mercoledì 23 marzo 2011

Claudio Di Scalzo: Il libro sul Cinema-teatro Olimpia di Vecchiano

            



IL CINEMA-TEATRO OLIMPIA E COSA RACCONTA

Parto per Vecchiano. Accanto a me, sul sedile, il libro, corale, che il direttore della banda del paese Sauro Scalzini, assieme alla giornalista Divina Vitale, ha curato sul restaurato cinema-teatro Olimpia dei fratelli Bartalini; e che verrà riaperto, grazie al Comune, il 9 aprile prossimo. Questo compagno di viaggio, non sarà silenzioso, nei 420 chilometri che dalla Via Manzoni 21 di un paesino alpino, San Cassiano Valchiavenna - che fa rima con Vecchiano - portano in via Indipendenza 9. E, illustrato, mi consegnerà tre foto in esso non riprodotte ma che ho presenti. Esse racconteranno momenti della mia vita legati a questo teatro, a un libro che pubblicai nel 1997 per Feltrinelli dove questo edificio appare, e mi suggeriranno l’occasione per delineare come sia autore, cioè scrittore, nell’epoca del Web.
Molte delle vite qui accolte e che si raccontano, sono amici di Accio o di mio padre Lalo, e con essi mi sono scambiato in questi ultimi tempi, on line, su Facebook e sul Weblog che non a caso ha il titolo del libro: Vecchiano, un paese. ( http://vecchianounpaese.blogspot.com/  ); e nel weblog ci sono loro racconti, in filigrana l’architettura presente nel libro, e l’ispirazione per la mia prefazione che recita: ”Cinema con danza tema di grande importanza”.
La prima foto che nel libro non c’è, ma su Tellusfoglio sì, (http://claudiodiscalzotellusfoglio.blogspot.com/2011/03/claudio-di-scalzo-accio-piccolo-poeta.html  ) risale al 17 marzo 1961, quando sul palco dell’Olimpia recitai una poesia con l’enfasi del piccolo Garibaldino. Patria parola sì breve! sii grande fra tante parole. La seconda foto, è del 1977, e sono tornato da Bologna, dal “Convegno contro la repressione”, dove ho preso molto sul serio, non tanto le frenesie dell’Autonomia Operaia, bensì l’idea del filosofo Gilles Deleuze che i linguaggi si stiano sgretolando in altro, come le immagini del resto, e un flusso incontrollabile di intrecci con ogni sogno ideologico frantumato vada dilatandosi; è tempo di evitare lo svettare verticale dell’albero con le sue gerarchie, anche nel ruolo dell’intellettuale o dell’autore, e affidarsi al rizoma, alla patata, imitandone la ramificazione. E così, con questi rimandi, partecipando ad un premio, il primo e l’unico della mia vita, del quale non è rimasta traccia, dedicato al carnevale del paese, uno dei più antichi, vinco con una poesia che accoglie riflessi futuristi. A premiarmi una giuria prestigiosa, perché ospite in casa dello scrittore, Antonio Tabucchi, che di lì a poco pubblicherà “Il gioco del rovescio”. Dal Saggiatore. C’è Silvio Guarnieri critico e amico di Montale, Luigi Blasucci docente emerito studioso di Machiavelli, Piero Bigongiari poeta ermetico che abita a Pistoia. Dopo la premiazione mi fanno intendere che vogliono conoscermi, perché m'invitano, generosamente, a cena. Ma in sala c’è il mio amico barbiere Paolo Fatticcioni detto il Pazzo, e vado con lui a Viareggio a ballare al Principe di Piemonte, perché, ora non ricordo se eravamo attesi da due belle ragazze, ma se non lo eravamo, l’avremmo trovate, perché siamo una coppia formidabile in materia. E forse rappresentavamo la vitalistica e dionisiaca estasi dell’avanguardia, vagheggiata a parole, e mai messa in pratica, dai bravi intellettuali in giuria per il premio, e anche dagli esaltati organizzatori del “Convegno contro la repressione” di Bologna, nel ’77, proponenti una rivoluzione nella parola e nei flussi desideranti. Noi semplicemente la vivevamo senza saperlo di viverla. E per questo essendo divertimento puro, avrebbe detto Foucault, era rivoluzione anche sessuale. Tabucchi non la prese bene la mia assenza alla cena. Aveva sostenuto Accio e questo si comportava così. Incomprensibile alla sua latitudine.
