sabato 20 maggio 2017

Claudio Di Scalzo: Celebrare la Shoah per celebrare se stessi piangenti. W Céline! Abbasso C.A.G.A. (1 febbraio 2011)







Claudio Di Scalzo

CELEBRARE LA SHOAH PER CELEBRARE SE STESSI.

W Céline abbasso C.A.G.A. Cultura Assorbente Gerarchia Assisa (2011)


Scopro in Rete ed in Facebook che ad ogni ricorrenza consegnataci dalla storia in tragedia, altissima tragedia - come la Shoah ehmm il Gulag ancora è silenziato così come i campi degli inglesi contro i boeri o dei Belgi in Congo o dei generali Custer contro gli Indiani - ogni soggetto con il suo orticello telematico si fa specchio di un pianto in forma di pixel e trafiletti e video e incaute traduttrici rilanciano gli umanisti e storicisti Sartre e Camus per magnificare un possibile comunismo non staliniano come se su questo non si fossero già smusati dai Situazionisti a Marcuse a Bloch! E cerca per questo visibilità come se la finestrella in campo elettronico fosse un filo spinato, una morte per inedia e frustate. Contemporaneamente poche voci si alzano a difendere gli Angeli Nerofumo come Céline. Ah beh, si dice al massimo!, era fascista e antisemita ma grande scrittore! Ma uomo abietto! … e chi lo dice! Intanto verso la più abietta delle categorie che è la Cultura Assorbente in Gerarchia Assisa C.A.G.A. nel Quaranta come oggi (e per fortuna sempre più i direttori editoriali vengono dai supermercati e se merce ha da essere che la giudichino chi se ne intende di merci!) Céline fu un ribelle e tanti prodi rivoluzionari come Sartre e Camus santificarono il mestiere di scrittore-Redentore (Un Cristo basta ed avanza ed è inarrivabile!) per regnare su di un intera cultura, la francese e colonie europee… poi faceva il medico gratis e ogni presenza di Sartre anche nel più modesto incontro, ne ricordo uno a Pisa nel 68 o giù di lì! costava un occhio della testa!... e poi Céline è morto tra la merda dei gatti e di altri volatili scatarrosi… e dimmi come crepi letterato e ti dirò se i tuoi libri restano! (...)




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SULL''OLANDESE VOLANTE






Claudio Di Scalzo: Viva Céline abbasso C.A.G.A. Cultura Assorbente Gerarchia Assisa. I (1 febbraio 2011)






Claudio Di Scalzo

Viva Céline abbasso C.A.G.A.
(Cultura Assorbente Gerarchia Assisa)


(...) poche voci si alzano a difendere gli Angeli Nerofumo come Céline. Ah beh!, si dice al massimo, era fascista e antisemita ma grande scrittore! Però uomo abietto! … e chi lo dice! Intanto verso la più abietta delle categorie che è la Cultura Assorbente in Gerarchia Assisa C.A.G.A. nel Quaranta come oggi (e per fortuna sempre più i direttori editoriali vengono dai supermercati e se merce ha da essere che la giudichino chi se ne intende di merci!) Céline fu un ribelle e tanti prodi rivoluzionari come Sartre e Camus santificarono il mestiere di scrittore-Redentore (Un Cristo basta ed avanza ed è inarrivabile!) per regnare su di un'intera cultura, la francese e colonie europee… poi faceva il medico gratis e ogni presenza di Sartre anche nel più modesto incontro, ne ricordo uno a Pisa nel 68 o giù di lì! costava un occhio della testa!... e poi Céline è morto tra la merda dei gatti e di altri volatili scatarrosi… e dimmi come crepi letterato e ti dirò se i tuoi libri restano!



(...)  I know my chickens, scrittori pittori poeti et similia, che per una prefazione, un rigo d'attenzione su imbalsamate riviste-testate fossili in carta, che per una plaquette, un reading in truppa pong ping con editore circense! un premiucolo! danno via via malloppi di euro! e orifizi! e altri buchi solitamente usati per altro! e che capitati sul Web e su Facebook si sono autonominati critici della Poesia on Line! con trattati poi riportati su carta da nessuno letti!... 



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venerdì 19 maggio 2017

Claudio Di Scalzo: Lettera al fido pescator defunto. Botte con plauso 1






Claudio Di Scalzo

Botte con Plauso 1

LETTERA AL FIDO PESCATOR DEFUNTO 


Siccome è da un giorno che sei morto e non hai avuto tempo di leggere la mia nuova teoria in materia di pesca delle anguille che risolverà i problemi del nichilismo in materia di pesca e foglia fresca. Le anguille van prese con una foglia fresca di un fico e lo saprai. E tu dove sei giunto stai fresco? O accaldato nelle giunture ghiacciate dalla morte?... se hai tempo leggi la mia lettera poi nella prossima seduta spiritica al Club Pescatori e Attori della Filosofia Oceanica, di cui tu eri un membro fondamentale, m’informi di cosa ne pensi. E noi abbiamo un ulteriore slancio per diventare il Club di PESCATTORI  più forte in Europa.



domenica 14 maggio 2017

Claudio Di Scalzo: Giovanni Boine Muore racconto polifonico per il centenario della morte 16 maggio 2017 - La Morte come necessità per l'Assoluto.


Giovanni Boine Tut in Art Brut
cds





Claudio Di Scalzo

GIOVANNI BOINE  MUORE RACCONTO POLIFONICO

 LA MORTE COME NECESSITÀ PER L’ASSOLUTO

(Nei tempi della Rivoluzione Digitale)

"Giovanni Boine muore" nel racconto polifonico vive perché il tempo, come scriveva Agostino (Confessioni, Libro XI) non esiste. Quindi date del personaggio Boine, del Boine autore dentro nascita e morte, possono aprire capitoli poematici-narrativi con assoluta libertà garantita dalla Rivoluzione Digitale. Però in questo caso sfruttata in modo rivoluzionario. Lo strumento di produzione basato su tecnologie informatiche pone centrale il fattore corpo e il fattore spazio rendendo il narratore (a volte lui stesso personaggio) il primo spett-attore della vicenda.

