mercoledì 18 dicembre 2019

Risata di Buck Eden/Jesse Accio James col cane Stirner dedicata a Robert Ford a Baffetti di Rame a Pinkerton ricordando il 9 gennaio 2017 (Romanzo Western del Nulla)



Cane Stirner con Buck Eden nel Klondike






RISATA DI BUCK EDEN/JESSE ACCIO JAMES COL CANE  STIRNER 

DEDICATA A ROBERT FORD 

A BAFFETTI DI RAME

A PINKERTON

RICORDANDO IL 9 GENNAIO 2017

(ROMANZO WESTERN DEL NULLA)




BUCK EDEN E STIRNER NEL KLONDIKE. COME VIVE IL TRAPPER IL CANE. FINE ANNO CON FESTE 2019 INIZIO ANNO NUOVO 2020

Stirner è un Labrador. Ha un anno di età. Ho vissuto nella mia vita da Trapper, chiamandomi Buck Eden, con molti cani. Quando sono morti li ho seppelliti nelle radure che conosco al bosco alpino o sull’argine del Serchio e lì quando passo mi fermo a parlare con le loro ombre. In confidenza. Stirner sa che fondiamo la nostra avventura sul Nulla. Porta il nome di un filosofo da tutti scansato. E come lui ir mi’ ‘ane ne sa più di me e ha più natura adatta a vive il Klondike. Io lo imito. Ci imparo.


Mi garbano i cani da caccia labrador perché possiedono zampe palmate da gran nuotatori gran fiutatori di piste intrepidi nel riporto dell’animale. Allegri. Con essi vivo nel mio Klondike. In completa selvaggeria.

Dal 2005 non vado più a caccia con la mia doppietta "Oxford" calibro 20 perché Il Pazzo (Paolo Fatticcioni) mio amico barbiere e trapper è morto in quell’anno. Cacciavamo di frodo cinghiali volatili volpi. Nella macchia di Migliarino sul lago di Massaciuccoli Puccini sui monti vecchianesi. Il nostro Klondike.

Lo stesso vado in questi luoghi col mio cane però. Senza fucile. Stirner trova le piste annusa l’animale lo punta. Ma non avendo doppietta non catturo niente. Sono come il poeta l’artista lo scrittore che ha l’opera da cacciare in testa ma non la realizza. La fiuto l’annuso la lascio andar via.

Io e il mio cane siamo complici. Ci intendiamo a meraviglia. Parliamo nel nostro alfabeto. Lui darebbe la vita per me e io per lui. Siamo una cosa sola nel bosco alpino nella macchia sulla riva del fiume tra i canneti del lago sulla spiaggia del mare.

Lui ha i suoi denti io la baionetta di mio nonno Pardini Vittorio, interventista, ardito sul Piave, decorato. Non abbiamo paura di niente. Se incontriamo qualcuno o qualcuna intenta al fitness alla ginnastica per bicipiti e fianchi salutista che ci dice di stare attenti passando da certi luoghi, essendoci violenti ladri spacciatori piccola malavita, rispondo che son loro casomai a doversi preoccupare se ci infastidiscono. Di me a mani nude della baionetta se la tiro fòri dei denti der mi’ ‘ane Stirner.

Ir cane mi garba anco perché non si scorda le ferite e le bastonate ricevute. Guarisce, le smaltisce nella cuccia, guaisce, le sopporta ma non le scorda! E io sono uguale. Non scordo le ferite che m’ànno dato sur groppone ingiustamente. Come ir mi’ ‘ane se ne annuso in giro ancora la presenza o le riordo… ringhio azzanno mordo sbrano.

Questo è il mio Klondike col cane Stirner. Con quelli che l’hanno preceduto. Me l’ha consegnato lo scrittore Jack London. E seguo la “Saggezza della pista” del meticcio Sitka Charlie raccontato da Jack London.

