mercoledì 25 aprile 2018

Sara Cardellino e Accio: In coppia dipinti senza foto intinti. Lucca il 25 aprile 2018 - Cura di Claudio Di Scalzo



(“Sara Cardellino e Accio Sulle Mura di Lucca” - Tavola da terminare. 25.IV.2018)




Sara Cardellino e Accio

IN COPPIA  DIPINTI SENZA FOTO INTINTI

-Cardellino, stasera, qui al concerto, tutti e due eleganti, una foto in coppia sarebbe ideale.

-Sì, facciamola scattare a qualche devoto come noi due a Puccini, qui in San Giovanni di Lucca.

-Però ricordati il giuramento. Lo ricordi?

-Più o meno.

-Cosa vuol dire più o meno! Non fare lo gnorri!! Sennò niente foto assieme. Ripetimelo Accio.

-Ehmm… nessuna foto assieme dovrà mai apparire on line. Siti o app. Soltanto, qualche volta, dipinti. E il perché devo tenerlo a mente…

-Lo tieni a mente?

-Più o meno…

-Uhhh… che nervoso mi fai venire… col tuo “più o meno”… allora te lo ricordo io: “Dato che quando eravamo separati, cinque anni e cinque mesi, hai pubblicato tue foto in coppia, con un'altra donna, io non voglio, mai e poi mai, apparire in fotografia con te pubblicamente. Non dico non avere foto assieme. Che mi “garbano”, sappilo. Ma a pubblicarle on line temo ci porti sfortuna, sono superstiziosa; temo invada il nostro privato in maniera non adatto a quanto viviamo. Poi, sono convinta, che i disegni nostri in coppia, siano, molto più belli, baci compresi. Sei d’accordo Accio?”

-Firmo e controfirmo la tua saggezza. Ma ora chiamiamo il devoto pucciniano per la foto. Alle tue labbra rosse al tuo elegante vestito e al mio farfallino che sfarfalla meditando un bacino per te.

-Scemo!... guai a te se mi baci e mi rovini il trucco. Dopo ogni bacio sulle Mura ti darò… farò Tosca e tu Cavarodossi mentre “lucean le stelle”… e tieni nel cuore la fucilata del mio amore che t’ha guarito e fatto ancora innamorare di me…

-Oh Cardellino… oh Canarino veneziano… ma come fai a sta’ con uno come me ancora… per la seconda volta… che ti fece tanto soffrì anni addietro?

-Forse perché come Butterfly aspettavo il mio tenente? Forse perché sei il mio Heathcliff e io Catherine? E i Linton al maschile e al femminile, con noi due han fatto cilecca, e mostrato che l’amore loro non ci riguarda! Forse perché sei l’unico che viene bene in fotografia accanto a me quando sei elegante e io pure…

-Caspita Sara… quando divento melodrammatico  a tutto fumetto… mi stronchi l’impeto… e fai l’ironica… però il ricordo di Butterfly e Catherine è adatto.

- È il bello del nostra coppia oltre ogni fotografia e dipinto… si chiama “contrappunto” in musica… punto a mio favore in amore…

-Ehi!... questa regola non la firmo…

- Sorridi… passami la mano sui fianchi mentre piego il collo verso te… e stai immobile… che scatta…





lunedì 23 aprile 2018

Accio Heathcliff e Catherine Cardellino a Vecchiano (25 marzo 2018) - Cura Claudio Di Scalzo


"ACCIO HEATHCLIFF A VECCHIANO IL 25 III 2018". FOTO SARA CARDELLINO





ACCIO HEATHCLIFF E CATHERINE CARDELLINO
 A VECCHIANO 
(25 Marzo 2018)
cura Claudio Di Scalzo




CDS: "ACCIO HEATCLIFF, A VENEZIA, DA CATHERINE CARDELLINO" 
 Autunno 2017 - Tecnica mista su cartone - 50 x 70 
Proprietà Sara Cardellino 





-Mi fai il viso alla Heathcliff Accio? Voglio scattarti una foto!

-La portavo senza recita a Venezia nell’autunno 2011 quando raggiungendo la tua casa per dirti quanto ancora ti amavo… ti vidi passare con Linton, lo avresti sposato, che ti teneva per mano e tu sorridevi contenta… non mi far venire il nervoso!