L’altra foto, accennata ma non riprodotta, sta nel libro epistolare “Vecchiano un paese”, e parla appunto di questo premio, dove inviando foto all’amico che ha scritto Sostiene Pereira, in realtà scrivo su Vecchiano e vite non illustri e sulla sezione più stravagante di tutta Lotta Continua perché di giorno, segretario compreso cioè Accio, sono proletari e la sera fino a notte fonda sono borghesi alla Bussola. La vita di Tabucchi, è, nel libro, una vita tra le tante. Alla fine si troverà sì destinatario di foto e lettere, dentro un piccolo romanzo epistolare, ma incorniciato dalle vite di Fanfulla del Pazzo di Passerone. E non gradirà affatto. E stato il mio gioco del rovescio per lui. Per un maestro cosmopolita, e vecchianese soltanto per il buon ritiro dell’intellettuale. Maestro sia chiaro, perché carta canta, e i libri che ha scritto, come “Il gioco del rovescio” o “Piccoli equivoci senza importanza” hanno salvato la tradizione del racconto e sono tra i maggiori del secondo Novecento italiano. Però, per me, Vecchiano, è il “rizoma” anche telematico, strapaesano, del mio vissuto. Esso mi consente di essere uno scrittore antico perché legato alle radici, e qui partono dal ‘200 mica scherzi, se passava Dante vedeva la torre campanaria già in funzione, e insieme modernissimo stando in Rete. E per questo, travalicando il mero elenco delle presenze - sulle quali tornerò - scrivo sull’importanza del libro, “Cinema Teatro-Olimpia dei fratelli Bartalini”, mentre parto verso Vecchiano. Ed è questa la terza foto che non è stata ancora scattata, ma lo sarà: il 9 aprile. Quando racconterò cosa è successo, al mio ruolo di scrittore, dopo il 1997.
Pubblicato il libro feltrinelliano ho scelto di affidarmi, nomade, esclusivamente al Web, con grande sorpresa, del mio compaesano illustre, perché dopo un primo libro poi ce n’è sempre un secondo e un terzo. A Feltrinelli e Sellerio preferii la Rete perché secondo me la carta stampata aveva esaurito la sua funzione. Preferii la Rete e curare una rivista di frontiera che teorizzava un nuovo accesso ai saperi e alla letteratura: Tellus (1990-2009). E su di essa inventare un giornale on line Tellusfolio (2005-2009). Non rimpiango questa scelta. Che oggi si concretizza nei Weblog “Tutti i figli di Tellus”: Tellusfoglio, Tellus in Love, Compagna Tellus, tra cui Vecchiano un paese, per arrivare all’Olandese Volante magazine a breve on line. E questo perché oggi la letteratura e la poesia, devono nell’orizzontalità della rete, diventare romanzo corale o poema corale, accettando però, l’autore di essere una voce tra le altre. Come accadde in “Vecchiano un paese”, prima nel libro e poi, oggi, nel weblog, e come qui nella storia stampata, (ma che con me torna in Rete) del Cinema teatro Olimpia, dove la mia è una voce tra tante. Che trova significazione, però, proprio perché ha le altre accanto e non, badate, viceversa.
Così dovrebbe accadere anche per la poesia. Scomparendo, l’Autore, se ha talento e invenzioni nel magma dei linguaggi-vite, meglio ri-appare. Ogni linguaggio non gli è precluso, trova la sua morte e trasfigurazione nello spettro telematico. E un piccolo teatro, come l’Olimpia, dagli anni trenta ad oggi, diventa centro di un universo che si allarga, sasso in acqua, e questa è una comunità narrante on line, che può essere imitata.
Di quanto scrivo ne feci una relazione, l'anno scorso di questi tempi, a un incontro sulla poesia on line, in una città del nord, di cui ho dimenticato il nome - ma non il suggestivo vicolo del Gatto - compreso quello degli organizzatori. Peccato che abbiano ignorato ogni mio suggerimento. Per fortuna appare un libro simile, e così trovo conferma che tra web e carta stampata può esistere questa scommessa estetica ed esistenziale. Che si possa evitare ogni gerarchia che già mi faceva venire il nervoso nel ’77 verso chi la proponeva e chi la subiva. E chi la rappresentava erano maestri della critica della poesia della narrativa dell'editoria non pallide copie esangui. Non so se mi spiego. Dunque, secondo me, una prassi possibile, adatta ai tempi, la indica questo libro e quanto vi accade. Ed è una fortuna che esista, che sia apparso, posso sperare di non essere dentro un’assurda, ancora una volta Accio!, utopia impraticabile. Senza sbocchi concreti. Questo libro con le sue foto dice che la formazione dell’autore sta nell’intreccio con vite-linguaggi veramente altri, nella storia concreta dei vissuti e dell’immaginario.