Quando sarà il momento e non riuscirò più ad “accendere un fuoco” per scaldarmi accetterò la Morte. Tranquillo. Il mio cane mi veglierà per qualche giorno. Poi andrà verso qualche altra avventura in cerca di un medesimo trapper se lo trova. E sennò starà solo. Perché la legge del Klondike dice che noi non accettiamo addomesticamenti ma si vive a pari fino al punto in cui uomo e animale non si distinguono e sono una cosa sola. Esserlo nell’epoca telematica nel 2019 a fine anno è un bel risultato.
°°°
Quando così mi rivelo a Sara, come Buck Eden, lei quasi si spaventa. Non mi capisce. Però accetta sia così quando sto nel mio Klondike col mio cane. Basta non venga con me. Lei è civilizzata io no. E deve prendimi anco ‘osì. Oppure quarche vota diventà l'indiana Cardellino Trillo di Luna.




Buck Eden e Cardellino Trillo di Luna





La politica istituzionale o come storia di vocazioni intellettuali di singoli e relative teorie liberali socialdemocratiche comuniste in apparati militanti tradotte in precetti chiesa dedizione non mi ha mai coinvolto. Tra Sartre e Camus scelsi quest'ultimo. La politica, vista come passione anche selvatica, dunque con respiro animale, tipica dell’anarchismo e del marxismo eroico dei comunardi e bolscevichi e spartachisti e miliziani spagnoli, mi ha appassionato e tuttora mi prende.

Il cane nella sua istintualità vive indipendente e sceglie la compagnia amicizia dell’uomo o donna; così penso la rivoluzione del singolo negando qualsiasi Autorità, politica o culturale, sopra di me. Se non a Dio. Ovvio sia capitato in Jack London, in Melville con Achab e in Stirner e nel marxismo eterodosso. Ma ad ogni teorico, financo allo stesso Marx ed Engels, per me, prima di loro, viene l’operaio che legge il Manifesto nel 1848 o nel 187I alla Comune di Parigi e finisce fucilato al Père Lachaise. Prima di Lenin e Trotskij il militante anonimo del Soviet. Tutto ciò gli stessi fondatori lo sapevano lo accettavano lo caldeggiavano anche nelle arti: alla pari. Basta leggere Majakovskij. Le sue poesie d’amore dove vuole un cuore da orso che balla. E Futurismo per tutti. Altro che i segaioli con i tacchi del 12 decadenti! di ieri di oggi, in circolazione. Fino all'estremo nell'amore nella rivoluzione è roba per chi ha il cuore che latra che s'accoppia nella boscaglia come il cane Stirner!

Queste mie posizioni mi hanno reso “straniero” anche in Lotta Continua. E in tutte le filiazioni estetiche culturali intellettuali dagli anni Settanta in avanti. Che non frequento. Tantomeno on line. Anche perché di pubblicare esporre figurare in faccende estetiche non me ne frega niente. Seguo la mia pista la sua “saggezza” come il cane Stirner. Essa mi basta e avanza. Uomini e donne che cercavano in me l’intellettuale o l’esteta hanno prima o poi trovato l’odore selvatio simile a quello del mi’ ‘ane. E se ne sono iti altrove.




Buck Eden e Cardellino Trillo di Luna abbracciati nel Klondike





La musicista veneziana mi prende per ‘ome sono. Mi vede adatto alla “Sagra della primavera” di Igor Stravinskij con suo lato selvatico danzante e dondolato da qualche dionisismo già in culla. Non ho poi molto da offrirle, essendo povero, e sono anche negli anni dei ‘apelli e baffi grigi: ma come Trapper col suo cane Stirner sono affidabile fedele e non c’è trappola che possa darmi scacco o animale uomo-donna nella foresta dei segni che possa uccidermi. E sul mare anco agitato e nel bosco anche nel libeccio nella tramontana so come tornare a casa: alle nostre mura. Sembro quasi un personaggio da romanzo senza avere un libro dove stare. Curioso vero?










martedì 17 dicembre 2019

Claudio Di Scalzo detto Accio: "O con te o con nessuno! A Sara Cardellino a Giacomo Puccini ad Agostini Evelina












ACCIO

LETTERA A SARA CARDELLINO DA VECCHIANO RICORDANDO VENEZIA
(giugno 2017)