-Accio quel tempo mi sembra sia passato, per me, per te, “Un-una Linton per ciascuno non fa male a nessuno!”... dai,… sono faceta… ma ho voglia di scherzare…

-Mi sarei buttato nel canale per affogarmi dalla disperazione! … mi disegnai a capofitto e scrissi un frammento terribile…

-Dopo me lo leggi… e mi fai vedere il ritratto… però ora voglio tremare spaventata dagli occhiacci zingareschi di Accio!

-Recito Heatcliff se ti fai fotografare accanto a me mentre ti guardo crudele…

-No e no!… lo sai che non voglio fotografie ma solo disegni per me!... e poi, scusami tanto, il gioco adesso è che tu sei reale, un Accio Heathcliff oggi 25 marzo 2018, fotografato…e io sono Sara reale e Sara personaggio Catherine Cardellino che ti fotografa… posando i piedi sulla roccia del presente, mentre le foglie Linton volano via. E mentre scatto la fotografia dirò come Catherine: IO SONO ACCIO HEATHCLIFF!

-Caspita… sull’aia sento LA CAN abbaiare gioioso per il suo metodo applicato…

-Perfetto sei cotto di me e decostruito… puoi recitare!... fermo così… clik click…





CDS: "ACCIO HEATCLIFF A CAPOFITTO NEL CANALE 
SCOPRENDO CATHERINE CARDELLINO CHE SPOSA LINTON" 
 Autunno 2011, Venezia.





Claudio Di Scalzo

COME SI INVECCHIA NELL'AUTUNNO A VENEZIA
 SE SEI HEATHCLIFF 

(2011)

Heathcliff invecchia con il non detto che s’appropria dell’eccedenza amorosa che Catherine espresse tra le sue braccia e che poi gli strappò sposando Linton e che poi gli riconsegnò ancora morendo nella sua scrittura. Compenetrato sta Heathcliff all’acqua della laguna, al parapetto - ideale per le coppie in cerca di foto ricordo abbracciati - alla formica che passa sui marmi, al piccolo topolino sulla grata del palazzo, perché il suo sfinimento, limite insuperabile, oltre c’è la morte fisica, sta diventando il fantasma di un’espressività detta irrealtà che nutrita dall’odio è anche e ancora un finale senza mai che il racconto diventi trama. A conti fatti... una dannazione che di poetico ha soltanto il vento tra i grigi capelli che alita la promessa mancata. Da me che la ingannai, pensa Heathcliff, da lei che m'ingannò.






giovedì 12 aprile 2018

Rina Rètis-Fosco Neri: "Mia Poesia (e sia!) la luna" scritta da Cyrano Ercole Savignano di Pisa. A Claudio Di Scalzo


"Tabernacolo di Cyrano ove posò sua luna con la mano"
Foto Rina Rètis
25 IX 2012





Rina Rètis-Fosco Neri
MIA POESIA (E SIA!) LA LUNA
(a Claudio Di Scalzo)

Mia poesia (e sia!) la luna!

M'invitò a ulular fortuna

Alla volta di Rossana.

M'attaccai alla sottana del cielo,

Sotto il tabernacolo dell'antica magione

Dove un santo fu (ricordo) dentro sua prigione.

Loculo triste e scuro, senza il volto sacro

Che da dietro la grata illuminasse la maniera

Con cui Cyrano coglie la sua rosa della sera.

Fu lampante che la luna

Ammiccando alla mia volta

Sorridesse come per una disputa risolta:

"C'è bisogno di santificare il letto degli amanti?

Che purtroppo contan meno dei tabernacoli dei santi!?"


Cyrano Ercole Savignano di Pisa
evocato da Rina Rètis

con il corpo e i pensieri

di Fosco Neri




CDS: Rina Rètis vedova di Fosco Neri con mano rossa







IL MIO NOME È RINA RÈTIS


Il mio nome è Rina Rètis. Sono comunista eterodossa. Trotskista. In passato ho scritto, senza mai stampare un rigo, sulla vicenda del mio legame con Fosco Neri. Il mio amato compagno. Anche pittore. Morto in oscuro incidente stradale, e penso me l’abbiano ammazzato per certe sue inchieste politiche, nel febbraio del 2017. Ebbe, Fosco,  vita politica turbolenta negli anni settanta. Un rivoluzionario coerente come pochi.