Al teatro Olimpia ho appreso la finzione filmica, le storie hollyvoodiane, Nello Bartalini, proprietario, mi portava ad ascoltare Gerry Mulligan e mi fece conoscere il Cool Jazz, e nei veglioni, nelle sale da ballo a lato, capii che l’aspetto ludico della vita, la danza, la sensualità, la seduzione sono la componente essenziale della scrittura dei corpi e del loro scambiarsi. Ben prima di leggere Foucault. E dei giovani, vecchianesi, organizzati nel Circolo Howl, come da regola formato beat generation!, e nel libro lo testimoniano, poterono negli anni Settanta - che dei superficiali reazionari chiamano anni di piombo - invitare all’Olimpia Guccini, Gaetano, Battiato, Dalla, e diffondere la musica dei nuovi cantautori nella zona… tutte cose oggi impossibili ma che andranno re-inventate con la Rete proponendo dei luoghi, nuovi che fanno centro, nucleo, anche episodico, per la musica e la presa sul reale con i linguaggi di oggi.. Questo dirò all’Olimpia e insieme sarò ancora Accio e in sala ci sarà una figura assente, che a Vecchiano ha un suo racconto orale, lo stesso a cui io ambisco più di ogni altro libro, Libertario Di Scalzo detto Lalo. Mio padre.