Sara mia… oggi giornata tra ambulatori di medici e prenotazioni di visite per la “Signora Nada”. Ho ritrovato anche compagne di scuola. In attesa per i propri mariti. Chi con l'Alzheimer chi con il Parkinson. Drammi. Che nella complicità tosca vengono narrati. E poi tu sei Accio e alle elementari eri il più dispettoso e tremendo. Eravamo innamorate di te. Per me in quinta rubasti le nespole. E siccome non ti dissi nulla di carino ma stetti zitta, l’ultima me la tirasti in capo. E scappasti. Dice la Fernanda. Aggiunge la Rita,  vicina di casa tua con me ci giocavi e lasciavi da parte la Stefanella che era più invadente, ti garbavo perché ero timida e non sguaiata come mia cugina. A me regalasti non le nespole ma un biacco d’acqua che mi fece venì un mezzo svenimento.

Nel pomeriggio m’è venuto in mente Agostini Evelina. Sono tornato nella corte dove c’era la sua casa. Non c’è più. Buttata giù e ricostruita da chissà chi. Anche la palma è scomparsa. Ho rammentato due donne e io piccino che ascoltava. Penso tu debba conoscere quei giorni e quelli che rammento con te a Venezia. La foto l’ho ripresa dal web. C’è anche un “Fondamenta agli incurabili” di Brodskij… con “Ponte agli incurabili”… ma con tutto il rispetto la vicenda narrata vale per Puccini. Ne è un omaggio. Oggi a Lucca, in Corte del Biancone, dagli amici bancarellisti, ho acquistato un DVD e CD su Madame Butterfly. Interpretata dalla Callas.

Leggo Puccini: “Con la mia musica desidero esprimere passioni vere, amore e dolore, riso e lacrime, ed è necessario che io stesso le provi, affinché mi possano emozionare e scuotere. Posso scrivere musica soltanto in questo modo”.

Posso scrivere qualche volta ancora, Sara, soltanto su passioni vere che durano. Nel tempo.


Tuo Claudio detto Accio







Cardellino bacia "Acciomolla" alle Zattere in Venezia






Accio

O CON TE O CON NESSUNO

a Sara Cardellino a Giacomo Puccini

Passeggiano alle Zattere. Venezia nel maggio. L’uomo guarda la scritta “agli incurabili”. La indica col dito. Lei sorride abbassando le palpebre. Lui, e chissà per quale cortocircuito dei loro vissuti necessitanti di rivelarsi quel giorno, dice: “Dopo il novembre 2011, separandoci a Villa Malcontenta sul Brenta, hai smesso di scrivere poesia, perché Cardellino?”

Lei si ferma, gli posa una mano sulla spalla, e poi aggiunge “O con te o con nessuno”. Lui tace e l’abbraccia e il petto sembra un tamburo. Nello scoperto suo errore passato. Ascoltando le parole in luce che lo curano rivelate. Sara lo carezza, gli passa le mani nei ricci grigi, e per allentare la stretta che in Accio scopre prolungata nei sussulti, dice: “Sono incurabile in amore?”.

Sara, prima che tu dorma, voglio raccontarti perché le tue parole “O con te o con nessuno” m’hanno reso “incurabile finalmente guarito”. Che idea è questa che devi auscultare il mio cuore nei battiti regolari dopo stasera?  Ah! come scusa per posare la testa sul mio petto mi sembra ottima, ma stai fermina con le cosce che sai come passo dal sentimentale sublime al predatorio in un baleno. Mi dici come nei fumetti. Grazie, sei in vena di complimenti stanotte! E chi sarei in questo caso Sara? Dai dimmelo! “Acciomolla” come Tiramolla. Dio benedetto ma come ti vengono in mente queste analogie! Però ora stai bonina e ascoltami! Seria. Ubbidiente. Che poi fai la nanna!! Ah no! Eccome…

Quand’ero bambino, forse nel 1960, avevo otto anni, ah dici sette perché nato di sette mesi l’8 dicembre 1952 mi tolgo un anno, grazie anagrafe Cardellina! Mia nonna Messinella Pardini mi portava in visita da una sua amica: Evelina Agostini. La sua casina in una corte accosto ad altre era linda, perennemente in penombra, tutta centrini e mobili che sembravano usciti lucidi dal mobiliere. Mi offriva dei savoiardi e loro mettevano sul gas la macchinetta del caffè.