L’agonia in questo teatro poematico viene proposta sul piano cristiano per accostare chi legge-vede a una vicenda che pure lui riguarda. La Morte.

Soggetto fondante è il corpo umano in questo caso di Giovanni Boine che si spoglia d’ogni orpello letterario aiutato in questo dalla malattia mortale detta Tisi e da vicende sentimentali che lo hanno “martirizzato” mentre lui stesso martirizzava.  

MALATTIA MORTALE e AMORE CHE PORTA MORTE i poli dialettici di “GIOVANNI BOINE MUORE NEL MAGGIO 1917"

Conoscere, entrare detto meglio, nel corpo attraverso i sensi telematici e poi della tradizione novecentesca (con le sue estetiche molteplici: dal Fumetto all’Espressionismo alla Body art alla Narrative Photo, questo l’andamento delle immagini nel libro transmoderno “Giovanni Boine Muore-16 MAGGIO 1917”) e della tradizione duemila: Post-Umano Post-Ideologico, consente la rappresentazione di un mondo poetico-biografico (quello di Boine ma anche quello di chi organizza il libro) come simulacro dove sia possibile, per il lettore e ancora per gli evocati personaggi, sperimentare una vita parallela. Romanzesca. Dove l’agito, il sentito, il conosciuto-negato, la narrazione sia figurativa-scritta vive un’altra pienezza sensoriale. Proprio quando sul palco del racconto “Giovanni Boine” c’è la Morte.

Giovanni Boine appare e scompare, si moltiplica, si riassume, in una ALLUCINAZIONE grafica PRESA IN PAROLA e PER IL COLLO BIOGRAFICO che rivela la molteplicità dell’esistente in amore e arti per proporre reale approdo, immodificabile, assoluto che è la Morte dell’autore  e del poeta che beffati nel non aver raggiunto l’assoluto sono travolti dagli eventi. Eraclito del tutto scorre anche nella telematica-vita vince su Parmenide. Su quanto è immutabile. Sacro. Perché l’assoluto in Amore e in Poesia, che Giovanni Boine cercò - e chi ne racconta l'agonia di questo riceve lezione, e ciò si impegna a perseguire - necessita semplicemente della MORTE. Solo allora, varcando la Morte, chi cerca l'Assoluto può trovarlo. Viverlo. Non perderlo. Nella gioia finalmente che non verrà più insediata da quanto scade - scadenza anche nei linguaggi che l'assoluto custodirono - si perde, si rivela illusione. 




sabato 13 maggio 2017

Giovanni Boine scandalo del corpo solitario morente. Claudio Di Scalzo per il centenario 16 maggio 2017


Giovanni Boine tossisce la sua  malattia mortale il 14 maggio 1917
maggio 2017




Claudio Di Scalzo

LO SCANDALO DEL CORPO SOLITARIO
(NEL MALE NELLA POESIA)
DI GIOVANNI BOINE

(14 maggio 1917)

Lo scandalo inaggirabile della vita di Giovanni Boine è che muore solo, il 16 maggio 1917 a Porto Maurizio di tisi in agonia terribile,  rifiutando qualsiasi adempimento letterario, disinteressandosi di ogni pubblicazione dei suoi scritti, dispersi già in vita ovunque senza farne libri! (a), negando ogni letteratura (tantomeno il riflesso ancora più caduco della letterarietà colta decadente) nella sua agonia, per scegliere, lui lettore di Kierkegaard e di Unamuno e dei mistici medievali, la morte dell’umiliato nell’abbassamento ( “L’Esercizio del Cristianesimo”, Kiekeegard) croce-malattia mortale.

Mi lasciano solo come corpo senza importanza come anima già consegnata al nulla i letterati che conobbi. So che Giovanni Boine non sta affatto in salute, me lo saluti. Si dicono in scambi di letterine. Ma a sollevarti la schiena per farti bere un sorso d’acqua a volte capita il vicino di casa, l’operaio, il brunista, l’erbivendola impietosita. A sapere che mentre sputo sangue sulla Croce, con dolori incurabili devastato da incubi e allucinazioni, i letterati della Voce o gli amici di un tempo in Rinnovamento discutono altamente nei loro consessi se è necessario tornare a Leopardi per rinnovare la poesia italiana o fin dove spingersi col Vangelo nella comprensione della povertà economica, mi scuote alla residua nausea, di più al vomito, verso questi mestieranti delle facezie teoriche con cui condiscono grandine filosofica scopiazzata oltralpe o in qualche Walhalla per addivenire a nuove estetiche superanti, o integranti, la crociana convinti di cambiare le sorti della spiritualità umanistica rimasta ferma al Rinascimento; mi muove al riso, che posso soltanto immaginarmi! non articolo la mandibola, e il collo è torso legno scheggiato, la glottide pruno!, verso queste figurine grottesche. Con cui ahimè mi scambiai! Le lettere che scrissi pure a me danno un ruolo di marionetta letteraria. Possa la malattia che alla morte mi porta recidere i fili di quel me stesso di allora. E questa agonia, Cristo mio Signore, Gemma mia dama di protezione, farmi morire distante da quel mondo lì abitato a sproposito a mia dannazione.