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CINEMA CON DANZA TEMA DI GRANDE IMPORTANZA

Il restauro cinema-teatro Olimpia è uno di quegli eventi che travalica l’esemplare dedizione di una giunta comunale nel restituire alla comunità un edificio fruibile perché questo luogo è anche racconto in attesa di avere un suo proseguo, altri capitoli, altre vite che in esso depositino voci, gesti, presente. Se quindi penso ai divertimenti della mia infanzia e adolescenza negli anni Cinquanta e primi Sessanta, che vissi con il soprannome di Accio, dopo aver giocato nei campi del prete davanti casa o sull’argine del Serchio o avventurose salite verso il santuario della Madonna di Castello, era il Cinema-teatro Olimpia che ci aspettava alla sera per consegnarci trame - vedendo pirati in azione, erculei greci in lotta contro tiranni, e trapper nel lontano west - da trasferire dalla celluloide a reali avventure di bambini in calzoncini corti. Ridenti e chiassosi. E a volte piangenti per le botte date e prese e i rimproveri familiari. Ma il cinema Olimpia non ci dava soltanto l’avventura filmica che sembrava uscita dai romanzi di Salgari e Dumas, sia in inverno sulle poltroncine in noce al chiuso che in estate su quelle verdi e di metallo all’aperto sotto le stelle, ci avvicinava anche all’amore recitato da aitanti divi americani e da irraggiungibili bellezze hollyvoodiane. Spiavamo incuriositi le seduzioni, i baci, le passioni che andavano incontro alla disperazione ma più spesso al lieto fine. E questo tumulto recitato sullo schermo, io e certi miei compagni di giochi, magari un po’ più cresciuti, lo ritrovavamo in declinazione sentimentale, e sguardi, e corteggiamenti nelle sale da ballo che allora ebbero presenza nel paese: La “Casina dei fiori” e la “Paloma” sul Serchio. Accompagnando i nostri genitori o al seguito di cugini più grandi entravamo nella musica, nelle canzoni suadenti di Gino Paoli, dei balli americani, ed era uno sfarfallìo di vesti colorate, rossetti, profumi, allegria e qualche malinconia e tristezza scoperta in chi non ballava non aveva la fidanzata o l’aveva perduta. Conoscevamo il gioco bellissimo e crudele dell’amore. Senza saperlo ci stava entrando sottopelle e nel muscolo cardiaco e prima e poi le corse e i giochi a rimpiattino e le fionde ci sarebbero apparse superate, inutili, avremmo indossato i pantaloni lunghi e un giorno saremmmo andati al cinema Olimpia e poi al ballo per vedere e cercare la prima ragazza di cui ci eravamo innamorati e che ci stava cambiando la vita.

Del mio paese ho scritto in un libro pubblicato nel 1997 da Feltrinelli, “Vecchiano un paese, lettere a Antonio Tabucchi”. Quanto ho qui scritto è un ideale post scriptum.

da "Cinema-teatro Olimpia dei fratelli Bartalini", a cura di serena Vitale, marzo 2011. Europolis Editing


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(Il palcoscenico del cinema-teatro Olimpia allestito per il Premio Vecchiano, 1977. Foto a colori formato cartolina)

Caro Antonio,
intanto resta una foto, un’inquadratura di un tavolino sul palcoscenico del cinema-teatro Olimpia dove un professore di letteratura italiana dell’università di Pisa - che si commuoveva ricordando la sua amicizia con Montale – e il futuro autore de Il gioco del rovescio guardano sottecchi un militante di Lotta Continua prestato alla poesia d’avanguardia. E anche questa foto voglio spedirtela. Sebbene pensi che le foto tu non le ami. Temi forse che dentro le foto si abbia in sorte una particolare vista sul mondo che cambia?, o un particolare tipo di invecchiamento fatto di soli pensieri?
In quella sala del cinema Olimpia c’era lo spiritello della cultura, lo si scopre dai volti dei presenti: è gente interessata quella che vedi seduta nelle poltroncine, che capisce che si sforza di capire che cos’è la poesia e forse questo è già un modo per intenderla. Chi tiene riviste sottobraccio, chi libri sulle ginocchia magari stampati a proprie spese. Era un’Italia fatta di impiegati, di operai, di figli di camionisti come me, ai quali appariva normale passare una serata a un premio di poesia. Ecco, proprio così, caro Antonio, c’era questo sforzo che ora non c’è più. Poi su come sia mutata la cultura e il modo di viverla io ho un’idea balzana ma voglio raccontartela (…). La mia stramba illuminazione dice questo: la cultura, ma vorrei dire un frammento di poesia, un paesaggio in un quadro, una formula matematica dell’universo, può depositarsi nell’inconscio delle persone come un rivolo sottile e passare quasi per osmosi da una persona all’altra, da un potenziale poeta all’altro, da un potenziale scrittore all’altro, pur senza mai concretizzarsi o manifestarsi sotto forma di libro, ma scivolando e gonfiandosi da inconscio a inconscio quasi ubbidendo a una lievitazione lunare e poi diventare fiume in un campana, un Tozzi, uno Sbarbaro. Metafisica spinoziana a buon mercato? Metafisica spinoziana a buon mercato. (…)

