giovedì 12 aprile 2018

Fabio Nardi e Karoline Knabberchen: Monti pallidi. Da “Lettere stregate engadinesi” - A cura Claudio Di Scalzo



Foto Fabio Nardi






Cura 

Claudio Di Scalzo/Canzoniere di KK

Fabio Nardi e Karoline Knabberchen


MONTI PALLIDI

Nebbia fumo nuvole basse come parola fluida s’accorge che la montagna innevata infarinata col cielo sgombro celeste basta al silenzio dell’alba. Fotografia per una dialettica umile, modesta, sincera che apre alla possibilità del sublime colore che tutto dello sguardo intride. Fotografia e religione sono più alte della narrazione. La parola non è nulla di nuovo. Miscuglio nel gioco del Dio. La realtà sfuggente detta nebbia il portento della neve sulla vetta la protezione del cielo cilestre è quanto si rinnova e dura. Come il mio amore per te, Karoline Knabberchen. 





Foto Fabio Nardi





Mattino

L’airone alza in volo cadenzato
movimenti lunghi di preghiera
-quelli con cui si scostano i sogni
dalla faccia: al mattino è un calice
d’ombra la montagna
addensa l’estremità del cielo.
Il fiume lo consideri dal centro
lo sguardo rialzato degli alberi da frutto
scava un’ansa tutta tua
Sento un morso alla pelle sopra, come un gatto
quando lo afferri dal coppino:
l’effettiva inconsistenza
che via scivola la sera -acqua nella doccia-
ecco che nasce fisso al petto
con il primo raggio da dietro la montagna
Che quando cresci non hai più paura
del buio raccontan la menzogna
gli adulti che non san sentirsi soli
la notte dentro al letto.
Gli uomini guardano il culo alla ragazza-
lei attillata le braccia scoperte muscolose
ancheggia movimenti regolari
Anch’io una volta ci credevo-
ora non ce la faccio più
a camminare così dritta sulla schiena
“I pensieri” dice mia madre-
Le partenze aumentano i ritorni,
la luce sbecchetta il giorno
condensazione di materia sotto il chiaro
descrive lenti quei profili.
Più in là la corsa del fiume che dilata il respiro
parla una lingua ormai diversa:
il verde frusta gli occhi
non si lascia decifrare
corre parallelo all’argine
si espande. Quando ne cogli il senso
è tardi, sei già arrivato.


Pomeriggio

I pomeriggi lungo l’INN catturan l’ombra al suolo
lungo il sentiero radunano voci
sospendon lo spazio tra gli argini
ne misurano il peso.
Le badanti sono troppo truccate o troppo poco
hanno la faccia lunga giù dei salici:
allacciano al braccio qualche vecchio
le muove il vento.
Quand’ero piccola credevo fossero gli alberi
a muovere aria
e che contraendo dal basso
scuotessero il tronco, la forza raccolta
in un dove sepolto.
Se cerchi l’inizio, poi cadi.
E l’infinito che nel cranio preme
a margine di completamento
si conclude quando rianima il respiro.
La roccia dolomitica sfrega acqua
da dentro
il fiume è argento imbizzarrito
fine del ristagno piena assoluzione.
Non pensi più che la casa è piccola
viri al verde
soppesi il vento irregolare capace
di radunar foglie frantumare i termini
ricomporli.

Sera

La sera slabbra margini ai monti
smaglia la fibra dura del cielo.
Certe volte l’aria si riempie di mare
memoria antica della roccia
che dal ghiaccio affiora e si delinea,
la sua virtù di pietra.
I segni del parto sul mio addome
sono una rete per pesci vivi
dilata respiro contrae vuoto.
Guardo la mia coniglia
(domani la porto a sterilizzare)
lei avrà una cicatrice verticale
non partorirà niente dal suo male.
Margine è un buon luogo per sostare
emanazione, casa di minoranze.
La sera mi stringe al fianco opposto
dove la montagna arresta il suo profilo
e sbalza la frangia di quel cielo.
La sera delle dolomiti è un guanto
di lontananze
sedimenta l’anima costringendola al suolo
oscillazione parallela d’esistenza
non compenetra il respiro, ti conserva fragile
immaturo:
una coralità di sguardi scissi
ossidati troppo esposti
dolore che non ha solidità del pianto.





         Fabio Nardi: "Monti Pallidi per Lettere Stregate Engadinesi" - olio su carta -






LETTERE STREGATE ENGADINESI



Il vento nel roseto affligge il giorno : avverte l’insistenza d’una leva d’inverno - qui odo il giardino sotterraneo del mio ventre assicurare fioriture a primavera  – così precarie in aprile, a queste latitudini!, sospira Fantasio.
La congeda nel seme del testo: Illusio scrittura come aratura, funesto giardiniere non conosce quantità d’acqua necessaria acciocché letteratura sbocci e non marcisca
(pagine e pagine andate perdute lungo il solco aperto in terra dalla sua depravazione)

In Engadina emergono miraggi dal sottosuolo: scioglie la cantilena nuovo boccio d’amore : dietro Illusio si fiancheggiano raggi rampicanti di sole, a chiarire ogni abbellimento per la sua stesura : complica l’assetto della lettera puntura menzoniera e scaltra – quel tal Illusio si ciondola a margine della grafia, consunta dal fil di bava fuoriuscita dalla busta sigillata per sola andata