Soltanto chi ha provato l’infermità, il dolore nella sofferenza incessante, può capire cristianamente chi soffre. Può stare vicino all’ammalato, reggerne da vicino il capo dare all’infermo parole di consolazione più alta medicina, avendo vissuto o vivendo medesimo dolore e sconvolgimento nei muscoli negli organi rotolanti sull’inutile ceppo del male.  Cristianamente questo atto di pietà e amore, il più alto, gorgoglia Boine tossendo - altro che dichiarazioni di amore assoluto tra fidanzati e amanti nella terrestre giostra oggi sì-domani no!, dei sensi e delle spirituali letterarietà amorose insufflate d’enfatismo  a cui pur’io stolto infinitamente stolto peccatore m’affidai -  salva chi lo riceve salva chi lo dà. Porta alla Grazia. Se guarissi, non accadrà!, andrei a portare la mia poesia atto concreto d’amore ai malati in ogni ospedale e camera d’ammalati qui a Porto Maurizio!

Una volta incassato, continua Boine il monologo framezzato a fitte e tosse che pure risente del suo carattere fino in fondo pugnace e fiero verso il decadimento intellettuale italiano ora a lui manifesto in tutta la sua volgare superficialità e inutilità,  scriveranno necrologi frettolosi gli amici letterati. Non ho libri al momento coi quali possano ricavare luce da indossare come da loro prodotta. Non son poeta di successo e col cadreghino!  

Giovanni Boine, due giorni prima del 16 maggio 1917, non ebbe bisogno di aggiungere altro a quanto scritto anni prima per uscire dal viluppo di disgusto verso il mondo a cui era appartenuto: “Pasqua. Confessione. Comunione – Ma s’io dovessi confessare tutta la mia vita sarebbe peccato. O quasi – In verità pressoché tutto è logico e santo in me.”

Nei sedici giorni di maggio Giovanni Boine confesserà alle pareti della sua camera la vita sua nel peccato scoprendone la logica che lo aveva sospinto a traversare la colpa-errore santificandosi. Il peccato stava nell’essermi affidato alla letteratura, la santità averne rifiutato le lusinghe capendo come essa abbia travolto ogni amore che ebbi a vivere. Ogni mia interpretazione della spiritualità e financo della politica in affari economici.  Chiedo perdono nella mia sofferenza a chi portai del male e non il bene; perdono a chi sofferenza mi diede - travolta come me stesso in questa bugia della letteratura - sofferenza d’amore mentre ne davo.








Claudio Di Scalzo

NOTICINA INUTILE MEDICINA 
PER IL CENTENARIO DI GIOVANNI BOINE 
(1887-1917)


(a)
lo si ricordi in tempi on line ove libri fioccano come grandine annunciati per il dimane celebrati quei del passato sottolineati nel presente. Libri libri libri, presso improbabili editori!, di botto grandinano senza alcun plauso di lettori a cui gli scrivani dicon son ori non ghiaccio!


Chi si avvicina a Boine nel centenario vivendo vite letterarie, al cubo, praticando convulsioni imposte dalla gerarchia letteraria - quanto ne resta, pateticamente, on line e su carta stampata, negli scambi di recensioni, interpretazioni, encomi, commenti altisonanti - incistate nella carriera e nel mestiere del letterato o dell’esteta o dell’artista altamente in vista, non può che lustrare la propria solenne targhetta  accanto alla tomba del poeta che la pensò anonima, senza nome, se non quello che, il Cristo, gli avrebbe dato.






mercoledì 10 maggio 2017

Claudio Di Scalzo: "Giovanni Boine muore a maggio" -


CDS: "Giovanni Boine il 10 maggio 1917
Tecnica mista sui cartone, cm 40 x 30





Giovanni Boine muore il 16 maggio 1917 
a Porto Maurizio. In questo maggio è il centenario della sua morte. 

Dipinti e disegni da me dedicati a Giovanni Boine li esporro, il 16 maggio data della sua morte, centenario, nella camera dove vivo in questo maggio. Appicicandoli alla perete, sull'armadio, sul letto come lenzuola, per terra come mattonelle, dietro le spalle come testiera del letto. Dormirò e mi svegliero nel 16 maggio con l'autore che considero fratello nel dolore nell'arte. 
Nessuno mai saprà di questa "COMUNIONE", oltre chi raro capita sull'Olandese Volante. Ma questo è il modo, mio, di stare accosto al Maestro. Ciò mi dà gioia immensa, come aver indovinato la preghiera giusta per rivolgersi all'eterno della Poesia.



Claudio Di Scalzo 
GIOVANNI BOINE MUORE - 10 Maggio 1917
(Lucciole nel flacone, Salamandra lettera, cavalluccio Marino)


 I

Giovanni Boine il 10 maggio traballa anche per attraversare la camera. Non ha più parole per agguantare un minimo di consistenza ricavandone idea di sé. Fissa gli angoli del soffitto dove l’umidità ricama giravolte di scuro-verdastro. Le persiane gli rimandano luccicori d’aria pallida ma lui pensa al cipresso che vuole vicino alla sua tomba da dove trasmettere per chi verrà a trovarlo telegrammi di sapienza amorosa. Lui che in ogni amore ha fallito. Ho sempre perso. Io perdo sempre, si dice. Come il flacone vuoto della medicina inutile a guarire. Vetro che neppure le lucciole in esso racchiuse nel luglio dal monello nobiliterebbero. Prima dell’estate sarò morto.  (...)


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lunedì 8 maggio 2017

Giovanni Boine (1887-1917): I cespugli è bizzarro. A cura di Claudio Di Scalzo per il centenario


"È deciso si muore,
borbotta Boine,
col vestito migliore" 
CDS
China e acrilico su carta

maggio 2017





Giovanni Boine

I CESPUGLI È BIZZARRO

– I cespugli è bizzarro come crescono di nero a l’ora bigia degli ottobri! Il mare tetro fiotta nel crepuscolo come una fantasima… Allora nel cavo degli scogli gorgoglia a riva un pauroso ventriloquio di silenzio.