Tuo Claudio

da "Vecchiano, un paese", Feltrinelli, 1997











domenica 6 marzo 2011

Margherita Stein: Infernalia rivoluzionaria di Rimbaud dopo la prima Comunione

   

                                       Raffaele Monti. Vestale, Chatsworth House, Derbyshire



INFERNALIA RIVOLUZIONARIA DOPO LA PRIMA COMUNIONE

Per una sorta di castrazione anche patetica in tanti nella sinistra intellettuale, nei palchi bassi, del teatro universitario-giornalistico-editoriale, hanno indossato la cappa dei fedeli al Dio Vaticano in terra, macchiandola di rosso, il loro ultimo rosso, dopo l’evirazione del fallo rivoluzionario, o ritenuto tale. Infatti la “mosceria” intellettuale italiana ha episodi ingloriosi. Sorvoliamo. Mi si permetta, in forma esplicativa, questa traduzione da “Una stagione all’inferno” di Rimbaud. Uno che dopo la Comunione ha radicalizzato l’esistenza-testualità in totale distacco dal Cattolicesimo. Da meditare la crepa rimbaudiana. Fatale nel pensiero sul sacro occidentale. Ho tradotto, in azzardo, “je ne puis comprendre la révolte” con incomprensione verso la rivoluzione. "Sforzo e piego" Arthur Rimbaud ad anticipare la corrrente anarchica stirneriana che vaticinò la ribellione, anche animalesca del proprio Io, contro ogni architettura ideologica a guida marxista e poi leninista. Strappo alla correttezza della brava traduttrice per compiacere Claudio Di Scalzo e le sue fumisterie anarchiche, passate fra le Alpi. Al sicuro mi sembra. (Margherita Stein)



MAUVAIS SANG
  
(…) Si j'avais des antécédents à un point quelconque de l'histoire de France!
Mais non, rien.
II m'est bien évident que j'ai toujours été race inférieure. Je ne puis comprendre la révolte. Ma race ne se souleva jamais que pour piller; tels les loups à la bête qu'ils n'ont pas tuée.
Je me rappelle l'histoire de la France fìlle aînée de l'Eglise. J'aurais fait, manant, le voyage de terre sainte; j’ai dans la tête des routes dans les plaines souabes, des vues de Byzance, des remparts de Solyme; le culte de Marie, l'attendrissement sur le crucifié s'éveillent en moi parmi mille féeries profanes. - Je suis assis, lépreux, sur les pots cassés et les orties, au pied d'un mur rongé par le soleil - Plus tard, reître, j'aurais bivaqué sous les nuits d'Allemagne.
Ah! encore: je danse le sabbat dans une rouge clairière, avec des vieilles et des enfants.
Je ne me souviens pas plus loin que cette terre-ci et le christianisme. Je n'en finirais pas de me revoir dans ce passé. Mais toujours seul; sans famille; même, quelle langue parlais-je? Je ne me vois jamais dans les conseils du Christ; ni dans les conseils des Seigneurs, - représentants du Christ.
Qu’étais-je au siècle dernier: je ne me retrouve qu’aujourd'hui. Plus de vagabonds, plus de guerres vagues. La race inférieure a tout couvert - le peuple, comme on dit, la raison; la nation et la science.
Oh! la science! On a tout repris. Pour le corps et pour l’âme, - le viatique, - on a la médecine et la philosophie, - les remèdes de bonnes femmes et les chansons populaires arrangées. Et les divertissements des princes et les jeux qu’ils interdisaient! Géographie, cosmographie, mécanique, chimie!...
La science, la nouvelle noblesse! Le progrès. Le monde marche! Pourquoi ne tournerait-il pas?
C'est la vision des nombres. Nous allons à l’Esprit. C'est très-certain, c’est oracle, ce que je dis. Je comprends, er ne sachant m’expliquer sans paroles païennes, je voudrais me taire. (…)


