauro" (Tutti i diritti riservati)



J. H. Füssli: L'incubo" 1781, prima versione. Tellusmostre di Tellusfoglio




  


J. H. Füssli (1741-1825), "L'incubo", prima versione 1781, olio su tela, 101,6 x 127. Institute of Arts, Detroit. Dipinto eletto a rivelazione e conferma per la posteriore psicoanalisi. Amato dai surrealisti e da ogni onirista metafisico con la propensione a trafficare con i sogni virati nell'incubo. La fanciulla dormiente, riversa in parte fuori dal letto, sopporta l'incubo in forma di coboldo sul ventre. Dal tendaggio appare una spettrale giumenta, la Night-mare, che secondo la tradizione popolare inglese tiene in sella gli incubi. C'è, anche, al di là di ogni riflesso e riflusso nella saggistica psicoanalitica applicata all'arte, il dato biografico dell'amore infelice di Füssli per Anna Landoldt qui ritratta. E non è un particolare da poco.
 
Anna, conforto in bianca veste al guasto cuore del pittore, che accetta dell’istante in amore labbro e oltraggio. Tra l’enigma del sogno e l’ora della parola, Füssli, dipingendo si pone animale tra la purezza e il respiro della dormiente. Anna da sveglia avrebbe portato nella sua vita di finzione all’olio di lino e colori, il flusso vitale dell'amore come bene e rispetto. Meglio dorma nell'arte mia, che in un letto per svegliarsi e preparare una colazione. Foss'anche quella che berrei volentieri.  - Claudio Di Scalzo da "I calzari del Minotauro"  (Tutti i diritti riservati)
   


martedì 9 marzo 2010

A Parigi con Guillame Apollinaire da vivo e da morto. Viaggi e altri viaggi di Tellusfoglio

 





Guillaume Apollinaire nasce a Roma il 26 agosto 1880. Si trasferisce in Francia ancora adolescente stabilendosi a Parigi, dove dal 1908 grazie al legame con Marie Laurencin si mette in contatto con gli ambienti artistici d'avanguardia e con personalità come Maurice de Vlaminck, André Derain, Pablo Picasso, Georges Braque, Henri Matisse. L'interesse per il moderno lo porta a sostenere anche il futurismo di Filippo Tommaso Marinetti e la pittura metafisica di Giorgio De Chirico.

Nel 1911 pubblica le poesie di Bestiario e nel 1913 il fondamentale Alcools, raccolta delle migliori poesie composte fra il 1898 e il 1912, che costituisce uno dei testi di poesia più importanti del secolo scorso. Quest'opera rinnova profondamente la letteratura francese ed è oggi considerata il capolavoro di Apollinaire insieme con lo splendido Calligrammi (1918).

Fra le altre opere in prosa si ricordano Il poeta assassinato (1916), raccolta di novelle e racconti tra il mitico e l'autobiografico, ispirati alle esperienze sul fronte della prima guerra mondiale, e il dramma Le mammelle di Tiresia (scritto nel 1903 e pubblicato nel 1918), nell'introduzione del quale per la prima volta compare la definizione di un'opera surrealista. Muore a Parigi il 9 novembre 1918.

Seguendo una tendenza tipica dei poeti d'avanguardia Apollinaire porta alle estreme conseguenze la poetica simbolista dell'analogia. Le immagini che si susseguono non propongono tuttavia di evocare significati profondi e misteriosi, quanto invece di sperimentare accostamenti inediti ed inattesi. Le libere associazioni di parole richiamano le parole in libertà del programma futurista di Marinetti ed anticipano la tecnica compositiva dei surrealisti (scrittura automatica).

Calligrammes (letteralmente belle scritture) fa riferimento ai disegni (ad esempio una pipa, un getto d'acqua...) che si creano con una particolare disposizione dei caratteri tipografici. Si tratta di un procedimento non nuovo ai poeti barocchi del '600, che già avevano intuito la fisicità grafica della parola, tutt'uno con l'immagine che veicola.

Calligrames è un termine coniato da Apollinaire per indicare un significato intermedio tra calligrafia e ideogramma. In effetti, come mostrano gli esempi dei testi che seguono, Apollinaire impiega la struttura grafica come fattore significante, caratterizzato da una propria autonomia. Il semplice tentativo di decifrare le parole, spezzate e sovrapposte, di senso non del tutto conseguente, non sarebbe sufficiente per intendere le intenzioni dell'artista, che sono di estrema rottura formale con la tradizione poetica, negata nei Calligrames in modo simile a quello espresso dai Futuristi.