– Va con piedi di feltro e voci di secreto la frotta dei tornanti: tutta d’ombra. Escono dai cavi, quatte l’ombre: i sogni delle cose, piano, fumano e pigliano statura. Allora finalmente stano l’anima di dentro, e “guardare” è tollerabile.

– Apro gli occhi di macerazione a questo mattino-di-sera, a questo mattino notturno, che finalmente il mondo disgela e tutto si popola d’anima: è muto e cieco, ma d’indecifrabili mitologie.

– Strisciano dal gorgo del lucido buiore ecco i pesantidraghi, goccianti come coccodrilli, dove il ponte è capovolto.

– Torme pronte di mistero subito al limite dei boschi fanno ressa, fan marezzo come i mostri dietro i vetri dei marini acquari.

– Dico fiat: l’aria viscida si manipola di febbre, ma con che? è con fughe, con spaurite d’ali. Verso dove? È con echi di spettrali lontananze.

– Si sformano le forme dell’opacità, i lieviti s’esaltano degl’impossibili; e per esempio! quel dorso idillico della consuetudine oh oh come getta i getti enormi dell’apocalittica verzura! salgono a prova per zampilli sovrapposti, salgono, s’incurvano con zitti scrosci. Eruttamenti sono di vulcanico fogliame nero, eufrati di radure come lave verdi che dilagano.

 – Ed ora, dentro dentro, ora dentro, il denso è impenetrabile! Nessuno mai saprà (nessuno!) che mostro vi si celi né in che antro. Il fiato di caverna, respiro muto, esala; farà d’intorno un abbandono secolare. Il volo cauto degli uccelli passerà lontano ratto, come dall’albero tropicale dei veleni: – lo starnazzo triangolare degli spettrali gru, le frecce nere-stridule delle fughe dei rondoni, come il sonnifero ronzio delle mille api quando a cerca fanno l’estate elementare. Che deserto, e che deserto! Non si vedrà un vivente, né un insetto per trecento miglia di disperazione! la terra intorno vi sarà gelida e sassosa. Ma ritta la babele verzicante con le danze delle liane medusine, le cascate delle cupe edere e i pitoni attorcigliati degli immani tronchi per le altezze, lo sperduto leone con fulva posa di pavido stupore, con occhi di sgomento, un attimo voltandosi fino ai cieli la vedrà, fino ai cieli dell’immobile diamante, mareggiare buia, senza scroscio senza vento, senza fruscio nell’estatica aspettanza, sotterraneo celando il freddo di un incomprensibile segreto.

– Tutto il mondo si disgela in addobbo primigenio: piano, lente si disgroppan le potenze dell’oscurità. Allora l’anima svolazza pel suo caos con volo ambiguo di stregoneria, come il ribrezzo flaccido dei vipistrelli. Libidinosamente, allora l’anima diguazza i nenufari dei pantani favolosi, ittiosauro senza morte di prima d’ogni tempo. – Fuori d’ogni tempo “guardare” è tollerabile un più fedele specchio di questa oltreumana cecità.

– Però, però, lenti, non basta per le sere andare? Subito le chiuse della valle son sprofondi gonfi di tenebrore. Come si sfa nei biechi fiumi l’insostenibile solennità!

– A l’ora fonda delle confessioni questi passanti radi sono larve. Dove dove sono le baldanze delle luci? La valle di delizie, come furtiva geme nell’opacità! Come come sottovoce geme a l’ora fonda della verità!

– Quanto alla via e dov’è la via? è un biancore appena, oramai non porta a nulla. Di qua o di là? Ormai la meta è il nulla.

– Sono i paesi di fosforescenza, non hanno solidità. Ma dentro all’acqua quel fanale verde che si spande, giù dilaga fino a me, fa una scia di sogno per le fluidità.- E questa mi sia la via nell’ora fonda della verità.





CDS: "Terra del giardino di Boine morente - I"
(terra, e fiori di maggio strofinati su carta- cm 23 x 35)





Claudio Di Scalzo

CESPUGLI IN BOCCA PAROLE CIECHE IN GOLA

L’otto maggio 1917 traballa in mezzo alla stanza nella notte. Non sta in piedi. S’accuccia s’inginocchia si rattrappisce sul pavimento. I dolori lo devastano come ramo secco-sfrondato. A fatica raggiunge la finestra. Si alza. Pertica piegata sul vetro. Guarda fuori. I cespugli del giardino i fiori di cui non ricorda il nome. Le parole gli sfuggono come semola in imbuto-gorgo.

Decide di uscire fuori. Sembra una bestia ferita che si trascina. Ripensa un luogo di Porto Maurizio dove c’è una pergola di glicine. Ne sente il profumo stordente eppure dal mare gli viene odore di lezzo  e di carcasse di pesce marcio. Si china sul terriccio. Lo prende tra le mani. Lo sbriciola. Potessi passarlo sui manoscritti-linfa a vuoto che ho in casa! Fino  a cancellare ogni grafia! Un tempo scrissi  sui cespugli sulla bizzarria che portano a chi li guarda. Boine non ricorda a chi spedì il manoscritto.

Se sulle carte passassi strizzandoli nei colori negli umori nei gambi nei petali questi fiori senza nome per me allora terriccio vivo e fiori morti sarebbero il perfetto esito di una oltreumana cecita, la mia cecità di adesso, di ieri, la mia perdita di tutto. Poi ha uno svenimento. Si riprende. Sulle labbra umide-incise di saliva di sangue, precipitate sopra un mucchio di terriccio smosso, s’incollano brandelli di radici strappate.