Mi sono interessata, episodicamente, a un poeta ligure che tribolò in vita con l’immobile tomba del nome, ma da alcuni anni sono soprattutto donna malata. 
Una rara e poco conosciuta malattia alle ossa ai muscoli mi danno spossatezza, dolori costanti, rinuncia a stare sveglia. Fosco ha scritto sul mio dolore con una tenerezza che a rileggerne gli episodi, o soltanto a pensarci, mi viene da piangere. Perché non è più con me.  
Malattia organica  che m'azzanna la psiche. 

La morte di Fosco però m'ha dato un’energia che prima non conoscevo. Devo proseguire il romanzo comunista, il feuilleton tragico, che tanto lo coinvolgeva con ricerche sul movimento operaio e rivoluzionario, nell'epoca in cui questi accadimenti rivoluzionari hanno occultato sotto menzogne, tradimenti, vendette. I più collaborativi, a questo scempio, son stati artisti-artiste letterati-letterate intellettuali. 


Per questo quasi tutti li disprezzo. 

Per questo voglio ancora scrivere da comunista qualche frammento. 
Per questo Rina la rossa appare su certe pagine elettroniche. E Fosco è con me anche se gli altri non lo vedono.




Fabio Nardi e Karoline Knabberchen: Monti pallidi. Da “Lettere stregate engadinesi” - A cura Claudio Di Scalzo



Foto Fabio Nardi






Cura 

Claudio Di Scalzo/Canzoniere di KK

Fabio Nardi e Karoline Knabberchen


MONTI PALLIDI

Nebbia fumo nuvole basse come parola fluida s’accorge che la montagna innevata infarinata col cielo sgombro celeste basta al silenzio dell’alba. Fotografia per una dialettica umile, modesta, sincera che apre alla possibilità del sublime colore che tutto dello sguardo intride. Fotografia e religione sono più alte della narrazione. La parola non è nulla di nuovo. Miscuglio nel gioco del Dio. La realtà sfuggente detta nebbia il portento della neve sulla vetta la protezione del cielo cilestre è quanto si rinnova e dura. Come il mio amore per te, Karoline Knabberchen. 





Foto Fabio Nardi





Mattino

L’airone alza in volo cadenzato
movimenti lunghi di preghiera
-quelli con cui si scostano i sogni
dalla faccia: al mattino è un calice
d’ombra la montagna
addensa l’estremità del cielo.
Il fiume lo consideri dal centro
lo sguardo rialzato degli alberi da frutto
scava un’ansa tutta tua
Sento un morso alla pelle sopra, come un gatto
quando lo afferri dal coppino:
l’effettiva inconsistenza
che via scivola la sera -acqua nella doccia-
ecco che nasce fisso al petto
con il primo raggio da dietro la montagna
Che quando cresci non hai più paura
del buio raccontan la menzogna
gli adulti che non san sentirsi soli
la notte dentro al letto.
Gli uomini guardano il culo alla ragazza-
lei attillata le braccia scoperte muscolose
ancheggia movimenti regolari
Anch’io una volta ci credevo-
ora non ce la faccio più
a camminare così dritta sulla schiena
“I pensieri” dice mia madre-
Le partenze aumentano i ritorni,
la luce sbecchetta il giorno
condensazione di materia sotto il chiaro
descrive lenti quei profili.
Più in là la corsa del fiume che dilata il respiro
parla una lingua ormai diversa:
il verde frusta gli occhi
non si lascia decifrare
corre parallelo all’argine
si espande. Quando ne cogli il senso
è tardi, sei già arrivato.


Pomeriggio

I pomeriggi lungo l’INN catturan l’ombra al suolo
lungo il sentiero radunano voci
sospendon lo spazio tra gli argini
ne misurano il peso.
Le badanti sono troppo truccate o troppo poco
hanno la faccia lunga giù dei salici:
allacciano al braccio qualche vecchio
le muove il vento.
Quand’ero piccola credevo fossero gli alberi
a muovere aria
e che contraendo dal basso
scuotessero il tronco, la forza raccolta
in un dove sepolto.
Se cerchi l’inizio, poi cadi.
E l’infinito che nel cranio preme
a margine di completamento
si conclude quando rianima il respiro.
La roccia dolomitica sfrega acqua
da dentro
il fiume è argento imbizzarrito
fine del ristagno piena assoluzione.
Non pensi più che la casa è piccola
viri al verde
soppesi il vento irregolare capace
di radunar foglie frantumare i termini
ricomporli.