Probabilmente per l'imprinting mediterraneo che segna la prima parte della sua vita, si dà un nome che evoca Apollo, dio del sole, delle arti e inventore della lira. Prima di scegliere Apollinaire firma le sue prime composizioni con lo pseudonimo di “Guillaume Macabre”. Muore trentottenne, nell'autunno del 1918, a causa di un'epidemia di febbre spagnola.

Sul sito ufficiale sono possibili delle passeggiate virtuali nella Parigi del poeta e dei suoi amici; Proponiamo anche un breve filmato del 1914 con André Rouveyre e la voce di Apollinaire che recita alcune sue poesie delle quali la più emozionante è sicuramente "Sous le Pont Mirabeau".  Claudio Di Scalzo -Tellusfoglio



domenica 7 marzo 2010

Luca Canali: il vero della “clinica” - Poesia e fotografia 3 - a Cura di Claudio Di Scalzo



                                    
                                                         “Accumulazione caotica” di Claudio Di Scalzo







                                        Vaghiamo ubriachi di benzodiazepina,
                                        automi che aziona non più l’energia di un progetto,
                                        ma lo stimolo dell’iminodibenzile in una tresca di pupille
                                        dilatate, acqua cupa di stagno in cui annegano le identità
                                        e ammiccano le omertà di subconsce rassegnate agonie.
                                        Ma una voce forte e normale, se si ode, le infrange in una diaspora
                                        di terrori riassommati che corrono a rifugiarsi in una solitudine
                                        di cuscini, di lame, di lacci per la soluzione finale.

                                        *

                                       Piango a dirotte lagrime le miserie del mondo,
                                       rispecchiate e contorte in un elegante rifugio di folli,
                                       tra illusioni di affetti, in rigide gerarchie di funzioni,
                                       di neutri gestori del morbo armati di terapie,
                                       di sigle su flebo, di laidi profitti, di brevi
                                       esecuzioni sommarie fra elèttrodi omologati dal tedio,
                                       se tramonta l’angoscia su una quiete spettrale o sul rictus
                                       di un clan di dementi avvinghiati agli uncini della norma.

                                       *

                                      Siamo qui ad un passo dalla morte,
                                      dalla deformità, dall’insania,
                                      ognuno con lo sguardo fisso in un punto dello spazio
                                      o sulle foglie oscillanti oltre i vetri in una tregenda d’inni
                                      di guerra ascesi dalla vita spegnendosi in un murmure di pietà
                                      tra i cavalieri disarcionati di questa disperazione senza approdi.

                                      *

                                      Odio gli aromi dell’estate
                                      brulicanti e lesivi nella bassa
                                      pressione instillata dai psicofarmaci.
                                      Rimpiango il gelo dei vicoli
                                      e dei cortili infervorati da una fede
                                      quando la mente sembrava una sciabola di battaglia,
                                      lineare e illusoria al pari di una rivolta di poveri,
                                      una pleurite secca curata con l’aspirina.

                                      (Luca Canali, Ancora dalla clinica, in Il naufragio, 1980)








Claudio Di Scalzo

CLINICA E CLONICA


La clinica è spazio letterale: delinea l’inattitudine umana a realizzarsi, l’inoltrarsi oscuro nella follia, è un vaticinare l’insensatezza e il disfacimento. Impone un codice di comportamento vòlto a contenere l’instabilità, è “quiete spettrale”, esistenza stagnante, spegnimento, dimenticanza o rapsodica ricordanza, deriva. Il suo linguaggio è una quest in vista di una ricognizione di sé stessi, un sopralinguaggio, un linguaggio per iniziati. Nondimeno, la clinica è luogo metaforico, profezia: in essa si cerca di afferrare il nesso tra l’individuo e il proprio destino, dunque allude alla vita stessa. Che può essere necessaria e differente, insinuando l’incertezza nelle convinzioni della ragione. La prospettiva metaforica in Luca Canali rinvia a un nichilismo che quasi rinuncia agli interrogativi fondamentali: qui viene ridescritto un umanesimo consapevole senza travestimenti né profetismi menzogneri. Non è possibile, in altre parole, che la condizione umana possa riscattarsi da sé stessa. E il rictus allora diventa lo stigma di una contrazione forzata non più solo contingente.