Se avessi almeno degli antecedenti nella storia patria, in un punto, qualsiasi!
Ma no, vuoto.
Lampante, schiarente, in tutto, che appartengo alla razza inferiore. Non posso comprendere la rivoluzione. La mia stirpe contempla la ribellione soltanto per predare: come fanno i lupi con la bestia non uccisa da loro.
Ripenso la storia della Francia, figlia primogenita della Chiesa. Avrei compiuto da contadinotto il viaggio in Terra Santa; ho in testa certe strade sulle pianure di Svevia, certi panorami di Bisanzio, torrioni di Solima; il culto della Vergine, l’intenerimento sul Crocifisso si ridestano in me tra fantasmagorie profane in numero di mille. – Sto accovacciato, lebbroso, sui piatti rotti e le ortiche, canto un muro calcinato dal sole. Più tardi, soldataccio, avrei nelle tedesche notti bivaccato.
Ah! Di più: in una radura rossastra il sabba roteo con vecchie e pargoli.
Non riesco a ripensare oltre questa mia terra e del cristianesimo. Senza fine rivedermi in questo passato. Però sempre in solitario; senza famiglia; anzi quale lingua parlavo? Nei precetti del Cristo non riesco mai a riconoscermi: neppure nei disegni dei Signori, - rappresentanti del Crocifisso.
Nel secolo scorso che cos’ero? Mi ritrovo solamente oggidì. Non più vagabondi, finite le guerre vaghe. Il popolo, la ragione e la scienza, compresa la nazione, sono stati ricoperti – come suol dirsi - dalla razza inferiore.
Oh oh la scienza! Tutto è stato ripreso. Adatti al corpo, adatti all’anima – viatico! – ci sono la medicina e la filosofia – rimedi da comari come le canzonette riadattate. Compresi i divertimenti dei principi e i giochi da loro proibiti! Geografia, cosmografia, meccanica, chimica!...
Scienza, innovativa nobilta! Il progresso. Cammina il mondo! Perché mai non dovrebbe girare?
E’ la visione dei numeri. Procediamo verso lo Spirito. E’ fatto certo, oracolare, quanto pronuncio. Intendo, e non riuscendo nella spiegazione senza motti pagani, vorrei tacere.

Margherita Stein

Da Une saison en enfer, Una stagione all’inferno.



                                                                      Margheita Stein




 Margherita Stein ha scritto con me testi per l'Annuario TELLUS 30 - "Nomi per 4 stagioni", 2009.



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POLICE

Every Breath You Take






Margherita Stein: Io vestale rossa. II, dittico.

                                        

                             Claudio Di Scalzo. "Vestale rossa velata promessa sconsiderata", 1982



IO VESTALE ROSSA. DITTICO, II

Caro Claudio… ho accompagnato la mia traduzione, frammento, dal Rimbaud di “Une Saison en enfer” (riferimento ad una pubblicazione on line) con le foto che scattasti alla misteriosa donna velata, vestale che trovammo a Chatsworth House, nella contea del Derbyshire; una, secondo me, pacchianotta "Country House", residenza nobiliare di campagna. Però come sai ho in testa viaggiando le ville lucchesi. Qui, spero lo ricorderai, cercavamo un quadro di Rembrandt o del Veronese. Roba altisonante. Ti c’eri fissato. Trovammo questa inginocchiata velata. Virasti alcune fotografie in rosso e altri sfumati colori. Dedicandomele. Con "spirito" da vecchianese! Dovevo sembrarti la vestale rossa - comunista - che teneva accudita la fiamma. Scemenza! Sono sempre stata più libertaria di te. Le foto risalgono al lontanissimo 1982. Estate. Tuo zio Beppino, abitava a londra, aveva dopo alterne fortune acquistato un albergo. La scultura è di un certo Raffaele Monti. Chissà com’era finita lì. Gli inglesi sono cacciatori di sculture paganeggianti. Non è Michelangelo. Con la tua passione per i giochetti alla Duchamp nei titoli chiamasti le fotografie “Margherita Stein Vestale, foto sotto Monti R.” Tradotto Margherita Stein sotto i monti lucchesi o il Monti scultore. Copia. R mi sembra stesse per rapinosa o rapina d’immagine. Complicatissimo. Come possono venirti in mente questi ingarbugli non lo so. Ma siccome il tempo scusa le stramberie usala come titolo. (Riferimento alla pubblicazione su Tellus 30, "Nomi per 4 sagioni", 2009). Mi ringiovanisce. Anche se marmorea.


