mercoledì 25 aprile 2012

Claudio Di Scalzo: Lo straccetto rosso di Lalo e Accio. Resistenza ieri e oggi 25 Aprile 2012


                                                                         
 CDS: "Accio e Lalo nel Padule di Massaciuccoli-Web il 25 Aprile 2012"






LO STRACCETTO ROSSO DI LALO E ACCIO
Resistenza ieri e oggi
25 Aprile

                 
Agita fra le canne del padule il suo straccetto rosso verso il camion dei fascisti che transita sulla strada sterrata. Cantano a squarciagola Faccetta Nera e imprese di bastonate e pistolettate a socialisti e comunisti. Si levano sopra lo stridio dei freni maledizioni bercianti, colpi di moschetto. Ma nessuno degli "eroici" camerati insegue Libertario Di Scalzo nel lago di Massaciuccoli, quello che un giorno verrà ricordato come pucciniano per turisti in cerca di brividi melodici. Hanno paura gli sgherri. Lì, fra le folaghe in cielo e i lucci nel chiaro, sta il suo regno. Conosce ogni calatino, ogni nascondiglio, ogni baracca. I fascisti temono abbia una doppietta e un coltello e sanno che l’anarchico li aspetta. I fascisti restano in gruppo e sulla strada e poi se ne vanno scornati bestemmiando minacce e sputando per terra. Lo chiapperemo col nostro sistema, dice il capo manipolo della Milizia Nera. E sarà un miracolo se non finisce come su’ pà Angelo che gli abbiamo fatto fumà la pipa in gola! 
Raggiungo mio padre con una barca nel Tempo in secca. Mi passa un lembo dello straccetto rosso. Siamo inteneriti.
                    
-“E' ancora Resistenza, Accio”, dice usando il soprannome che avrò una volta suo figlio quando il 25 aprile verrà festeggiato con le camionette di Scelba per le strade di Pisa.
-“E' Resistenza compagno! Qui non ci prenderanno”, rispondo al mi' babbo che poi sceglierà il nome di Lalo. E tutti penseranno fosse un soprannome invece sarà nome scelto da antifascista.
-“Il gruppo vedo che s’è infittito, non è sminuito.
-“C’è anche chi pratica fascismo e totalitarismo sul Web.
-Che cos’è il Web? Accio.
-Dopo te lo spiego, ma ora ho fame.
-Ho pescato dei lucci. Per noi basteranno. Se eravamo di più non ci si cenava.



°°°
      
        

Così l’epica rossa di mio padre come mi venne raccontata. In tante versioni. Dagli antifascisti vecchianesi e pisani. Lo presero con il ricatto. Se non si fosse presentato alla Casa del Fascio avrebbero massacrato di botte e torturato i familiari. Un decennio prima i fascisti avevano assassinato mio nonno Angelo Di Scalzo seguace di Serrati e sindacalista sulla via di Pisa, mentre tornava a casa col calesse, sfondandogli il palato con il cannello della pipa che teneva tra i denti. Mio padre si consegnò ai carabinieri. All’anagrafe risultava con un frego sul suo nome di battesimo Libertario che ora si chiamava Lalo. Nome scelto perché di un musicista, di chi aveva scritto la "Sinfonia Spagnola". Bella musica, che aveva ascoltato da parenti immigrati in Francia. E la musica non si può bastonare o imprigionare. Lalo lo spedirono sul fronte albanese con tutte le benedizioni religiose del caso in un battaglione destinato al macello. Ma si salverà. E tornerà a Vecchiano per la sua personale Resistenza. Fatta nascosto in un loculo del cimitero di giorno, per uscire la notte. Questa vicenda sta anche in un libro scritto negli anni Settanta da un mio amico che di libri e di antifascismo se ne intendeva.
                                        
Il 25 aprile 2012 scelgo di raccontare questa storia di Resistenza. Io sono figlio di quest’uomo e nipote di Angelo, L’Angelo dei braccianti. Sto sul web anche per una forma di Resistenza ad ogni totalitarismo, quando ne ravviso la necessità, per “resistere” ad ogni forma di censura e d'imbavagliamento della libertà d’espressione non solo politica ma anche artistica e letteraria. Il mio Padule di Massaciuccoli-Web, dove sono imprendibile! come Lalo Libertario, sono gli spazi telematici che ho on line, weblog e siti.