Buttandosi sul letto vestito e impolverato Boine s’addormenterà-scosse col volto cespuglioso. Imbrattato.






domenica 7 maggio 2017

Claudio Di Scalzo detto Accio: Il benzinaio, lo scrittore, la sorella di Giovanni Ciucci brigatista nel rapimento Dozier



...è deciso si muore (scisse Gauguin) a Hiva-Oa... 
col vestito migliore (aggiungo)

Cascinale vecchianese nel maggio 2017

(le interpretazioni pop da dipinti celebri di Gauguin li dipinsi
per l'officina che mio padre aveva in queste stanze.
Li intese si intesero. Mi ci intesi. Tra selvaggi ci s'intende.
E l'arte solo valore d'uso (Marx) addolcisce ogni muso!






Claudio Di Scalzo detto Accio

IL BENZINAIO LO SCRITTORE LA SORELLA DI GIOVANNI CIUCCI BRIGATISTA NEL RAPIMENTO DOZIER 


Stamani sono andato al distributore di Gasolio del mio amico benzinaio Alfredo sull’Aurelia che porta a Torre del Lago, un ex campione di rugby negli anni Settanta. Ha la mia età. E deve fare il benzinaio per campare anche se ha spesso dolori forti alle braccia e alle gambe. Il rugby lascia segni e allora non c’erano le regole mediche di oggi contro le infiltrazioni e certe fasciature. 

Alfredo mi chiede: - Parti?

-Sì, domani, la vita è tutta una partenza.

-E un arrivo mancato!



Ci siamo guardati con grande simpatia. E gli ho detto che a questo punto era lui più scrittore di me. La mia affermazione è tutto sommato prevedibile, la sua no. Tante partenze e un arrivo mancato.

Qual è l’arrivo mancato per me? Oggi 26 aprile? Intanto che vivo il dolore per mia madre in ospedale, che stasera vado a riprendere per riportarla nella sua casa. E mentre vivo con ogni partecipazione, il dolore di chi incontro che poi diventa anche il mio.

Come ad esempio quello nella fotografia. Che mi ha scattato venendomi a trovare per sapere della Nada Pardini, come sta il suo cuore, Maria Ciucci. Di anni settantadue. Che vive facendo la badante perché senza pensione. Con Maria Ciucci non ci parlavo tanto estesamente dal 1982. Da quando suo fratello Giovanni, mio grande amico, venne arrestato per il Caso Dozier-Brigate Rosse. 

Abbiamo conversato per ore tra le tele e le scatole che contengono vecchi dattiloscritti e manoscritti. Compreso l’epistolario - direttore del carcere e i servizi segreti ne furono i primi lettori determinandone le "strategie" narrative - con suo fratello che ci scambiammo. Perché mi cercò quando era nel carcere speciale per detenuti politici ad Alessandria. So come funzionavano i carceri "speciali " e quelli "normali", di che pasta eran fatti chi li dirigeva "sorvegliando e punendo". Giovanni Ciucci ne ha cambiati parecchi.

“Accio ho bisogno della tua amicizia. Scrivimi che ti rispondo. E così non sono solo così resisto meglio!”. 



Io e Il Pazzo, Paolo Fatticcioni (1949-2005), andammo a trovarlo dopo decine di controlli della Digos. Ho letto a Maria alcune pagine e ci siamo abbracciati. Gli abbracci son tutti belli ma quelli tra compagni che son rimasti compagni sono qualcosa di insuperabile!


L’epistolario, siccome ne diedi notizia a un mio amico parecchio inserto nella grande editoria, sarebbe potuto uscire o da Einaudi Stile Libero o dalla casa editrice dove pur’ io avevo pubblicato. La Feltrinelli. Con Giovanni decidemmo di rifiutare. E sua sorella mi dice che ha apprezzato molto quella nostra lontana decisione. Sarebbero stati altri dolori per i familiari. "Ma te prima che scrittore sei un uomo e un comunista!" (Oh! Maria sapessi come mi han fatto bene le tue parole per il presente che vivo). 



Il Ciucci mi disse che dopo morto, ed è morto sei anni fa, a 61 anni, potevo anche pubblicarlo. Ribadisco a Maria che resterà inedito. Per sempre. E allora questa signora educata linda gentilissima mi dice. "Fatti baciare sulle gote compagno, fatti ancora abbracciare, Claudio, non lo feci sei anni, perché piangevo a dirotto al funerale. Ora lo faccio".







Accio nel cascinale di Vecchiano con tele e biciclette e attrezzi 
di Libertario Di Scalzo (1923-1995) detto Lalo camionista. Mi Pa' ir mi' babbo.











In questa complicità, le ho chiesto di scattarmi qualche fotografia perché mi ha detto che il dolore e le asprezze della vita mi hanno reso bello! Sarà. Ma forse è vero. Bello nel dolore e nelle sciagure che poi sono anche di altri vecchianesi nelle diverse età. L'unico neoclassicismo ed ellenismo che sopporto, quello di Ugo Foscolo, perché poi vale per tutti. E non solo per i letterati scimuniti e pavoni.

Poi l’ho accompagnata alla sua bicicletta. Viene in bicicletta a questa età da Nodica. Che dista due km da Vecchiano. E ci siamo salutati a pugno chiuso.
Maria come me non condivise le scelte del fratello. E neppure il Pazzo, il mio amico barbiere, le condivideva. Però Giovanni poi dissociatosi fece una scelta convinto che quella fosse una via alla rivoluzione. Ha pagato tanto. Torture. Botte. Segregazione. Carcere per anni. Prima di uscire e rifarsi una vita abbandonato da tutti. Non da me, non dal Pazzo.

Oggi è stata una bella giornata. Dopo un giornata di ieri e una notte veramente difficile. Il Benzinaio e Maria Ciucci mi hanno ridato speranza che nella vita c’è ancora del buono e del bello. E che la poesia, tanto spesso, se non quasi sempre sta tra i benzinai e le sorelle degli ex-brigatisti che sognarono la rivoluzione.