Tua Margherita che le campanule le conosce veramente accudendo campi

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Margherita Stein è nata a Lucca nel 1960. Vive tra Nozzano Castello e Monaco. Scrive e traduce e coltiva un piccolo campo a frutteto seguendo il ritmo delle stagioni nella piana del Serchio. I frutti e i prodotti della terra li vende quanto scrive lo regala o lo distrugge. (Annuario TELLUS 27, “Dalla Torre Pendente alle Alpi. Viaggi e altri viaggi”, 2006)

Così scrive su TELLUS Margherita Stein. Nota biografica estremamente snob e delicatamente bugiarda. Margherita Stein non possiede un piccolo campo bensì molte terre nella Lucchesia. Vive di rendita. Più che altro a Monaco. Mi è sempre piaciuto, e mi ha fortemente influenzato, il suo radicalismo in materia di traduzione. Mestiere a cui ha rinunciato un po' come quei musicisti che cercano il suono-silenzio e i pittori la tela-bianca. Lo zero, insomma. E’ stata da me coinvolta in Tellus Annuario (1990-2009) E in Tellusfolio (2005-2009, direzione CDS). Ha tradotto per gli annuari Büchner (Lenz), Xavier De Maistre (Viaggio notturno attorno alla mia camera), Hofmannsthal (Lettera di Lord Chandos), Franz Grillparzer (Il povero musicante), Corbière (Casino dei trapassati, Al buon scalo degli scorati), Laforgue, Baudelaire, Mallarmé, Coleridge, Hölderlin, Mörike ed altri. Nel Tellus 30, 2009, è sata antologizzata con riflessioni sulla traduzione e prose, nella sezione "Tastiera rosa pallido". (Il volume è esaurito). Tutte le traduzioni sono di proprietà di MS. La Cooperatva-Editrice Labos ne sfrutta la pubblicazione senza il permesso dell'autrice.

Su questo weblog verrà riproposto il Dittico "Io vestale rossa" e il Trittico: "Io vestale enigmatica" incentrate sulla scultura "Donna velata" esposta a Chatsworth House, nella contea del Derbyshire.
Le foto sono mie. A quei tempi, per ottenere fotografie virate in altri colori, lo sfumato, bisognava darsi da fare in camera oscura e lavorare con i filtri. Oggi con photoshop è il click di un attimo. E per questo tutti si sentono fotografi e in grado di creare o inventare un'immagine. Con risultati in genere molto mediocri.  Sono contento di aver avuto la possibilità di lavorare con la Nikon F1 e F2 e la FM2 soltanto meccanica e gli acidi in camera oscura.  Claudio Di Scalzo



POLICE

BRING ON THE NIGHT, 1982





venerdì 4 marzo 2011

Claudio Di Scalzo: Il Pazzo e Accio e Silvia Comoglio a caccia del cinghiale

  