Claudio Di Scalzo detto Accio
25 aprile 2012




              

lunedì 16 aprile 2012

Claudio Di Scalzo: La Nada l’han ferita, l’han portata all’Ospedaletto. Feuilleton paesano 6

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                
CDS: "L'Ospedaletto di Vecchiano sotto al Monte Castello" - Alla Nada - 16.IV.2012



   
LA NADA L'HAN FERITA, L'HAN PORTATA ALL'OSPEDALETTO



   "Non ce la faccio a guardarla, sento di nuovo la fitta alla gamba", dice mia madre se le mostro questa foto (L'Ospedaletto di Vecchiano, 1944. Foto in bianco e nero, cm 6 x 9), scattata da un nostro parente nei giorni precedenti la liberazione di Vecchiano.
   Il rettangolino di carta con l'immagine sbiadita e rugginosa di un edificio basso e scrostato - che somiglia più a una falegnameria che a un ospedale - fa rimbombare alle orecchie di mia madre un colpo di cannone con il sibilo delle schegge che schizzano ovunque dopo aver colpito la torre campanaria, e le fa riudire l'acuto urlo, disperato di bambina, che lanciò quando un proiettile d'acciaio le trapassò la coscia sinistra. Subito dopo, stesa su di un carretto scricchiolante, con il sangue che usciva a fiotti e le zuppava la logora gonnelletta, fra i gridi delle vicine e il volto sfatto dalla paura di mamma Messinella, la condussero all'Ospedaletto.
   Ospedaletto, piccoletto piccoletto, quattro mura in croce, senza vetri alle finestre, ospedaletto zeppo zeppo di feriti, tutti più feriti degli altri nelle carni, ospedaletto che respingi fuori la povera Messinella, ahinoi moglie di un fascista, sotto il tettuccio da sempre usato per riparare barrocci. "Dove si sarà nascosto suo marito Vittorio, quel fascistone!". E le cure tardano ada rrivare e il sangue si è raggrumato fra glia ssi del carretto e la bambina, di nome Nada, è come svenuta e ripete con un filo di voce: mamma... mammaa... mammina... fa che non mi taglino la gamba. E dentro le mura altri feriti strepitano, le donne poi hanno i loro mariti a proteggerle, a intercedere; invece le due donne sotto al tettuccio, la donnina ferita sul carretto e quella più anziana, hanno l'uomo rimpiattato da qualche parte. "Gli americani i fascisti li fucileranno tutti!". Il medico arriva, ma sarà poi un medico?, o sarà un infermiere? L'uomo estrae la scheggia, suda abbondantemente, consola con parole risapute, sutura, cuce, ti è andata bene bimbina, la scheggia non ha tagliato vene, guarirai, su su è tutto finito. Sarà anche tutto finito, ma la ragazzina resta sopra un giaciglio approntato sul carretto, sotto al tettuccio, e la Messinella porta qualche coperta e dice: "Non aver paura, dentro c'è puzza, qualcuno muore, che grida, qui l'aria è pulita e si vedono le stelle". La ragazzina Nada annuisce, annuisce come ora che guarda la foto per un attimo e poi la respinge via da sé. "Mammina ma le stelle come faccio  avederle sotto a queste tavole?". La Messinella le carezza la testa ricciuta. "Te le faccio vedere, poi però cercherai di dormire". E la madre la spinge fuori col carrettino e le dice: "Lo vedi', è lo stellato e se la cannonata la sparavano ora, uan stella spariva". "Perché spariva mamma?", chiede la Nada. "Perché le stelle sono buone ma hanno paura delle cannonate sparate dai soldati, figurati sono tanto lontane eppure temono di essere colpite e così si nascondono", risponde la madre. La ragazzina, nei mesi seguenti, alal sera, starà attenta al cielo e farà il conto delle cannonate che fanno sparire i bottoncini lucenti; crede che simile al buco che ha nella gamba, un altro ce ne sia in cielo dove una stella è scomparsa per la cattiveria degli uomini.
   La ragazza che poi diventerà mia madre, quando sarò ammalato con l'influenza, mi racconterà tante storie e fra le tante la sua: e io mentre mi assopisco avvoltolato fra le coperte, odo il carretto scricchiolare... scricchiolare: e non posso far niente per difenderla dal dolore.
   La Nada non riceverà nessuna pensione, non è stata registrata come degente, era sotto al tettuccio, sopra al carrettino. Il medico si è dimenticato della ragazzina ferita alla gamba sinistra da una scheggia. "Capirete, tutti i feriti e gli infermieri e le suore mi cercavano in quei giorni, una baraonda, un caos, non è facile per me ricordare... e poi non me la sento di firmare fogli se non c'è una testimonianza scritta del ricovero".