Io appartengo a questa gente. Lo scrivo anche qui in un luogo caotico come il web. Ci metto la mia faccia. Oggi. Di ex di LOTTA CONTINUA non pentito. Poi se per combinazione ho praticato un po’ di estetica con un certo mestiere, francamente non me ne importa nulla. Quando ho bisogno d’aiuto, quando sono in pericolo, a rispondere al mio richiamo sono la gente come i benzinai e come Maria e come il mio vicino di casa pensionato e con il Parkinson. 

E come Sara Cardellino musicista   (clikka)

Rimango convinto che il frammento del benzinaio, l’abbraccio e le storie drammatiche di una sorella di brigatista, (che mi sono permesso di trascrivere senza raggiungere la forza che hanno nell'oralità!, sia detto) valgono più dei libri che vedo in circolazione, più di tanta letterarietà che erompe ovunque nella cultura on line. Ma è questione di scelta. Per me vengono prima le vite non illustri. Aspirando anch’io a farne parte. Da vivo e da morto. Per poi essere dimenticato. E, anche, mi sia consentito riderne, da fotografato accanto a biciclette sgonfie e a ritratti di un selvaggio pittore disgraziato e vinto dai colonialisti (eterni) come Gauguin!






Giovanni Boine (1887-1917): "Prosa a Maria". A cura di Claudio Di Scalzo per il centenario


Giovanni Boine malato timbrato
al pari nella sofferenza d'amore 
inchiostro per timbri su carta - cm 30 x 40

maggio  2017
(cds)




Giovanni Boine muore il 16 maggio 1917 a Porto Maurizio. In questo maggio è il centenario della sua morte.


Giovanni Boine
 PROSA A MARIA


-Le tue domande sono i perché dei bimbi; l’acqua di fonte colla sua borraccina ti fa venire sete, e subito vi tuffi la mano. Allora l’acqua di mare così tanta com’è, mi chiedi perché non ti vien voglia di bere.

-Ma nell’acqua di mare quelle bisce chiare quando è in bonaccia e il fondo, di su dagli scogli lo vedi com’è, quelle anche ti piacciono che non quetano mai.

-Però le cose che piacciono  a te son quelle che ecco ci sono,  e non ci sono  più, la spuma che ride via… e c’è di nuovo il blu!

-Le bolle di sapone quando le fa la bimbetta del giardino di sopra, così lustre-leggere, così zitte-farfalle! Le segui a respiro sospeso e quando subito scoppiano batti le mani.

-Le gioie improvvise che non sai perché, quelle subito t’alzi e scintilli; ma è più di tuo gusto quel riso sereno di quando hai pianto, che io t’accarezzo.

-Le lacrime senza ragione quando non c’è nessuno, che poi io vengo e gli occhi li hai di rugiada ed il fazzoletto lo scordi, sono le più buone lo so, ed il cuore è subito come quando ha spiovuto.

-Ci sono i giorni delle lente malinconie, guancia alla palma sul tuo sedile, ma così dolci così lievi che ecco la rondine ti guizza vicina col suo grido che punge e via se le porta.

-Le cadenze lontane delle canzoni che si sentono non si sentono, subito ti fermi in ascolto. Credi che non sappia che ti fa lacrimare da sola da te nel tuo letto, quando vengono la notte sotto le finestre zitti, e la serenata si leva?... – come un bisbiglio si leva, come un bisbiglio se ne va.

-Le cose che piacciono a te son quelle che ecco ci sono e poi non sono più; i pianti che inventi al piano sono domande brevi, sussurri di notte, lamenti di brezza, e le dici ripeti da te tutta una sera, perché risposta non c’è. I tasti bianchi e neri li tocchi appena appena; allora, se entro, tengo il respiro cammino da non svegliare.

-Quella musica così primavera, canto d’angioli, così da svenire, all’alba di Pasqua rugiada la musica che dice nel Faust: “or la natura si desta all’amor!” m’hai detto una volta che è la più bella, che proprio tutti i giardini mettono i fiori.

-Ma le musiche che cerchi da te, quando dall’orto t’ascolto (vengon da sé, non si sa come!) muoiono di dolcezza subito, c’è dietro lo sconfino dell’ansia. Son come lucciole, le accendi e le spegni, le appendi a un filo lucente nell’infinito. 
– Son quelle perle di nubi sottili, soffi dell’iride, perline di velo nel tramonto sereno qua e là, che ecco ti volti e non ci sono più.

-Sei così soffio, cos’ iride-soffio, e cristallo sottile che mi dai l vertigine della fragilità. – Ma la ragione che t’amo è che dilati a volte gli occhi di disperata passione e la morte ci passa vicina. Dici con voce di groppo allora: - Abbandonami! Fammi del male perché io sia perduta. Battere il capo nel muro! Ho voglia di disperazione.






Giovanni Boine con la donna amata prima di ammalarsi
(cds) 





Claudio Di Scalzo

L'INFELICITA' DI BOINE  - AMORE E LUOGHI COMUNI

C’è l’amore  e ci sono i luoghi comuni sull’amore. Giovanni Boine ne “Il peccato” sparge alcuni luoghi comuni decadenti. Invece nella Prosa a  Maria, pubblicata postuma dal solito Novaro, che espunge incolla come gli pare gli inediti,  Giovanni Boine che scrive  dell’amore  e della sua possibile perdita o come esso sia insidiato dalla possibile rovina - sovrapponendo i lineamenti di Maria Gorlero con quelli della suora protagonista de “Il Peccato” - raggiunge gli esiti più alti nella forma frammento. Boine racconta l'amore vissuto nel quotidiano di atti a prima vista non poetici e poi scrive, evitando i luoghi comuni, su quanto lo insidia o che finisce per lacerarlo. 

