Cds, “Coriandoli del Cuore Morto”, agosto 1984, da “Cardiodramma”
Claudio Di Scalzo
QUATTRO APOLOGHI PER LA SERA MUTA
Inferno Domestico
Lo spettacolo si rappresentava quasi sempre nella gabbia montata in cucina. Lì il Domatore volgeva le spalle alle belve e doveva riconoscere chi gli dava le zampate dalla profondità delle unghie che gli entravano nella carne. Il Domatore aveva fatto presente che ormai il gioco era inutile perché riconosceva con facilità il peso delle zampe del maschio e della femmina madre e aveva consigliato di graffiargli casomai il petto, risparmiando per un po’ la schiena. Era fiato sprecato, tutto doveva continuare come sempre. (9.VII.1985)
Da “Apologhi per la sera muta”, annuario Tellus 27, “Dalla Torre Pendente alle Alpi. Viaggi e altri viaggi”, febbraio 2006. Volume esaurito. Gli Apologhi verranno ri-pubblicati sul magazine on line Olandese Volante.
Il racconto celato
Egli fu tentato di chiamare il suo infermo domestico “L’ultimo racconto di Federigo Tozzi” ma accorgendosi che il finale era stato strappato proprio dallo scrittore senese come troppo crudo, non ne fece di niente e si dimenticò pure incipit e trama di quella sua giornata ferragostana. (15.VIII.2010)
Facce da Cardiodramma per i tempi di Facebook
Il gruppetto che comprendeva i miei turbamenti estivi si presentò al Giudice con maschere di cuore perfettamente aderenti a occhi zigomi bocche imploranti. Il Giudice guardò la comitiva con sufficienza e poi ci sgranocchiò con morsi annoiati come fossimo grissini. Pulendosi col palmo le sanguinolente labbra sghignazzò… che bella mattinata accorata. Un attimo dopo la polpa di faccia cuore che sputacchiò, definendola amara, era la mia che infatti, mentre morivo tra le mandibole, pensavo al bene perduto per stupidità e sul quale era perfettamente inutile chiedere un giudizio che sapevo di colpevolezza… però la mia truppa sentimentale cercava una fine simbolicamente allegra e adatta a Facebook. Un Cardiodramma visibilmente in grado di commuovere il pubblico. (15.VIII.2010)
Insignificante teologia ferragostana
Si era, come diceva sardonicamente il Demonio che l’aveva preso sotto la sua protezione, "acculturato"; e aveva tanti amici fidati nei testi ricevuti, intrisi di alta passionalità anche romantica, da mettere alla prova! sibilava caustico l’amico Demonio che pure glieli aveva cercati, e per questo il Marinaio sciocco se ne stava tranquillo. Anche quando arrivò l’esondazione del fiume nella sua vallata complicata da una sciagurata onda malevola del mare, non si preoccupò dicendosi: “Semplice salvarmi!, con l’aiuto di queste pagine formo la chiglia, con quest’altre poppa e prua, con altre ancora timone e vele e mi metto in salvo”. Il più tardo dei marinai avrebbe considerato che per quanto nobili fossero quelle pagine, e altamente ben scritte, e colme di metaforici slanci, erano pur sempre carta, e infatti l’imbarcazione stette a galla un attimo per poi inabissarsi con il Marinaio Sciocco in totale solitudine. E sciocco lo fu fino all’ultimo, pur di non ammettere la sua ottusità fiduciosa annegava e s’immaginava accolto da un’isola felice dove la nave con lui sopra avrebbe visto realizzato quanto di bello le pagine raccontavano. Invece l’isola era un sordido spuntone di roccia sul melmoso fondale marino, a guardar meglio una specie di aguzza poltrona, su cui il Demonio stava seduto aspettandolo sulle ginocchia afflosciato cadavere e avvolto nella carta ridotta poltiglia come fosse un inchiostrato sudario senza importanza. (15.VIII.2010)
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NOTA SUGLI APOLOGHI PER LA SERA MUTA
“Agli Apologhi per la sera muta mi dedico da una vita. Alcuni sono comparsi su rivista. Poche pagine. Credo sia utile riproporre al lettore, nelle tre occasioni che ciò è accaduto negli ultimi vent’anni, le brevi note introduttive”.
“Scrivo sui cornicioni di Diari, racconti e romanzi. A volte scivolo su umide intimità, spiaccicando in basso la confessione dei miei capogiri. In altri giorni, da un’altezza non mia, girotondo con la vita apparente del testo un’allegria di virgolette, mimo resurrezioni di personaggi, stampo sulla mia fronte tramonti e albe opache, e tutto per diventare un segnalibro ben riconoscibile”. Da Zeta, Campanotto editore, Udine, anno X, n.10, 1988.
“Sotto lo stelo sull’abat-jour di camera mia, da anni, tengo dei minuscoli racconti. Foglietti. Quasi un eccentrico centrino. Ne ho sfilati a caso sette”. Da TELLUS, n. 18, 1997.
Nei “Quaderni Valtellinesi” n.73, 2000, mi presentò l’amico Ugo Sentito.
“La vocazione di questo scrittore è l’occultamento. Mentre chi si dedica alla letteratura si fa subito sedurre, anche per i suggerimenti degli editori, dal romanzo, Di Scalzo si affida al componimento breve: racconto, poemetto in prosa, frammento, apologo. Tanto da costituire un reticolo di radici, un rizoma direbbe Deleuze, che dalla sua scrivania passa, con il contagocce, da riviste ciclostilate (ricordo nell’87 “Tra noi”, Bollettino parrocchiale ciclostilato di Traona-Valtellina) fino a quelle distribuite nelle librerie. L’intrico è complicato dal fatto che nel suo sottolibro (faccio una battuta), Di Scalzo coniuga con la scrittura disegni o fotografie. Perché questo nascondimento? Ammetto che non lo so. Nevrosi, direbbe lo psicoanalista; coscienza che tutto è vanità senza Dio, dice il teologo; anarchia artistica, potrebbe dire chi rifiuta la mercificazione dello spirito; delusione per la presunzione degli intellettuali incontrati nell’editoria e nelle riviste specializzate, dirà il sociologo; stupidità di chi non sfrutta la propria capacità operativa, afferma il self-made man. Lasciamo irrisolta, come è giusto, questa incognita. Le poetiche si spiegano a posteriori. In ogni caso sono riuscito a farmi regalare alcuni apologhi (...)”. Da Tellus 27, 2006, cit.
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