                


Caro Antonio
   Ora conosci una storia che ha vorticato nella mia fantasia e che mi ha mosso a sentimenti di pena. La foto poi... quante volte l'ho tirata fuori, di nascosto, dall'album!
   Scrivere, salvare dall'oblio parti della vita dei genitori, piccole parti, è un po' come viverle, di nuovo, al loro posto; ma quanta vita degli altri, foss'anche quella di una madre o di un padre si può vivere con la letteratura? Queste domande mi fanno provare un'agitazione enorme che sono sicuro confina con la paura, ma ora è meglio cercare di dormire. Ti abbraccio.
                      
                                Tuo Claudio


La foto dell'Ospedaletto che ti mando è una copia. Sono troppo attaccato all'originale.



°°°
  

 NOTA

La mi’ mamma Nada che racconto  in questi giorni con Feuilleton paesano, e in passato con altre pubblicazioni su Tellusfoglio (“Musica per il cuore della Nada”; “Album per mia madre”; “Cardiodramma campagnolo”; anche inserita nelle Avventure del Golem e dei Mara Zap, in “Vele musicate per l’Altro”, ne “Il colore della foto dice tutto” ), sta anche in un libro di Feltrinelli (1997) dove scrivo ad uno scrittore che non c’è più, qui, sulla Terra, ma secondo me da cristiano, anche se lui non ci credeva, sta altrove. In una delle storie con fotografia raccontate e dirette a questo amico, c’è quella della Nada ferita da una scheggia nel 1944 prima della Liberazione del paese. La ripubblico. Per questo libro ho ricevuto offerte di ristampa da editori tra i più importanti in Italia. Non ho accettato. Il mio libro e lettere e ricordi stanno custoditi nel mio paese. Vecchiano. E lì resteranno. Nelle stanze dove s’aggira la Nada. Per chi lo merita la mia amicizia è per sempre. Applico ciò anche all’amore. Questo implica la custodia, la cura, il "racconto" ma quando è il momento adatto. CDS





         

domenica 15 aprile 2012

Claudio Di Scalzo - Nada Pardini: Cancello verde, ghiaino bianco. Feuilleton paesano 5