Chiacchieravano su eventi del paese sui vicini, e quando abbassavano la voce, ed Evelina tirava fuori dalla gonna un fazzoletto capivo che il momento era vicino. Quello commovente per loro e che mi incuriosiva e che chiamavo “l’ombra dei mariti”.

Evelina vestiva di nero da capo ai piedi come mia nonna Messinella. Evelina aspettava il ritorno, dal 1946, dalla Russia di suo marito che in quei posti lontani era andato a combattere. Non era più tornato. Il comando militare italiano l’aveva nominato, suo marito, Eugenio, come “disperso”. Evelina pensava fosse ancora vivo e che prima o poi l’avrebbe riabbracciato. Ma se sulla terra ciò non fosse stato possibile, io, Messinella, quando partì gli dissi baciandolo e stringendolo a me: “Tu torna. Se puoi. Perché o con te o con nessuno starà Evelina”. A quel punto mia nonna proseguiva, e la sua aggiunta la sapevo a memoria, perché se la ripetevano quasi ad ogni incontro, quando il mi’ Vittorio moriva di creapacuore nell’agosto 1944, ebbe la forza di dirmi, Messinella, sei giovane e bella, porta per un po’ il lutto, ma se trovi un brav’uomo risposati e vivi con qualcuno accanto e che ti può aiutare nei lavori al Campo della Barra. Lo guardai, lo abbracciai nel letto, sollevandolo dal guanciale, e quasi urlai: “O con te o con nessuno!”. E poche ore dopo mi spirò tra le braccia. Gli americani avevano varcato il Serchio e stavano entrando in Vecchiano, e lui, ardito e fascista della Marcia su Roma ne moriva, non per paura, ma perché il suo mondo era crollato.

Le due donne versavano delle lacrime. Un giorno capirai Accio, cos’è l’amore. A volte mi diceva Evelina a volte mia nonna. Le parole me le indirizzava chi piangeva meno.

Ci ho messo tanto a capirlo, Sara. Ma l’ho inteso. La prima volta lo intesi in una notte drammatica del 20 agosto 1984 in un luogo che sai con l’immensità dell’oceano attorno a rocce precipitanti; l’altra passeggiando alle Zattere dopo che tu hai detto. “O con te o con nessuno”.

Evelina e Messinella erano due figure che non scrivevano poesia o intellettuali, però la loro fedeltà all’amore “o con te o con nessuno” subito intuii che era da romanzo da poema era letteratura. Vissuta realmente da due donne che vedevo, nei loro quaranta anni, nella loro bellezza un po’ sfiorita come una rosa in autunno nel giardino di casa. In seguito avrei letto Shakespeare e Petrarca e Emily Bronte e la Dickinson e scoperto le vite di Modigliani e Jeanne Hèbuterne. Loro avevano scritto e dipinto opere indimenticabili ma “O con te o con nessuno” che avevano pronunciato era uguale a quello di mia nonna Messinella e di Evelina. E questo per me, Cardellino, contava. Prima venivano le due donne della mia infanzia e dopo i grandi poeti e pittori.

“O con te o con nessuno” me l’hai detto in Venezia e l’hai realizzato sei anni fa a Villa Malcontenta. Senza che io ne sapessi nulla. Non scrivendo più poesia. O scriverla con me o con nessuno. Dedicandoti soltanto alla musica. A ciò sei rimasta fedele. Mentre io, che ti perdevo perché avevo reso solo estetica la nostra vita, cosa che tu paventavi disastrosa e foriera di dolore per te per me, la continuavo. Ho gettato via parole e vissuto per nulla in questi anni ultimi. E per fortuna sei tornata “Donna che visse due volte nel petto di Accio”.  Scoprirlo e valicando i tempi di date diverse, bambino allora e ora nel mio autunno, mi ha scosso al tremito che hai accolto. Porgimi l’orecchio Sara, ascolta… ascolta… cosa dice il mio cuore: “o con te o con nessuna!” E' un melodramma il nostro, siamo parecchio pucciniani!