La medicalizzazione attraverso le benzodiazepine - nell’attacco verbale che qualifica significativamente la trasmissione del messaggio poetico - costituisce l’unica mozione all’azione di automi in “rassegnate agonie”. L’avversativo “ma” posto immediatamente dopo non cambia una situazione di fatto descritta nel continuum narrativo, introduce piuttosto un richiamo nell’auctoritas del codice della norma a un ordine che ricomponga la dispersione in una relegazione forzata dove incombe l’idea della vita percepita come dissoluzione. Ma la clinica in fondo - pur essendo “un elegante rifugio di folli” - rispecchia “le miserie del mondo”. Che altro è la vita se non un declino spirituale in un perpetuo illudersi nell’autenticità degli affetti, nell’esistenza della libertà, un soggiacere in qualità di vinti a revocabili vincitori come in un campo di battaglia? L’esistenza è uno sguardo da recluso oltre i vetri, non oltrepassabile confine verso la libertà. E l’estate stessa, evocata nell’ultima strofe, non è che il detestabile emblema dell’esplosione della vita, il cui senso resta infigurabile. Forse anche per questo il poeta nei versi conclusivi dice di rimpiangere il gelo dell’inverno, quella stagione - in un dolente rovesciamento di metafore - anteriore al leopardiano ”apparir del vero”.

                                                                    


giovedì 4 marzo 2010

Buck Eden: L’incontro sulla pista con il Lupo addomesticato










Buck Eden

L'INCONTRO SULLA PISTA CON IL LUPO ADDOMESTICATO

Quanti rallentamenti sulla pista! Appena avverti accanto, invisibile tra gli arbusti, un animale astuto. Il mio procedere guardingo diventa motto per trarmi in inganno… dallo scoiattolo che saltella sul larice frondoso alla volpe che fugge veloce. Boschi secolari valico e pianure dove l’erba suona nel vento un vibrato oscuro che nell’immediata emozione di non decifrarlo so che trasmette il pianto di chi so io. In questa vecchia capanna, mentre fuori sfavilla qualche infortunio di stelle con pianeti su di giri, capanna che ogni volta è più cadente, ho trovato o si è fatto trovare il Lupo che si fece addomesticare. Viene dagli Apologhi per la sera muta (*) di un mio amico, rimasto in città, e che ha la pretesa di scrivere mentendo e di dire la verità sempre scrivendo ma scuoiando dalle parole l’ombra della finzione. Come se fosse possibile! Non funziona a cose normali figurarsi in amore. Però a portarne il peso e la colpa son io. E anche il Lupo ha la sua razione. Castità posticce, tradimenti, versi di una bellezza grezza come diamanti scheggiati, vocazioni smentite il tempo di dormirci sopra, tutto gli viene leggero se a purificarne le responsabilità sono uomini come me e bestie come il Lupo.
Mi ero fatto addomesticare, racconta con occhi contenenti il midollo spinale piegato nella cuccia, perché pensai che l’unica realtà da vivere fosse quella domestica, e la selvaticheria era un lusso che volli dismettere. Ora che invecchio vado verso le selve dove sono nato. Ti seguo da giorni, anche tu scappi da qualcosa. Vai verso un altro immaginario? Un residuo epos da vivere come ti pare sul Web? Per un attimo, addormentandomi con quelle fauci accanto, nella brace del pelo vicino al collo, penso divertito a come sia sul punto di essere divelta ogni tradizione se anche un animale così addomesticato scappa dalla carta stampata, dove l’avevano rinchiuso per apologheggiare un destino biografico non suo.
Nel sonno, che magari custodisce il reale di chi ci sta inventando, il Lupo mormora che smetterà di scrivere tornando libero. Gli carezzo il pelo ispido della fronte con moto fraterno. E io che libero sono, se vado verso ogni selvatichezza solitaria, senza neppure una squaw, cosa scriverò e come? Ancora mi sarà di divertimento e vaghezza?
                                                                           Buck Eden


(*) Sacrificio. Il Lupo si fece addomesticare, convinto che l’unica vita da scrivere fosse quella domestica. Ne ricavò un petto maciullato dagli obblighi, ma l’opera ogni giorno gli veniva fuori scodellata. (“Apologhi per la sera muta, 2.11.1986”, Annuario Tellus 27, “Dalla Torre Pendente alle Alpi, 2006)


martedì 2 marzo 2010

Claudio Di Scalzo - Margherita Stein: Kaos tra le piramidi. TELLUSfoglio/Viaggi e altri viaggi 1