IL PAZZO E ACCIO E SILVIA COMOGLIO A CACCIA DEL CINGHIALE

Stanotte ho sognato Il Pazzo. Il mio amico Paolo Fatticcioni. Siamo in barberia a Nodica e scherza sulla sua testa calva frutto della chemioterapia con cui combatte il cancro che lo sta uccidendo. Lo vedi Accio?, tutti questi clienti che m'invidiavano per la mia chioma e per le donne che avevo, ora possono compatirmi, ma io non lo concedo, e al primo che mi chiede come sto con la malattia, taglio un orecchio. Come vuoi che stia Accio?, muoio! Ma alla mia maniera. Stanotte si va a caccia del cinghiale, di bracconaggio, nel parco. Te la senti!? Mi guardo la tasca della giacca, ho con me il libro di una poetessa dove si racconta in versi la strana vita di un gufo chiamato Bubo Bubo. (Silvia Comoglio, Bubo Bubo, L’arcolaio) appena pubblicato. Il Pazzo mi dice: porta anche il libro, i gufi sono saggi. Percepisco che mi sto infilando in una avventura notturna, un notturno pericoloso. Un uomo ammalato gravemente che vuole stare con il fucile in braccio in cerca di una bestia per farsi travolgere! lo intuisco, e rendermi testimone di una fine che eviti l’agonia in un letto; con me i versi di una poetessa che rende protagonista un volatile notturno con il tocco lieve delle petrarchiste che poi conoscevano anche passacaglie e adagi per versare lacrime verso l’ignoto che porta l’amore quando arriva l’inverno.
Nella pineta camminiamo accanto. Il Pazzo un po' traballante. Spande odore di medicine. Speriamo non m’annusi con questo profumo addosso, dice. -Se sbua il cinghiale dalle frasche, sparo io. Tu stai fermo, sennò mi spari in un piede.
-A me il secondo colpo! Se non lo cogli. Tanto mi resterà in canna… hai mira…
-Che ne sai! Non sono più quello d'una volta! Se mi spezza la schiena col muso perché lo manco, lascialo fare…
Il cinghiale sbua! sembra un rinoceronte da tanto ch'è grosso! vedo il Pazzo che non spara! Urlo di farlo! Lui mi fissa e sorride! Capisco che mi propone, come sempre era accaduto tra noi, l’imitazione! di farmi schiantare con lui dalla bestia,... e abbasso il fucile! In quel momento delle mani mi spostano, spingendomi via, dalla traiettoria dell’animale infuriato… cado a lato, mi sveglio, come se volessi rialzarmi per tornare accanto al mio amico tendo le gambe in ginocchio… ed è riapparsa la geometria della camera alpina, del letto sfatto dove sono… sospiro dolorante come se il suolo l‘avessi conosciuto davvero… la polvere e gli aghi di pino volteggiano sotto al soffitto… annaspo con la mano terrosa… e sulla stoffa il libro di Silvia Comoglio… “un abbraccio e a presto”. Proprio quello che mi ha salvato dalla bestia… e nel post scriptum il riferimento ai cinghiali, scherzoso, perché una volta le avevo raccontato, che il mio rapporto con la natura, era stato, complice l'amicizia con un barbiere, anche questo. La sua coscienza naturalista l'aveva fatta sobbalzare, ma poi aveva capito che il Pazzo e Accio erano due personaggi anche da romanzo che più che altro erano cacciati da un destino oscuro e a volte birbone. E mi aveva perdonato… scriverò ancora su questo libro, e mi rendo conto che questa è una segnalazione atipica per una pubblicazione di poesia. Ma è andata così, Bubo Bubo mi ha suggerito un sogno, il richiamo a un’amicizia invincibile, e altri legami con la poesia che non so afferrare bene… è andata così… ma non ho voluto tacere come i versi di Silvia Comoglio abbiano portato stanotte un uomo come me in certi territori… agli addetti ai lavori altra divulgazione, io non lo sono, sono un ex cacciatore di cinghiali senza più amici… che gli portavano l’avventura reale e che, ora, se la cerca sognando. A volte, qui, mi salvo se c’è una poetessa amica che scrive di gufi con l’orecchio musicale formato nel selvatico, a volte no.

Claudio Di Scalzo
Notte e mattino del 4 marzo 2011




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EPICA

MEMORY