°°°


Sara Cardellino e Accio

La Riviera del Brenta ieri e oggi 
con Villa malcontenta. 2011 e 2018















mercoledì 11 dicembre 2019

Claudio Scalzo: Legna tagliata con storia di trattori di camion di due monelli come Accio e il Pazzo - Con Butch Cassidy Sundance Kid Etta Place - Dedica a Sara Cardellino mentre ricordo il 9 gennaio 2017











Claudio Di Scalzo detto Accio
(da Facebook "Claudio Accio Di Scalzo 
5 maggio 2018)

LEGNA TAGLIATA CON STORIA 
DI TRATTORI DI CAMION
DI DUE MONELLI COME ACCIO E IL PAZZO

Con Butch Cassidy Sundance Kid Etta Place
Dedica a Sara Cardellino 
mentre ricordo il 9 gennaio 2017 





Accio e Sara Cardellino




A Sara Cardellino. Perché ami il boscaiolo il camionista e non l’artista. Perché sappia di un’amicizia che resta oltre la morte che attrista. Perché si convinca che il mondo sarà migliore quando i poeti da seguire saranno i barbieri e chi non scrisse mai un rigo in bella vista. Io a questi artisti voglio somigliare la loro strada imparare e sotto una lapide così, finalmente in pace, riposare.










Oggi ho spezzato con l’ascia quintali di legna. Da stamani e ne avrò fino a buio. Le mani mi stanno lievitando come pani nonostante i guanti. E sudo come un cavallo da tiro. 

Tra una pausa e l’altra per affilare la lama e bere qualche birra fresca, per carburarmi, ho ripensato a lontane vicende di me con Paolo Fatticcioni detto il Pazzo (1949-2005), col camion il trattore e il bosco che da noi si chiama macchia, pineta. Poi per non essere del tutto realista e sentimentale, monologando, mi sono regalato una teoria biografica dove io e il mio grande amico potessimo stare, anche se io son vivo e lui è morto.

La legna che stavo spezzando viene da 1200 metri d’altezza. Dal bosco. E la casa dove son alpino, in valle, è a 60 metri sul livello del mare. Quella di Vecchiano è a pari del mare. Ma lì non sono alpino bensì pescatore. La legna dicevo non vien giù come le pecore che basta battere le mani e fan da sole. La legna va tagliata nel bosco con la motosega. Alberi. Stando attenti a non farsi spaccà la testa dai rami dai tronchi. Se tra i dirupi ti ferisci, e spesso il cellulare lì non funziona, lì rimani. Inanimato poi come un tronco. E' il mio Klondike la mia lettura di Jack London!
In genere mi consigliano d’andarci in coppia. Ma chi trovo?! Non ho i soldi per pagare un boscaiolo di mestiere. Allora faccio da solo. Poi va accatastata, coperta, legata, perché secchi in parte. E a valle si porta quella dell’anno prima. Uso un trattore che mi prestano col rimorchio. Giunto a casa la spezzo con l’ascia. E bisogna fa' alla svelta perché se piove siamo punto e a capo. Gli sprovveduti pensano che basta coprirla con l’incerato. Ma se piove l’acqua passa dal terreno, impolpa, inumidisce, e addio legna da ardere. Bisogna fare alla svelta. Da mattina a sera. E se non basta accendere i fanali del trattore.

Il trattore… conobbi Il Pazzo nella bonifica vicino al lago di Massaciuccoli-Puccini. Avevo dodici anni, e il mi’ Babbo, giocando a carte, alla Pergola, e perdeva, e aveva il nervoso, mi disse: avviati, al campo, che arrivo presto a caricare il grano. E allora accesi l’OM FIAT 62, diesel, e partii facendo i cinque km necessari. Per me era normale. Però di certo non per la polizia stradale. Ma tanto passavo in strade sterrate. E se l’avessi visti, avrei fermato il camion, chiuso la cabina, e mi sarei dato alla fuga. I contadini mi conoscevano, come Accio il figlio di Lalo, mi avrebbero aiutato con qualche scusa.

Quel giorno lontano parcheggiato il camion mi sdraiai sotto un ciliegio con le ciliegie tutte beccate dagli uccellini. Immangiabili. E allora adocchiai un altro ciliegio e stavo per salici sopra, quando una voce, da un trattore mi disse: cogli le più mature così me ne dai qualcuna. Era Il Pazzo.

