domenica 28 febbraio 2010

Eroma di Vecchiano: Sul ricamo indiano scrissi ti amo


   
                                  
                                                                       
Sono capitato in India negli anni Ottanta. Stando al mio sogno su Dayanti. Se scrivessi, per darmi un tono maledetto, che a Calcutta giunsi da bravo nichilista contro ogni sistema politico, direi una bugia, anche se a Vecchiano il Barone di Münchausen sembra un dilettante; né vi presi alloggio in cerca di droghe assortite. Da vecchianese, dopo la lettura nel 1984 di Antonio Tabucchi, illustre mio paesano e del suo “Notturno Indiano”, presi l’aereo e mi paracadutai tra mucche sacre, treni scassati, pagode scheggiate, pipistrelli appesi ai rami simili a sacchetti della spazzatura! Ogni letterarietà la persi, però, nei bordelli. Dove trascorsi fisso la vacanza indiana. Conservo un ritrattino ricamato sulle papille gustative. Allora scrissi su di lei, Dayanti, con altra penna, oggi lo faccio su pagine elettroniche.
                                                                               

                               Sul ricamo indiano scrissi ti amo
                                               (Tatuaggio sensuale per Dayanti)


Amoroso delirio nel vento – a Vecchiano sol provato – in india per Dayanti contento – questo piacer s’è realizzato -

Mi ficco nel ricamo come cardellino – salto sulle poppe mimose – perverso bambino – scelgo le umide rose –
Dayanti negli esclamativi momenti – mi tiene lingua e denti – tutto me stesso va su e giù – morbidezza godo sempre più –

Ciglia sopra gota bella – levità d’amor grande – ognor in me si spande – l’indiana favella –

Dayanti dono soffuso dei monti – dove bagnasti il pube nel fiume – rendi i sensi pronti – in me senza costume –
Parlando occidentale e screziato – con Dayanti amato sole – anche luna di lato – son ammirato girasole –

Ricerco in Dayanti la sensuale via – mi bacia e succhia ogni poesia – chiedo s’è questa la porta – della saggezza ch’ogni tristezza rende morta –

Dayanti mi tiene tra il mortale e il divino – ogni gioco inventa un altro pianeta – di fantasia che ruota novella lieta – in amor scaglio faville come un camino –

Dayanti ama carezzando piccole cose – mi prosciuga il cervello – pelle diventa limpido ruscello – che scorre sull’inibizioni sassose –

Sto sopra Dayanti come melodioso uccello – non cerco altri nidi né altre pose – voglio le sue selve silenziose – e cantar il ripetuto stornello –

Del mio godimento sono l’architetto – all’estero in totale combustione – ne ricavo l’esperta conclusione – che senza Dayanti son poveretto –

Rondinella indiana ricamata sincera – non mostrarti dal nichilismo annichilita – di questo vecchianese che scordò la vita –

Il piacere d’amore in te impera – godiamoci questa vacanza infinita – il tempo estivo a viverla invita – non importa se a Vecchiano è bufera –

Dayanti mi volgi leccando al bene – ogni carezza rende immune dall’ospedale - della Colpa occidentale – che nel ritorno portera le solite pene –

                                                            Eroma di Vecchiano


  

Catherine Pozzi: "Arrivo pura tra i puri...". Traduzioni della domenica 1 - di Claudio Di Scalzo detto Accio






(LO SCAFFALE DI TELLUSFOGLIO) - Poetessa nata nel 1882 in una famiglia parigina aristocratica. Ha scritto il 'Journal de jeunesse', con critica di Claire Paulhan poi 'Peau d'ame' (Pelle d'anima) e 'Très haut amour - Poèmes et autres textes', (Ora in Poésie, Gallimard, 2002). Da quest'ultimo libro traduco il primo testo dai poemi orfici. Claudio Di Scalzo detto Accio


                        Je viens, pure d'entre les purs, reine des Profondeurs,
                        O Hadès, Eubouleus, o tous les dieux!
                        J'affirme que je suis, comme vous, de la race sacrée:
                        Mais la Moire m'a terrassée, et la foudre lancée du ciel.

                        Je m'envole du cycle pesant et terrible,
                        J'arrive de mes pieds légers à la couronne d'étoiles
                        désirée,
                        Je me plonge dans ton sein, Notre Dame,
                        Reine des Profondeurs!
                        Fortunée, o Heureuse! Ici qui fut homme, est dieu.

                        Catherine Pozzi


                       Arrivo, pura tra i puri, regina delle Profondità,
                       Oh, Ade, Eubouleus, oh, tutti gli dei!
                       Affermo di essere, come voi, della sacra razza:
                       Ma la Moira mi ha abbattuto, e il fulmine lanciata dal cielo.

                       Volo via dal ciclo pesante e terribile,
                       arrivo con i miei passi leggeri alla corona stellata
                       desiderata,
                       m'immergo nel tuo seno, Nostra Signora,
                       Regina delle Profondità!
                       Fortunata, oh, Felice! Qui chi è stato uomo, è dio.