                                                                                                                                                                                                                                                                                                     
CDS: "Cancello verde, ghiaino bianco" - Alla Nada - 15.IV.2010

 
CANCELLO VERDE, GHIAINO BIANCO

Ti saluto qui al cancello che inventò Lalo fatto a scala che cancello non è nemmeno. Nel vialetto c’è il ghiano bianco. La Nada ha il dono dell’ironia… lo senti come scricchiola il ghiaino sotto ai piedi? E’ lo stesso che sta al cimitero. Se qualche volta torni e non mi trovi qui sul cancello… vieni laggiù… c’è lo stesso ghiaino. Ci si saluterà lo stesso in qualche modo. Pensa al pino laggiù tra i monti alti lì un ci sono a ombrello perché un cè il mare... pensa al pino e al futuro (riferimento al post precedente a questo: "La magnolia, il noce, il pino, la torre. Feuilleton paesano 4 “, NdC)... torna a fine maggio ho piantato la rosa che rampia... se il seme è adatto la troverai fiorita così ne senti il profumo se t’affacci alla finestra quando sei a disegnà nello stanzone... il dipinto ti verrà meglio… e poi me lo vendi e ti do i soldi per il parafango... ora vai Accio… figliolaccio… e non mi salutà a pugno chiuso… mi pà era una camicia nera e devo tenè di ‘onto anche di questo riordo oltre a quello di Lalo ch'era un Rosso… come te.
Claudio Di Scalzo - Nada Pardini



                         
°°°



             
Sabato 27 agosto 2011

Libertario Di Scalzo detto Lalo e figlio Claudio detto Accio - La filosofia del Cancello verde . I, II





 
                

sabato 14 aprile 2012

Claudio Di Scalzo - Nada Pardini: La magnolia, il noce, il pino, la torre. Feuilleton paesano 4

                   
                           
CDS: "Magnolia, Noce, Pino per la Nada" - 14.IV.2010




          

LA MAGNOLIA, IL NOCE, IL PINO, LA TORRE 

Parto da Vecchiano. Abbraccio la Nada. Nel vialetto di ghiaino bianco dove dalla porta di casa, in fila, stanno la magnolia, il noce, il pino.
   
Guardiamo in alto assieme il noce che sta rimettendo le foglie. Arabescano l’aurora.
 
-Te lò mai detto Claudio cosa sono questi tre alberi per me... no? forse lò pensato di dittelo a volte vado  sopra nello stanzone metto a posto qualche foglio che ài lasciato in giro e che non intendo se lo leggo allora guardo i colori dei disegni che hai fatto quelli li 'apisco ci vedo quello che mi pare a me se tu ne vendessi almeno uno potresti cambià il parafango crepato alla macchina  ma so chi somigli e un lo farai poi mi metto alla finestra da dove ti guardo in questi giorni da sotto che guardi l’alberi mi ci son messa e anchio ho tirato a me dei pensieri: due sempreverdi e uno che le foglie le perde nel mezzo. La magnolia è la ‘asa. Anche di chi c’è stato prima e ci starà dopo. Il noce siamo noi che si more. Che s’invecchia e si more. Si perde le foglie come l’anni. Il pino è il futuro: i miei nipoti i tu figlioli e quelli che avranno. Il verde non si perde. Le foglie son fini resistono al vento alla burrasca. Là in fondo cè la Torre del ducento. Quella è  la Storia che tu hai studiato nei libri e anche di chi ha scritto in essa belle parole che poi insegni. La storia anche delle parole dette che valgono conservalle. Anche quelle d’Antonino il tu amio di quand’eravate insieme  a Vecchiano e che è morto in una città lontana verranno ‘onservate e la su mamma mia amia la Riesa che mi fece partorì sarà contenta.
       
Lo vedi che non ciai una mamma zuccona perché anchio ho fatto uno scrittore che insegna ai giovani le parole importanti da tenere nella Torre.

                   
Tre alberi in un vialetto di casa... che a volte ho ricordato in altri scritti. Li disegnerò per ricordare questo colloquio con la Nada. Un tempo c’erano artisti che cercavano il segno anche ripetendolo fino a farlo diventare il loro segno. Ecco i tre alberi sono per me quello che per Fontana e Licini erano il taglio e la farfalla. Li ripeterò ancora. 