Sera

La sera slabbra margini ai monti
smaglia la fibra dura del cielo.
Certe volte l’aria si riempie di mare
memoria antica della roccia
che dal ghiaccio affiora e si delinea,
la sua virtù di pietra.
I segni del parto sul mio addome
sono una rete per pesci vivi
dilata respiro contrae vuoto.
Guardo la mia coniglia
(domani la porto a sterilizzare)
lei avrà una cicatrice verticale
non partorirà niente dal suo male.
Margine è un buon luogo per sostare
emanazione, casa di minoranze.
La sera mi stringe al fianco opposto
dove la montagna arresta il suo profilo
e sbalza la frangia di quel cielo.
La sera delle dolomiti è un guanto
di lontananze
sedimenta l’anima costringendola al suolo
oscillazione parallela d’esistenza
non compenetra il respiro, ti conserva fragile
immaturo:
una coralità di sguardi scissi
ossidati troppo esposti
dolore che non ha solidità del pianto.





         Fabio Nardi: "Monti Pallidi per Lettere Stregate Engadinesi" - olio su carta -






LETTERE STREGATE ENGADINESI



Il vento nel roseto affligge il giorno : avverte l’insistenza d’una leva d’inverno - qui odo il giardino sotterraneo del mio ventre assicurare fioriture a primavera  – così precarie in aprile, a queste latitudini!, sospira Fantasio.
La congeda nel seme del testo: Illusio scrittura come aratura, funesto giardiniere non conosce quantità d’acqua necessaria acciocché letteratura sbocci e non marcisca
(pagine e pagine andate perdute lungo il solco aperto in terra dalla sua depravazione)

In Engadina emergono miraggi dal sottosuolo: scioglie la cantilena nuovo boccio d’amore : dietro Illusio si fiancheggiano raggi rampicanti di sole, a chiarire ogni abbellimento per la sua stesura : complica l’assetto della lettera puntura menzoniera e scaltra – quel tal Illusio si ciondola a margine della grafia, consunta dal fil di bava fuoriuscita dalla busta sigillata per sola andata

Mi par di ricordare, ci eravamo addormentati dietro un paravento di campanule nel tuo giardino a Guarda – m’insegnavi o t’insegnavo a impollinare il modo indicativo dentro pose scritte per germogliar versi – irrompe in sogno battibecco tra due stami gelosi del tuo seno, bella Fantasio dipinta nella bocca d’Illusio come lasciva poesia

Dentro il quadro della casa fingiamo la nostra prigione fuori stagione – sorridi – e di là dal muro, violette attirano la nostra evasione. Veniamo interpretati dalla carta da parati, me ne accorgo, legati e sciolti in bivacchi montani, arroventati al minimo contatto (la tua pelle scalda più della carbonella, riesco a dire risucchiando Fantasio dentro fantasie poco gentili) arrediamo le stanze in cui ci soggioghiamo a turno, nel verde notturno della tua dimora fanciulla : mi piace possederti dove fosti ingenuamente pura

T’aspettavo a Marina di Pisa, strascicando l’alfabeto che hai trovato nella posta in arrivo: è un’ottima zavorra per buttarsi a mare, il peso dei soliloqui nottambuli d’Illusio, letti tra il caffè e la barba, prima dell’alba. Invece m’han raggiunto due scintille d’un falò engadinese, alle prese con le braci della distruzione del mio Fantaglossario – Illusiodiario : le ho portate a passeggio, dandomi gran pena fossero discoste dai bianchi spruzzi; e ancora mi fan compagnia, dalla sera che s’è fulminato il lumicino della solitudine

Dalla tinta vinaccia del suo sguardo, Fantasio  intinge l’intimo abbaglio d’unione: pretende potatura la legnosità in petto a Illusio, il sentimento moltiplica fatica d’intenderti perfetta amante, così da scivolare ancora nel frainteso godimento parnassiano - del movimento della mano - sulla carta : che ti descrive chiocciola dopo il temporale : che lo stecco del bambino infilza con cruda devozione, nel riparo d’erba