Quando scesi gliele portai. Era nelle mie stesse condizioni. Lui guidava il trattore di su pa’. Come io il camion. Aveva quindici anni. Tre più di me.

Io so mandà anche l’automobile, mi disse. E allora facciamo un giro, gli risposi. E lui aggiunse spavaldo: prendiamo la Bianchina del pastore, ci lascia sempre le chiavi nel cruscotto. E ora è in collina. Così facemmo un giro sulle strade polverose che portavano al lago, ai retoni, e in certi piazzali anche alle puttane. Che ci salutarono divertite. Poi tornammo al campo.




Paolo Fatticcioni 
raccontò e ascoltò storie
nella sua barberia
tu che passi e qui sosti
aggiungi una storia al vento
al silenzio di questa stele


Questa è parte della Stele che sta al campo sportivo la Coronella sul Serchio,

tra Vecchiano e Nodica. Stele dedicata, e che fortemente volli, e scrissi,

senza firmarla tanto chi si ferma sa che è di Accio,

a Paolo Fatticcioni detto "Il Pazzo" (1949-2005), 

barbiere e anarchico e Figaro seducente.

Epica popolare che non necessita di miti importati da qualche Parnaso.

L’elegia incisa nel marmo è dedicata a un grande narratore,

a un poeta della recita orale, a un amico indimenticabile.

Anch’io aspiro a qualcosa di simile nel cimitero di Vecchiano

quando sarà la mia ora.

Che lascino chi mi conobbe una storia

perché la raccolga e l’ascolti.





Diventammo amici e lo saremmo stati per una vita. Lui era un escluso, lo chiamavano appunto Il Pazzo. E faceva l’apprendista barbiere. Io ero Accio, e anch’io non godevo di tante simpatie in paese. Lui abitava a Nodica un paesino a 1 km da Vecchiano.

Mesi dopo, con la seicento che si era imprestata da suo zio, il Pazzo mi portò a caccia di frodo, a notte fonda, nella macchia dei conti Salviati. Una macchia che tra pineta lago campi andava da Bocca di Serchio fino a Viareggio. Tutto di una famiglia ricchissima. Che c’era già quando ospitava il D’Annunzio dell’Alcyone.

-E se ci scoprono le guardie dei Salviati?
-Cercheranno di arrestarci. Ma non ci scopriranno. Sono più furbo di loro.
-Ma se accadesse e fossero più furbi di noi, eh Pazzo?
-Allora bisogna fanni ‘apì che siamo più cattivi di loro.
-… e cioè. Che abbiamo il fucile e lo useremo…
- tutto questo per dei fagiani?
-Tutto questo perché loro sono dei servi della proprietà privata e noi prendiamo quanto è anche nostro.
-Sei comunista come ir mi’ babbo.
-Sì. Come mi pa’ anche. Prima della guerra e nei secoli passati i Conti Salviati e le loro guardie se ti prendevano con un fagiano un cinghiale t’impiccavano. O ti bastonavano a sangue! Ti sembra giusto? E lo stesso coi pesci? Ti sembra giusto Accio?
-No no! Stanotte riprendiamo quanto è nostro. E se arrivano saremo più cattivi di loro. Pensi vogliano prendere una fucilata per un fagiano?
-Bravo Accio, io con te mi c’intendo! E ora mettiamoci controvento. E stammi accosto, mai dietro, col fucile cario non si sa mai… accosto!

Questi ricordi mi dicono che per me, la natura, ieri e ancora oggi, è legata all’idea di lavoro. Rispetto e ho simpatia per chi fa trekking, passeggiate, escursioni, navigazioni, nuoto… ma se sto nella Natura è perché, da monello o da uomo oggi con la mia età,... ho in essa un lavoro da fare. Che sia tagliare la legna o pescare orate e branzini a Bocca di Serchio e avere pesce per tutta la settimana.