Claudio Di Scalzo - Nada Pardini



°°°










venerdì 13 aprile 2012

Claudio Di Scalzo: La torta coi bischeri della mi’ mamma Nada. Un'insolita filologia a scuola. Feuilleton paesano 3


                      
Claudio Di Scalzo e la classe III A Ragioneria di Chiavenna - Foto De Ròmeri Rachele


 LA TORTA COI BISCHERI DELLA MI' MAMMA NADA
(Un'insolita filologia a scuola)

E’ stata sicuramente una delle lezioni più spassose che abbia mai svolto in una scuola. In una classe Terza ragioneria. In questo caso di Chiavenna. Argomento il Medioevo e la parola bischero associata ad un dolce. Che transita da Firenze a Pisa e Lucca. Il tutto grazie alla torta coi bischeri che la mi’ mamma, Nada, ha voluto anche quest’anno impastare nonostante il cuore le pompi in petto soltanto grazie alla “macchinetta”. Portala ai tuoi studenti e ad ognuno una fetta, mi ha detto. 

Così ho fatto tornando in Valchiavenna anche col peso addosso di lasciar sola una donna di ottanta e passa anni e ammalata di cuore.

La torta coi bischeri prende il nome da bischero. I Bischeri erano una famiglia fiorentina che possedeva terreni dove il Comune voleva edificare la chiesa che voi conoscete come Santa Maria in Fiore. Siamo all’inizio del Basso Medioevo. Il Comune ricevette almeno tre dinieghi dai Bischeri, anche a fronte di alte somme. Al quarto confiscarono loro i terreni, qualcuno lo uccisero e il resto in esilio. Allora le transazioni commerciali potevano diventar rischiose e a fil di lama. Soprattutto se si era bischeri… e cioè non si sapeva stare al mondo, capire quando la corda poi si spezza, ed evitarlo trovando un compromesso, una soluzione sensata. La torta coi bischeri poi si connota allusivamente di altri echi. La pasta che racchiude cioccolato, canditi, uvette, viene scolpita come tanti piccoli bischerini. Bischeri di bimbo, o bischeri in riposo, tozzi, di adulto. Anche perché la torta così calorica, a mangiarne una bella fetta, incita al vitalismo erotico e allora il bischerino diventa bischero un po' più grande.  Se poi uno pensa che il dolce adesso soprattutto diffuso nella zona di Pisa, Vecchiano, e nella zona di Lucca, Capannori, viene fatto per le fiere di primavera in concomitanza con l’Ascensione abbiamo un altro esempio di sacro e profano. E forse bischero è anche chi non crede al Cristo che muore e risorge. Questo almeno fino alla laicizzazione italica integrale.


Questa è stata pressappoco la mia lezione. Poi abbiamo mangiato brindando con la Coca-Cola e la Sprite alla salute della classe, auspicando che tutti siano promossi, e i ragazzi hanno anche brindato alla mi’ mamma: la Nada. Quando le racconterò che è apparsa in una lezione col su figliolo sicuramente il suo antico cuore batterà meglio alla latitudine del sentimento invincibile. E appena recuperato il suo umorismo non mancherà di dirmi al telefono: "Forse è perché di torta coi bischeri ne hai mangiata tanta che hai fatto nella tua vita un fottio di bischerate". Rideremo assieme e andremo a letto contenti. Io qui tra i monti lei là vicino al mare. 

Claudio Di Scalzo



      

giovedì 12 aprile 2012

Nada Pardini: Mè capitato un figliolo fatto ‘osì e me lo chiamano Accio. Feuilleton paesano 2

                           
                 