Figurati!, sopra il davanzale Illusio avanza tamburellando pioggerella di mare :  bacia labbra salmastre ammorbidite dal troppo trasognare “Dov’eri sparita piccina mia?” : lingua come un’onda agguanta Fantasio, nel mentre che appare irriguardosa del lieve torpore in cui snocciola nidi di sensualità : mischio al soffio grigioperla del vento quanto sussurri dietro le spalle : “Mio giocoso domatore” : e mi consegni all’avvizzimento posandomi sulla nuvola più alta

Lo stecco immerso nel rivolo vortica vivi riflessi d’Illusio e Fantasio bambini : scivola loro il patto d’amore verso la foce : calde lacrime Fantasio riversa, e Illusio le cinge i fianchi con mani d’estate : tutto arroventa : il patto è un seme proverbiale, cantilena la sua provenienza di porto in porto, in attesa d’un orto ove poter gemmare

L’ago del ricordo si fa più acuto sotto la nuca : e mentre esfoli il ritorno in mille congetture, non t’accorgi della coda che si dimena nella tua rete vacanziera : arrotoli in bocca la mia pena, come un chewin-gum ne strofini e modelli gli esiti zampettanti di zucchero e saliva : torno alla spiaggia arrangiando un pezzo sulla tua abbronzatura : con tutti i facili clichès della bionda straniera

A me pareva già che la cornetta dentro cui scivolavi fosse la tana in cui nasconderti fino al mio arrivo : Illusio caccia fuori un naso da tartufi e lappa, spavento dopo spavento, Fantasio rannicchiata dentro il solco di una conversazione : che poteva diventare tenue come risolino sulla pelle velluto d’una pesca : ma prima che ci riesca – pensa Fantasio – farò ramificare la voce in solida corteccia, la eleverò e guarderò i miei piedini perla gingillarsi sopra il suo vuoto

Lo scontro a fuoco tra i tuoi seni fluttuanti e la mia compostezza intergalattica ha prodotto universi in espansione : ho dato il tuo nome ad ogni frammento di stella supernova e meteorite recalcitrante alla mia attrazione primordiale. Oh Fantasio-planetario che sbuccio la sera nei pensieri-baccello della buona notte senza appello! Frutto per la volta celeste del palato, occhieggi loquace da distanze siderali, e non mi placo senza il tuo gioco su di me

Traslucida assonanza come di lucidalabbra che stemperi e ti rende  infantile : e conti gli anni che s’assentano al novero di fragili intermittenze : mentre pre-ci-pi-to-sa-men-te assali l’imbarcadero su cui galleggia la pubertà acquatica nascosta tra candidi giunchi, in attesa del nocchiero selvatico Illusio : che porterà sui polsi farfalle e mimerà il tuo sorriso e si corrugherà in ogni tua doglia e si distenderà nella tua notturna persuasione : disarmi il disarmatore, esibendo tra le piume del suo collo indomito la Nottola di Minerva

Quale visione introduce lo zufolo di terracotta, suonato dietro la trina dei capelli di Fantasio? : unico approvvigionamento per carovane affamate, nell’insonnia d’un quadrupede amore, disloca desideri di là dell’altrove : dove tu sei cerbiatta ciarliera di cera e Illusio orso accorto acciocché non avvenga lo scioglimento nell’accoppiamento : Esegue il richiamo chiudendo le note in cerchi concentrici che raggiungono una sponda e l’altra del lago di Massaciuccoli









martedì 10 aprile 2018

Accio e Sara Cardellino: Non ne ho voglia con Quasimodo per ritrovare la voglia. Lettera verso Bratislava di Vecchiano. A cura di Claudio Di Scalzo


CDS: "Sara Cardellino a Bratislava" - cm 40 x 50 - acrilico e matita






Accio e Sara Cardellino

NON NE HO VOGLIA CON QUASIMODO PER RITROVARE LA VOGLIA

(esemplare dialogo dal mare allo slovacco loco)


-Perché non scrivi una poesia per me mentre sono a Bratislava?

-Non ne ho voglia

-Allora fammi un ritratto a fumetto

-Non ne ho voglia

-Almeno delle fotografie di Vecchiano

-Non ne ho voglia

-Stai dicendo la verità o ragioni a rovescio?

-Non lo so.

-Stare in coppia nel cuor della terra
Trafitto da un raggio di non ne ho voglia
Ed è subito sera per l’amore

-M’è tornata la voglia… Cardellino!