I luoghi comuni sull'amore, anche ad inizio novecento ce ne erano di accatastati in ogni porto letterario. I luoghi comuni sull'amore possono rendere, anche l’amore più alto, a posteriori, semplicemente una delle tante stazioni dove ci si è ricreati con l’amorosa sostanza. No, Boine nelle Prose a Maria, non stacca come in una collana i diversi grani delle donne conosciute e amate, qui Maria e la suora, le rende fermaglio di quanto porterà con sé morendo.
E ciò è l’altezza dell’amore assoluto. Resa possibile dalla sofferenza inaudita di Boine. Il ceppo del male non più inutile. Serve, come Croce, dove conoscere custodire capire l’amore terreno e quello celeste.

Boine negli ultimi giorni della malattia, è profondamente cristiano, rileggendo il manoscritto “Prosa a Maria”, pensa che la sofferenza di lei per amore (che pure lo ha lasciato solo nella malattia dopo indicibili litigi) è “alla pari” con la sua, e così si sente alla pari nella sofferenza con altre figure femminili amate.



Giovanni Boine con Maria Gorlero che piange
(cds)




Quando legge il biglietto: “è ormai evidente che non vuoi proprio che il mio dolore sia minimamente paragonabile al tuo!”. Rimane stravolto perché non ricorda, sta perdendo la memoria nella malattia estrema, chi glielo scrisse e perché lui in amore non è così. Non sono questo! si dice tenendosi la testa tra le mani. Non merito questo chiodo!

Non vuole alcuna sommità dalla quale guardare le sue vicende sentimentali. Lasciando la donna a naso all’insù. Vorrebbe dire, in quegli attimi, alla sconosciuta che gli ha scritto la lapidaria frase, con la più assoluta purezza che lui sceglie in amore la spiaggia, la parità, non la collina. Tanto più ora che muore. Anche alla letteratura. Ma non può farlo. E allora rileggendo la Prosa a Maria si dice che tutto in questo scritto dice del suo accostarsi alla pari alla vicenda d’amore. Nella gioia come nella sofferenza. Anzi in alcuni frammenti si capisce che le parole di Maria “Abbandonami fammi del male perché io sia perduta. Battere il capo nel muro! Ho voglia di disperazione". Quando lei le profferì, la popolana, fu  a lui superiore in passionalità. E allora , come per pareggiarsi, Boine avvicina la fronte al muro e ce la batte, fino a ferirsi la fronte nel sangue. Che fa il paio con quello che gli uscirà dalle labbra tra qualche minuto. Tossendo.  

Chi ha veramente amato evita, non tanto nell’ascesa dell’amore ma nella sua catastrofe o nella sua perdita, i luoghi comuni. Non so immaginare quelli di un inizio novecento, ma oggi sono del tipo: chi ama non recrimina, chi ama non rivendica, chi ama è felice che l’altro incontri persone perché gli incontri arricchiscono il rapporto… sono felice se ti capitano altre cose belle… Galateo ineccepibile della cultura “democratico-borghese” che non rivela gli sfracelli, il caos, la neritudine degli atti, gli equivoci e le soccombenze che l’amore tragico o estremo porta con sé.

Galateo amoroso per disporre i piatti rotti con creanza sulla tavola del tempo che fu!, inutile e scialbo. Se fosse vero questo "galateo" così come quello del Casati contro le relazioni perigliose di Boine, quella con Maria Gorlero su tutte,... sparirebbero i grandi romanzi e i grandi poemi tragici sull’amore, anche i sentimenti tragici nel melodramma,... perché il grande amore si basa sull’eccesso, e su quell’eccesso poi non vissuto, non speso si forma la follia, pure l’assurdità negli atti, e anche il disdicevole, la ferita inconsumabile. Insomma, non sono un intellettuale, ma il Bataille che scrisse su “Cime tempestose”, su Heathcliff e Catherine!,  un poco me lo ricordo.

Boine sa di essere uno sciagurato in amore, sa i suoi limiti, le sue colpe, le sue superficialità verso le gonnelle, ma sa pure che per scrivere d’amore, bisogna  calarsi nel camino scuro delle voglie delle recriminazioni delle lamentele delle furibonde sciabolate, delle crudeltà immotivate, delle improvvise tenerezze indivise, nel mostrare le proprie fragilità accanto al nerbo del disperato marinaio che non fece altro che cercare porto adatto. Perché l’amore è il caos con lacrime duro metallo tragico sul quale si può scivolare comicamente come su bilie!, scrive in una lettera poi andata perduta a Maria Gorlero!, e qualche rigo di poesia o di arti non può che dare una momentanea isoletta nel magma a chi vive l’amore in ascesa e perdita. Boine lo sa.  E per questo scrive qualcosa di trasparente, si confessa, col fragile cristallo della “Prosa a Maria”, che il galateo dei sentimenti non può intendere; e infatti il tragico in amore di Boine (e i lati umoristici accosto) è proprio quanto i valenti interpreti di teorie letterarie svicolano. Cosa volete ne sappiano d’amore, di natura, di pulsioni chi vive di cultura da mattina a sera fasciandosi l’io di citazioni  e il non io di chi li avvicina?

Per il centenario che viene, 16 maggio 2017, riguardo a Giovanni Boine l’assente sarà come lui intendeva l’amore e come in esso errò giungendo alla completa infelicità.  