Accio al campo della Barra - Vecchiano. Foto Beppino Di Scalzo




               
MÈ CAPITATO UN FIGLIOLO FATTO ‘OSÌ E ME LO CHIAMANO ACCIO

Prima di buio prima che i pipistrelli mordessero le ‘ode ai rondoni sopra la ‘appa di cielo di ‘asa nostra… mi mettevo in cima all’aia perché di li a poo sarebbe ‘ominciato il pellegrinaggio con le orazioni verso di te che n’avevi ‘ombinate al solito di ‘otte e di crude… s’eran mamme me la ‘avavo promettendo gonnelle ‘ucite e stirate senza che spendessero una lira e s’eran omini il più delle volte ‘ontadini il tu babbo Lalo avrebbe sterzato qualche viaggio nei ‘ampi col camion a portà al mercato spinaci in inverno e pomodori in estate senza fanni tirà fori un quattrino… mi prendevo certe arrabbiature perché ti facevano apparì peggio di quello chessei…  e qualcuna di sussiego con in famiglia gente di ‘oncetto faceva notà che col telefono si fa prima ma non cèra in ‘ucina perché l’avremmo messo tra qualche anno per tu pà che lo chiamavan pe’ viaggi d’andà lontano e per te… perché eran cominciate altre visite ma stavolta di ragazze per dimmi che ciàvevo un figliolo bugiardo che l’aveva prese in giro con un’altra… e io che potevo fà? ch’avevo smesso sul subito di pensatti posato e sposato in Sant'Alessandro con un bel fresco lana cucito da me… nulla! sopportavo con te piccino e con te grande… a volte ti dicevo ch’era “meglio perditi che trovatti”… e questo ti scatavetrava lo ‘apivo… però era bene che intendessi che se te lo dice una mamma è proprio segno che sei Accio di nome e di soprannome… ma lo dicevo  sorridendo e ripensando che fatti nasce a sette mesi e salvatti con una puppa sola con un ‘apezzolo solo perché l’altro non buttava era stata un bella impresa… eri venuto fatto ‘osì… meglio non potevi esse bimbo mio… e anche se ti stramonavano sull’aia… l’altri figlioli dell’altre non l’invidiavo… mi garbavi di più te… eri unio nelle ‘orbellerie nei dispetti nelle bugie… e quando mi portavi le ciliegie mature le più rosse eri il bimbo più bello del mondo per me… con quei ‘apelli riccioluti che si ribellavano a ogni pettine… con quegli occhi neri che sembravano vedè anche nel buio… e il viso tanto bellino che veniva voglia di sbaciucchiatti come fossi zucchero… lo vedi come mi buttano i pensieri? ora che ciò il core mezzo pompato dalla macchinetta che gli dà battito per fammi campà dell'altro.
                          
E mi guardavi ironio… e sembravi dirmi quello che pensavo… “meglio perdimi che trovammi?... 'osì uguale non lo ritrovi… e poi ti manco!” – Era proprio 'ome mi dicevi col sorrisino a demonietto... e m'immagino che senza esse mamme l’an pensato lo stesso le donne che t’an preso il core e tu a loro… son stata anco gelosa… non dovrei dillo né pensallo… ma-me lo dio e te lo dio… perché a volte ciài lasciato le piume… e ti vedevo e ti vedo sul terazzo nella sera che passa sul noce a guardà dove il tempo degli innammori posò limatura di ferro e pane… e intendo che a sposatti e avé figlioli un thà tenuto del tutto le briglie
                       
Con la quinta elementare cè da legge poo... poinino s’intende… allora da bambino tu se’ stato il romanzo in cima all’aia  dove intendevo quello che più mi piaceva 'apì e sottolineà con la matita d'un sospiro d'una risata… e poi riraccontallo al mi Lalo e riavacci altro ‘apitolo col su punto di vista che non andava a combaciassi al mio… se sei scrittore come pensi d’esse raccontala la tu mamma el tu babbo che ti misero al mondo fatto ‘osì… se un mi si ferma il core prima... poi me lo leggi… e se è meglio perditi che trovatti... perdere il tempo passato e ritrovacci un libro mi sembra un'avventura signifiante che qualcosa di bono te che bono un lo sei stato hai 'ombinato... e son contenta davetti fatto 'osì anche se tàn chiamato Accio...  