NOTA SCALZA

Con Sara Cardellino sono tornato alle origini della spensieratezza, del gioco, della leggerezza,… e ciò si rivela sia che lei esegua la Serenata n. 2 in La maggiore per piccola orchestra di Brahms a Bratislava, che io esegua un facile vagabondaggio a Vecchiano tra immagini e scritture, sospinto dall’imperativo richiamo a Quasimodo, dopo che per farla irritare ho proposto il gioco del "Ne ho voglia/Non ne ho voglia", e del rovescio, andando incontro all’amore da diritto.

Per noi due, quanto attiene, se vogliamo, all’estetica, per certo la Serenata n. 2 di Brahms vi appartiene e così la sua interprete; per quanto invento io ho dei dubbi… l’importante è l’intesa che in un giorno di aprile, l'8 per la precisione, sia simile a quella del bambino e della bambina che pattinano sui marmi del piazzale, che da qui vedo; a quella della sposa col marito che van discutendo se fare il risotto a pranzo coi carciofi acquistati o se friggerli; allo studente che scendendo dal bus e con la compagna di studi e di assenze in classe ride a qualche battuta che lui le lascia bisbigliante nell’orecchio.
Gente che ha voglia di vivere l’umanissima vicenda della quotidianità nel suo reale dispiegarsi. Io oggi l’ho fatto da lontano, ma poi il Cardellino torna, e il gioco riprenderà da vicino. A questa poesia siamo adatti. (Accio)





Metafisica vecchianese senza tante pretese, 4  (cds)





Accio

LETTERA VERSO BRATISLAVA DI VECCHIANO


Nell’intesa con l’aria di piazza Grassalkovich scrivo:
Non ho suonato Bach bensì Brahms.
Ero distratta l’altrieri con le B.

In qualche costellazione raddoppi, voci interne, canti, toni della partitura.
La musica è linguaggio innaturale. Non ti stupire. La sua disposizione
Confligge col respiro naturale ne spande iridescenze nell’amore che conobbe il tragico.

A Bratislava non porto alcuna attenzione alla forma con cui si rinchiudono le cose.
Labbra che sorseggiano da un bicchiere, cicatrici in occhi suadenti,
la democrazia del suono cola ovunque c’è lingua.

Rivelazione che a me, delle chiese dei gesuiti, dei cappuccini, niente m’importa:
vorrei suonare la Serenata n. 2 a Vecchiano nella Chiesa di Sant’Alessandro.

Brahm seduto sulla piccola sedia per le sue poderose natiche
Non è umano, non lo è mai stato, è, era, un bozzolo d’infelicità!
Che ne hai fatto della tua giovinezzza? gli chiedo.

Mi procuro collisioni con annate senza te, che chiamo delle locuste.
Anni nell’equilibro d’argilla polmonare spigolo
Di persi ritagli. Schiene braccia vesti scemenze risate.

Brahm non ha mai vissuto in coppia. Qui la sua disperazione verso Schumann maestro.
Altro che invidia per le cosce partorienti di Clara Wiek pianista eccelsa!
Schumann, mi rivela Brahms sulla seggioletta, incise il canto dell’usignolo nel Quarto Lied
Dei Dichterliebe, lì perse la sua mente. Io suo seguace mi caricai la carcassa di rivalità
Per la sua leggera follia. La musica per Schumann era facile per me complessa agguantarla.
Son calandra goffo pennuto non usignolo.

Fisso così il flauto traverso, ci inciampo.
Se farà bel tempo sul Teatro dell’Opera,
se i rigagnoli saranno l’ultima volta gelati,
se le lame nell’acqua taglieranno tempi allegri o andanti
non m’interessa. Vale che qualcosa sia accaduto, tra me e te:
accaduto una volta, per tutte, per sempre.
Due volte nel tuo cuore vissi. Vivo.
Nessuna facciata di Bratislava voce lati sbriciolati
Ponti in carico, piedi nudi nella stanza, ringhiere in diagonale, 
potranno imitare le pupille
Come accolgono il vibrato nel mattino stesso fruscìo d’erbe smemorate carezze. La musica mia per te l’unica arte possibile per salvare dalla morte quanto non vivemmo. Per dare nel basso continuo vicenda al tempo intero cosmo mentre m’addormento.
Sul guanciale accanto alla tua testa. A Bratislava di Vecchiano.