A caccia di frodo col Pazzo ci sono andato tante volte, era il nostro segreto e la complicità più grande. Abbiamo sempre pensato che fossimo una specie di Butch Cassidy e Sundance Kid. Del resto Daniela Cantelli (1952-2011) ci amò tutti e due, esattamente come Etta Place. Che fossimo a caccia di cinghiali o di folaghe nel lago o a ballare a Viareggio e negli scontri con la Celere stando in Lotta Continua... eravamo sempre insieme. Lui morto non ci sono più stato a caccia di frodo. Né mai vi tornerò. Ho ancora però la patente per guidare i camion. Mi ritengo un camionista dei segni che è stato parecchio nella natura, amori compresi, e poco nella cultura.

Per impilare la legna c’è bisogno d’esperienza. Mischiare in modo giusto castagno quercia faggio betulla robinia ciliegio. Legna per bruciare lenta, altra veloce. Legna più secca e meno. Ci vuole occhio e saggezza. Data dal lavoro. Dalle mani. Anche per pescare è così. Bisogna avere cura della barca, delle reti, dei remi, del motore. Bisogna conoscere i pesci, e le onde, le correnti e annusare il tempo che viene. Il vento. E non per scriverci poesie grevi nel simbolismo coltissimo, bensì per non venir rovesciati in mare con i pesci: loro che tornerebbero  a vivere e i pescatori a moricci.


Il lavoro manuale è il mio comunismo. Buona parte della mia vita l’ho passata a chiacchierare, anche oggi è così, con chi fa lavori manuali. Meccanici, carrozzieri, muratori, fruttivendoli, allevatori di mucche da latte. Conosco i boscaioli, i pastori, chi tiene le ultime stalle a mille metri. Gente spesso della mia età. Nessuno più fa questi lavori. E così, a volte, ho conosciuto storie di contrabbando su e giù il confine con la Svizzera. E contrabbandieri in pensione. E, i ragionamenti loro, non si discostano poi tanto da quelli del Pazzo. Esiste una storia delle classi subalterne che pensarono l’uguaglianza - e che si difesero anche violando la legge del capitale del liberalismo - a cui appartengo. Ed è anche per questo che la mia vicenda di uomo che un tempo si dedicò a scrivere o alle immagini,… è stata tanto diversa. E anche tanto sconfitta.

E mentre penso al Pazzo, so che se lui non fosse morto, mi avrebbe ancora guardato le spalle, consigliato, e gli sarebbe bastato incontrare una sola volta Robert Ford, vedere da vicino chi poi mi avrebbe sparato alle spalle il 9 gennaio 2017, per mettermi sull'avviso: "attento Accio, non fidatti in tutto come tuo solito!, c'è qualcosa in questa persona che non mi 'onvince!"

Perché lui era Butch Cassidy, più intelligente e furbo, e io il veloce Sundance Kid, più creativo e ingenuo. 


Gli sarebbe però, ne sono sicuro, piaciuta Sara Esserino, e anche qui, se fosse stato vivo, nel 2011, mi avrebbe detto: "Accio, una 'osì non la ritrovi più, non perderla, fai di tutto per tenerla con te! Rinuncia pure a ogni scrittura e pittura se lei teme che questo porti catastrofe al vostro legame. Vale cento racconti mille poesie diecimila quadri". E io gli avrei detto retta. 

Sara Esserino, tornata nella mia vita, come Sara Cardellino, la Domenica delle Palme 2017,... "La donna che visse due volte nel cuore dello stesso uomo", mi ha condotto mesi dopo alla tomba di Paolo detto il Pazzo. Solo con lei ne ho avuto la forza. Di accettare che era morto e stava dietro una lapide.
Questa poesia, umanissima, le mani nelle mie, sono state un dono immenso, Che Accio mai scorderà!  


Ora riprendo a tagliare la legna, perché mi sto commuovendo, e mi dico, in questa domenica, sudato a bestia, con l’ascia in mano, che così sono poeta e scrittore nella maniera a me adatta, pensando a due giovani monelli, che guidavano trattore e camion, e che poi, come banditi, stavano a notte fonda nella pineta del grande latifondista a vivere una splendida pericolosa avventura. Che poi qualche bella donna amava sentirsi raccontare. Con qualche piccola variante a seconda dei due narratori: in tutta innocente scemenza protagonisti di una trama senza bisogno di libri a conservarne le gesta. Tanto personaggi lo erano già, e forse lo sono ancora.