NADA PARDINI
Pasqua 2012
  

                    
La foto te la fece alla Barra il tu zio Beppino che poi farà una morte brutta a Migliarino Pisano... aveva una di elle macchine fotografie ameriane che fotografano 'olorate. Nell'albergo a Viareggio e nel loale da ballo che mandava avanti c'erano in giro... ma per noi erano una novità...






                       
                  

mercoledì 11 aprile 2012

Claudio Di Scalzo: La cicala e la formica nella casa della Nada. Feuilleton paesano 1

                                                                           


  Libertario Di Scalzo detto Lalo e Nada Pardini





LA CICALA E LA FORMICA NELLA CASA DELLA NADA
          
Quando torno a Vecchiano nella mia casa. E al primo piano dove tra stanze mai finite in muratura e infissi  c’è un atipico studio d’artista, trovo sempre un particolare, una delicatezza, che mi dice come mia madre sia stata lì. A volte è un centrino ricamato sul tavolo, con sopra un quaderno a righe che ha acquistato nel locale mercato, e accanto una penna con calamaio. Capisco che la Nada m'immagina con la penna in mano dello scrittore. Anche se mi vede con il pc acceso portatile. Per la Nada scrivere vuol dire usare la penna stilografica. E allora scrivo con la penna. Sua. Ho interi quaderni dedicati a mia madre e alla sua famiglia. Alla storia della sua ferita causata dalla scheggia di una cannonata tedesca, estate del '44, che le passò da parte a parte la coscia. Scheggia che rimbalzando sulle mura della torre ghibellina la ferì lasciandola più bella. Se ne accorse anche un uomo che stava nascosto in un loculo del cimitero di Vecchiano e che usciva a notte fonda per combattere i fascisti e i nazisti. E che le lasciava un fiore sul davanzale della finestra. Questo certamente contribuì a farla guarire. Quell’uomo era mio padre. E lo chiamavano Lalo. Perché il suo nome, Libertario, il fascismo glielo aveva cancellato all'anagrafe e sui documenti. Lalo amava la figlia del fascista del paese Vittorio Pardini. E questo amore era proibito dalle ideologie: ma non dal calco degli amori che un bardo inglese e un guelfo fiorentino avevano rivelato. E avrebbe avuto sviluppi tragici nella mia famiglia. La Nada, pudicamente, non vuole parlare di questo periodo della Resistenza che la teneva col fiato sospeso. Per pudore, mio, di figlio, non insisto. E neppure chiedo più di tanto la storia della mia nascita, tanto accidentata, di sette mesi l’Otto dicembre del 1952. Ma stavolta è riapparsa la storia della Cicala e della Formica. E la racconto. E gliela dedico.
                      
Facevo la quinta elementare. La Banca Toscana indisse un premio per le scuole del comprensorio. La maestra Bertoni, seppur nascosta camerata nella democrazia repubblicana, chiese al figlio dell’anarchico Libertario di scrivere, perché secondo lei lo sapevo fare, una storiella. Parteciperai con altri della scuola, vedremo cosa vali! Rimarco severa col mento puntuto e con un pelo attorcigliato.  La scrissi. Nell’aula della scuola furono presentati i componimenti. Quello di Accio arrivò ultimo. Avevo dato ragione alla Cicala contro la logica della Formica che accumulava chicchi. Mi piacque di più la Cicala che stava sull’albero a cantare che poi moriva con il freddo nel disincanto. Anch’io salivo sugli alberi.

Anch’io ero un perdigiorno in pantaloncini corti senza sapere di Eichendorff. Fu una delusione grande. I compagni di classe e le compagne mi irrisero. Salvo una che chinò il capo. La prima innamorata.  Di Accio. E dovetti sorbire le reprimende di maestra e direttori di banca come se fossi colpevole di un attentato alla Ricostruzione Italiana in senso disfattista. Lalo mi fece discorsi per me incomprensibili sul Capitalismo e sull’Anarchia che avrebbe abolito le banche. Tutte cicale diventeremo ma con la casa per l’inverno riscaldata, disse. Stringendomi a sé. Piccolo compagno Accio hai già capito tutto. Buon sangue non mente.
                   