Claudio Di Scalzo: Lettera a Rossana Mattei sulla poesia alla pari



(Rossana Mattei nella primavera 2016 
a Pontasserchio - 20 x 30, 
smalto e tecnica mista su cartoncino telato)






Claudio Di Scalzo

LETTERA A ROSSANA MATTEI SULLA POESIA ALLA PARI
E SUI CORSI DI SCRITTURA CREATIVA 


(con esempi adatti)



Cara Rossana,… ti ringrazio per la tua e-mail che leggo in ritardo tornato in valle e per come ti interessi di mia madre che sai poco in salute e di me nomade tra San Cassiano Valchiavenna e Vecchiano.

La tua gentilezza la ricambio con un piccolo ritrattino dove a memoria ti ricordo com’eri nella primavera dell’anno scorso alla Fiera di Pontasserchio col tuo babbo Luca e mio antico amico, ex come me, di Lotta Continua, senza pentirsi! Te invece ti so impegnata con quelli di Sinistra Italiana.

Riguardo al seminario senese che intendi seguire sulla poesia e altre vicende letterarie non sono in grado, qui, di darti alcun suggerimento se sia il caso o no di impegnarti in questa vicenda dopo che hai conseguito la laurea, un anno fa, a pieni voti sull’Ermetismo Fiorentino se ricordo giusto. Non credo che la poesia si possa insegnare come scriverla custodirla divulgarla neppure nei corsi post-universitari. Neppure se a farlo sono gente ferrata nel mestiere.

Siena è sempre stata fervida ad installare binari di scritture poetiche varie. Dove van poi questi binari? Mah… ricordo Romano Luporini con la sua teoria dell’Allegoria, e cioè recuperare lo sperimentalismo letterario, allegoria? e il simbolo non bisognava usarlo. Non ho mai capito il perché! Poi c’era e forse c’è ancora Emilio Prete e la sua scuola sulla “parola” alla Jabès e altri franciosi!; poi c’era e credo ci sia ancora Alessandro Fo e la sua poesia per un aggiornato crepuscolarismo un po’ inamidato! Immagino che o sono i santoni in persona a dirigere i lavori creativi poetici (magari sono in pensione!) o qualche loro seguace! Fammi sapere.

Però prima di farti due esempi, di poesia, che ho ricevuto in questi ultimi, e un po’ drammatici come sai!, giorni; ti invito, bonariamente, come potrebbe farlo uno zio saggio, a non provare “vergogna” perché hai scoperto di non conoscere la teoria letteraria o le varie teorie letterarie atte poi, secondo te, e secondo gli organizzatori del corso ricordato, a scrivere di poesia. Intanto perché la poesia si può inventare senza teoria letteraria e spesso, quasi sempre!, vien meglio! 

Pensa a Montale con la terza media, a Caproni maestro elementare, a Saba con guai scolastici, ed a Penna che viveva come un barbone e che con qualche verso suo vale più di tanti poemi costruiti su argomentate riflessioni metafisiche! E poi se provi “vergogna” introietti una figura che ti domina con l’intellettuale o il poeta o lo scrittore di turno. Io come anarchico e comunista ciò lo trovo insopportabile. Ma la cosiddetta cultura idealista (destra) o materialista (socialista e vagamente di sinistra) si è basata su questo dominio! Godo! a ricordare quando a questi tipi, ventenne, tiravo sassate e sedie!

Poesia si fa “alla pari”! Bella o brutta che sia. Qui ti scrive un antico anarchico che le gerarchie intellettuali-vassallatico-feudali, come quelle senesi e dello stivale italico, proprio non le ha mai accettate! Cerca Buck Eden on line!... ti divertirai, Rossana, a leggere la sua crudeltà libertaria!

Prima di salutarti voglio darti una dritta “comunista” con due esempi. Secondo me di poesia. Avvenuti in questi giorni. Uno rimanda al mio amico benzinaio Alfredo. 65 anni, ex rugbista di serie A, che con le gambe mezze rotte campa versando gasolio e benzina scontata sull’Aurelia verso Marina di Vecchiano. Leggi questo dialogo…
-Accio parti?
-Sì, tutta la vita è una partenza!
-E un mancato arrivo.
Poi stanotte quando son partito da V. il dialogo con la Nada, mia madre.
-Tutte le volte che parti, figliolo, ho il core tutt’un pruno che la rosa non si vede!
-E io ho il cuore come una sema, mamma.


Se hai letto con l’orecchio! adatto, Rossana cara, avrai inteso che sia Alfredo il benzinaio ex rugbista che mi-mà, sono stati più poetici di me. Le mie risposte sono più ordinarie. Le loro più potenti. Anche se la Nada ha la quinta elementare. E Alfredo il triennio di operaio specializzato ebanista.
Fatto l’esempio, voglio, cara la mia bella socialdemocratica, far veleggiare un po’ d’anarchia. 

Se fosse esistita una società basata sull’anarchia benzinaio e sarta avrebbero potuto scrivere letteratura e poesia meglio di tanti poeti che ti proporranno nel corso di poesia e scrittura creativa. E se oggi, chi si dedica alla poesia alla letteratura e all’estetica progettasse, anche on line, una comunità per dare l’accesso a tutti alla poesia tanti esclusi potrebbero godere del valore d’uso, non di scambio col solito feticismo del librino da vendere o della carriera da organizzare, della poesia e delle letterature e delle arti.
Cara Rossana,… ti abbraccio, spero che questo antico comunista, che un tempo scrisse e disegnò tanto per quanto ti ho accennato sopra (perdendo sempre, ovvio!), ti sia stato utile.

Non ti “vergognare” e cerca di stare “alla pari” sempre!
Saluta babbo, passa dalla Nada a prendere il disegno. Ti regalerà dei bei limoni. E se vai da Alfredo, è l’unico distributore, tra l’autostrada e Torre del lago, rammentami, e vedrai che ti controlla pressione alle gomme e ti regala qualche litro di benzina per la tua fiammante 500. Tuo Claudio