  
   
"testa scura kaos testa bionda tra piramidi". Cds, 1979



(Non esiteva ancora il cielo) - Arde il rimando infinito del tempo che verrà ma che più non si sa come ci insabbierà Margherita - Le piramidi nell’abbacinato occhio con cui le guardiamo in disegno ci salveranno dal turismo di massa? (Non esisteva ancora la terra) - Fiamma di sabbia gialla nel silenzio di cose e d’uomini nel giorno della fotocopia (Non esistevano ancora gli uomini) - Vaga rovente il petto nello scherzo colorato a tempera che brace tace con l’egiziana di Lucca (Non ancora erano nati gli dei) -  Il nostro mondo si consuma tra ombre bianche come bende di sudari (Ancora non esisteva la morte) e questo ghepardo che annuncia la catastrofe del nostro gioco egiziano - mi sono impaurito - può essere il tuo gatto? - Ti leggo “Kaos” testo delle piramidi del 3500 a. C., sii più coraggioso con quel pennello nel tenerlo a bada!



Nota su come arriva “Kaos tra le piramidi” su TELLUSfoglio

Mi è capitato nella mia vita di scrittore on line di affidare ad un giornale telematico testi sul viaggio e altri viaggi anche onirici e mentali. Di un certo spessore linguistico. E con me amici scrittori. Mal me ne incolse! Mi hanno smontato e rimontato in altra cornice. Mi sono ritrovato anche in Egitto. Accanto a cartoline dozzinali da luoghi orribili come Sharm El Scheikh per turismo a frotte in simil-orientale perigrinare! Addirittura accudito da persone a me sconosciute che evidentemente mi collezionano. Allora mi sono detto, anche con un filino d'irritazione, per queste manovre alle mie spalle di viaggiatore soprattutto europeo, io in Egitto ci sono già stato! Così ho telefonato a Margherita Stein. La telefonata si è svolta pressappoco così.

Margherita... ma io e te non siamo stati in Egitto anni fa? Lei ha capito subito l’antifona. Anche lei risulta intruppata su quelle pagine on line con vicini indesiderati, facendole venire un discreto nervoso!, e così mi ha risposto, ma certo mio cammelliere vecchianese, fu quando sopra incisioni ottocentesche ti mettesti a disegnare tempere, a scrivere versi con me che accudivo i tuoi pennelli e inserivo versi antichi, pure di quel vanesio di Pierre Loti. Vuoi che cerchi queste tempere? Va bene. Se le trovo te le mando per e-mail. Attento alla sabbia del ricordo, però, può avere a che fare con la volontà d’essere e non essere colore ancora fresco.  

lunedì 1 marzo 2010

Claudio Di Scalzo: Il cappello di Beuys sopra la sua firma. Archivio Mail Art F.O.U.



  
L’artista tedesco era un uomo generoso e mosso da grande curiosità verso le forme di comunicazione comunistiche come la Mail Art. Così per un certo periodo rispose alle cartoline che riceveva con disegnini e altri divertissement. Anch’io ne posseggo uno su cartolina. Negli anni Settanta avevo fondato una curiosa Fabbrica degli Oggetti Utili che spediva cartoline d’artista e oggetti bizzarri nel mondo. L’attività durò poco. Beuys mi spedì questo biglietto-cartolina (che riproduco) in risposta ad una mia cartolina. E sicuramente di questi disegnini ce ne sono centinaia in giro. La sua era una cortesia tutta concettuale e molto tedesca nei modi. Ho immaginato che anche questo sia stato un viaggio particolare: quello della firma di Beuys sotto il suo cappello o viceversa. A seconda di come il postino la teneva in mano o nella borsa a tracolla. (Cds, dall’Archivio della F.O.U.)

    
                                                                      °°°

L’artista tedesco Joseph Beuys è uno dei portavoce più rappresentativi delle correnti concettuali nell’arte della seconda metà del Novecento. La sua è un’arte che procede lungo sentieri del tutto inediti, amalgamando in modo totale la sua vita con il suo manifestarsi artista. Vi è qualcosa di così radicale nel suo stile di vita, che verrebbe da credere che egli abbia veramente fatto coincidere totalmente l’arte con la vita.
Nasce a Krefeld nel 1921 in Germania. Muore a Düsseldorf nel 1986.