La Nada non disse nulla. Non del tutto convinta di queste spiegazioni. Stette in silenzio. Mi carezzo i capelli indocili e mi avrà detto: Sei bravo lo stesso, non temere, continua a scrivere usa la penna che non ho usato io. Usala.
                  
Ieri sentendomi cercare nello studio stando dabbasso, perché cerco dattiloscritti e minute e foglietti di una poetessa svizzera infelice che si divertiva a nasconderli nel caos delle stanze dei mobili; e sentendo che trascinavo scatole, spostavo bauli,  aprivo armadi e altri “forzieri” casuali dove ho affastellato quanto scritto e disegnato, la Nada ha salito, faticosamente, col suo cuore scassato le scale, è entrata e mi ha detto: "Ma stai cercando per caso questo? Era il componimento sulla Formica e la Cicala. Ho sempre pensato che avrebbe dovuto vincere il primo premio. Di quanti eravate solo tu sei diventato uno scrittore. La commissione si era sbagliata".
                                      
Ci siamo abbracciati. Con una tenerezza estrema. Ci sono dei momenti in cui si viene come risarciti, tutto assieme, dalle ferite che la scrittura impone. Per me è stato l’abbraccio di mia madre, che sopravanzando  il giorno in cui studente scrissi di una favola rovesciandone la morale e perdendo il premio fino ad aggi che cerco frammenti di un libro perduto,… mi dice che l’avventura di Accio sarà per questi accadimenti ricordata. Una stolida commissione ideologica degli anni Cinquanta e il destino che inghiotti una giovane donna a 25 anni alle Lofoten, avranno perso la partita. Con un monello poi uomo inaffidabile come una Cicala. Sull’albero a cantare.


Accio bambino stellato con la Nada - 1972 




                  
Questo il componimento

La Cicala bussa alla porta della Formica previdente che ha raccolto nella tana chicchi e legna contro il freddo. “Un solo chicco per sfamarmi, un solo tepore di pochi minuti”, ti chiedo Formica.
"D’estate hai cantato e ora batti i denti sventurata", risponde la Formica chiudendole la porta in faccia.
La cicala sta morendo dal freddo, nel gelo, risente per il dolore provato la sua canzone. Le piace tanto anche se sempre uguale. Sempre la stessa.  Canta del sole splendente e del giardino verde e colorato. "E’ brutto l’inverno" si dice. "Che vale viverlo?" E muore col sorriso sulle labbra.
              

-Claudio  me lo leggi quanto scrivesti?


(...)


-Bravo: potevi fare anche l’attore.

Lo so. Potevo fare tante cose e ne ho fatta una sola.

E quale?

Il figliolo lontano.

                    
A quel punto ci siamo abbracciati ancora. E questa è stata la mia Pasqua nel suo battito migliore. Ma siccome quanto scrivo fa parte di un Feuilleton Elettronico - e le regole  valgono anche per il web, son sempre le stesse dall’Ottocento a oggi - la storia della Cicala e della Formica scritta da un bambino di quinta elementare detto Accio, e la descrizione del suo ritrovamento da parte di un’anziana sarta, potrebbe essere un’invenzione,  per commuovere… per commuovermi in un abbraccio, potrebbe essere nello stesso tempo tutto vero e tutto falso. Lo scrivo senza nulla sapere di astute narratologie, lo scrivo per limpidezza, limpidezza che questo aprile impone. Sicuramente però ho un brillio negli occhi e sono felice di questa mia prima prova, ritrovata, da scrittore e da comunista cicala fin da piccino. Poi mi sarei perfezionato però stando ancora, come l'insetto canterino, sull'albero fantasia a cantà. E l'arte così in chiasso a donà.  

Claudio Di Scalzo
alla Nada, a mia madre sarta
e per il Libro Perduto di Karoline Knabberchen

Pasqua 2012