Mi par di ricordare, ci eravamo addormentati dietro un paravento di campanule nel tuo giardino a Guarda – m’insegnavi o t’insegnavo a impollinare il modo indicativo dentro pose scritte per germogliar versi – irrompe in sogno battibecco tra due stami gelosi del tuo seno, bella Fantasio dipinta nella bocca d’Illusio come lasciva poesia

Dentro il quadro della casa fingiamo la nostra prigione fuori stagione – sorridi – e di là dal muro, violette attirano la nostra evasione. Veniamo interpretati dalla carta da parati, me ne accorgo, legati e sciolti in bivacchi montani, arroventati al minimo contatto (la tua pelle scalda più della carbonella, riesco a dire risucchiando Fantasio dentro fantasie poco gentili) arrediamo le stanze in cui ci soggioghiamo a turno, nel verde notturno della tua dimora fanciulla : mi piace possederti dove fosti ingenuamente pura

T’aspettavo a Marina di Pisa, strascicando l’alfabeto che hai trovato nella posta in arrivo: è un’ottima zavorra per buttarsi a mare, il peso dei soliloqui nottambuli d’Illusio, letti tra il caffè e la barba, prima dell’alba. Invece m’han raggiunto due scintille d’un falò engadinese, alle prese con le braci della distruzione del mio Fantaglossario – Illusiodiario : le ho portate a passeggio, dandomi gran pena fossero discoste dai bianchi spruzzi; e ancora mi fan compagnia, dalla sera che s’è fulminato il lumicino della solitudine

Dalla tinta vinaccia del suo sguardo, Fantasio  intinge l’intimo abbaglio d’unione: pretende potatura la legnosità in petto a Illusio, il sentimento moltiplica fatica d’intenderti perfetta amante, così da scivolare ancora nel frainteso godimento parnassiano - del movimento della mano - sulla carta : che ti descrive chiocciola dopo il temporale : che lo stecco del bambino infilza con cruda devozione, nel riparo d’erba

Figurati!, sopra il davanzale Illusio avanza tamburellando pioggerella di mare :  bacia labbra salmastre ammorbidite dal troppo trasognare “Dov’eri sparita piccina mia?” : lingua come un’onda agguanta Fantasio, nel mentre che appare irriguardosa del lieve torpore in cui snocciola nidi di sensualità : mischio al soffio grigioperla del vento quanto sussurri dietro le spalle : “Mio giocoso domatore” : e mi consegni all’avvizzimento posandomi sulla nuvola più alta

Lo stecco immerso nel rivolo vortica vivi riflessi d’Illusio e Fantasio bambini : scivola loro il patto d’amore verso la foce : calde lacrime Fantasio riversa, e Illusio le cinge i fianchi con mani d’estate : tutto arroventa : il patto è un seme proverbiale, cantilena la sua provenienza di porto in porto, in attesa d’un orto ove poter gemmare

L’ago del ricordo si fa più acuto sotto la nuca : e mentre esfoli il ritorno in mille congetture, non t’accorgi della coda che si dimena nella tua rete vacanziera : arrotoli in bocca la mia pena, come un chewin-gum ne strofini e modelli gli esiti zampettanti di zucchero e saliva : torno alla spiaggia arrangiando un pezzo sulla tua abbronzatura : con tutti i facili clichès della bionda straniera

A me pareva già che la cornetta dentro cui scivolavi fosse la tana in cui nasconderti fino al mio arrivo : Illusio caccia fuori un naso da tartufi e lappa, spavento dopo spavento, Fantasio rannicchiata dentro il solco di una conversazione : che poteva diventare tenue come risolino sulla pelle velluto d’una pesca : ma prima che ci riesca – pensa Fantasio – farò ramificare la voce in solida corteccia, la eleverò e guarderò i miei piedini perla gingillarsi sopra il suo vuoto

Lo scontro a fuoco tra i tuoi seni fluttuanti e la mia compostezza intergalattica ha prodotto universi in espansione : ho dato il tuo nome ad ogni frammento di stella supernova e meteorite recalcitrante alla mia attrazione primordiale. Oh Fantasio-planetario che sbuccio la sera nei pensieri-baccello della buona notte senza appello! Frutto per la volta celeste del palato, occhieggi loquace da distanze siderali, e non mi placo senza il tuo gioco su di me

Traslucida assonanza come di lucidalabbra che stemperi e ti rende  infantile : e conti gli anni che s’assentano al novero di fragili intermittenze : mentre pre-ci-pi-to-sa-men-te assali l’imbarcadero su cui galleggia la pubertà acquatica nascosta tra candidi giunchi, in attesa del nocchiero selvatico Illusio : che porterà sui polsi farfalle e mimerà il tuo sorriso e si corrugherà in ogni tua doglia e si distenderà nella tua notturna persuasione : disarmi il disarmatore, esibendo tra le piume del suo collo indomito la Nottola di Minerva

Quale visione introduce lo zufolo di terracotta, suonato dietro la trina dei capelli di Fantasio? : unico approvvigionamento per carovane affamate, nell’insonnia d’un quadrupede amore, disloca desideri di là dell’altrove : dove tu sei cerbiatta ciarliera di cera e Illusio orso accorto acciocché non avvenga lo scioglimento nell’accoppiamento : Esegue il richiamo chiudendo le note in cerchi concentrici che raggiungono una sponda e l’altra del lago di Massaciuccoli









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