                        Traduzione di Claudio Di Scalzo per Tellusfoglio

                     


venerdì 26 febbraio 2010

Led Zeppelin: “Night Flight”. Se il Pazzo chiama. Carta delle distanze 1 - Claudio Di Scalzo detto Accio e Margherita Stein








Claudio Di Scalzo detto Accio

SE IL PAZZO CHIAMA

LED ZEPPELIN "NIGHT FLIGHT"

CARTA DELLE DISTANZE 1

(con la partecipazione di Margherita Stein e Antonia Milk)




NIGHT FLIGHT



Nel 1975 esce Physical Graffiti dei Led Zeppelin. L’album contiene “Night Flight”. Nel “Quaderno delle distanze” parto da una canzone del complesso inglese che si legò a Paolo Fatticcioni detto "Il Pazzo" e che ancora lo è nella distanza-vicinanza che mi consegna questo “Living in my past” .
 
1975: DA: Milano a Nodica”- Macchia di Migliarino Pisano
2010: DA: San Cassiano Valchiavenna a Vecchiano Via Indipendenza 9.  Album “Physical Graffiti".
  
Ero a Milano per un convegno di Lotta Continua. Primi di luglio. Ricevetti in mattinata una telefonata del Pazzo: “Vieni via che ho un regalo per te e stanotte si va all’avventura”. La compagna della "commissione elezioni" era perplessa su questa partenza, le sembrava poco consona con i doveri di un militante e dirigente proletario. Me lo fece intendere nel suo milanese stretto. Era il tempo delle scelte istituzionali di Lotta Continua e di altri impegni internazionalisti. Però il Pazzo era mio fratello. Amico fraterno. Non potevo mancare. Feci tutta una tirata da Milano a Nodica.


Arrivo alla sua casa, nemmeno il tempo di andare da Antonia Milk. Ah, sei arrivato, quanto ci hai messo! La tua Mini va se gli tiri il collo! Mammina la vedrai quando si torna. Casomai ti faccio salutà la mia. Si somigliano tutte. Antonia la vedrai domani. Tanto non te la rubano. Forza prendi la doppietta io uso il sovrapposto. Stanotte si va a caccia. Se è chiusa? Certo! E poi lì dove ti porto è chiusa sempre. Ma noi siamo come Butch Cassidy e Sundance Kid. Dobbiamo aver paura di quattro guardie del Salviati secondo te? In difesa della sacra proprietà terriera? Cosa si caccia? Lo scoprirai quando s’arriva sul posto. Il regalo?! Ah già, toh prendi, me l'ha recuperato, originale!, una ragazza inglese, quella stangona del Carillon!, è l’ultimo degli Zeppelin. In anteprima assoluta. So che ti garbano. Io preferisco i Deep Purple! (Claudio Di Scalzo detto Accio)




da L'OLANDESE VOLANTE

le Dieci Amate di Accio





Giorni addietro, dopo che mi ha scritto la figlia del Pazzo, Natascia Fatticcioni, perché gli raccontassi qualcosa di suo padre prima che nascesse, mi è venuta in mente questa storia del 1975, una delle tante chiamate “urgenti” tra noi due, chiamata che ci faceva lasciare tutto: ragazze, impegni familiari, studio e barberia.

Allora ho chiamato Margherita Stein. Sono Accio. Ho bisogno di una cortesia. Lo so che da tanto non mi faccio vivo. Inutile parlarne. Ascoltami. Vai a Vecchiano dalla Nada. Entra in salotto. E dove ci sono gli album rock prendi Physical Graffiti. Dovresti tradurre la canzone Night Flight, e spedirmela per e-mail. Se è per una donna non lo fai? E’ per una ragazza di 23 anni. Natascia Fatticcioni la figlia del Pazzo. Te lo ricordi vero?! Impossibile scordarlo. Voglio rammentare il su’ babbo con un aneddoto e una canzone mitica. Su di un Blog appena inventato. Non ne sai nulla del Blog? L’ho figliato da una settimana. Poi non sei la mia biografa! Va bene, scusa la ruvidezza. Ci sarà presto anche il Magazine, lo chiamo L'OLANDESE VOLANTE, di cui t'ho accennato. Mi accontenti? Brava. Non farmi aspettare un mese! Quando c’è stata l’alluvione a Nodica hanno cercato in tanti Paolo sulla mia e-mail. La traduzione come viene viene. Come dici che potrei chiamare la serie? Living in my past. Centrato. Una specie di “Carta delle distanze” aggiungo. Vivo anche nel passato, grazie del suggerimento. Qualche vantaggio in questo ce l’hai anche tu! Non riattaccare Margherita! Ehi.











                                                            NIGHT FLIGHT
                                                           (Jonas-Page-Plant)
   
                                    Il messaggio che ricevo è di mio fratello oltremare
                                    Si è seduto sorridendo mentre mi scriveva che la fine è a vista d’occhio
                                    A questo punto ho detto addio a tutti i miei amici
                                    E ho riposto le speranze dentro una scatola di fiammiferi
                                    Perché so che arrivato è il tempo di volare.
     
                                    Incontrami, dai, al mattino, incontrami nel mezzo della notte
                                    La mattiniera luce sta nascendo, come non farti venire la voglia di partire
                                    E di sentirti meglio?

                                   Oh, Donna, ritengo veramente che sia ora che vada via
                                   Non c’è più niente qui che mi trattiene
                                   Donna è davvero il momento della mia partenza
                                   Stanno bussando alla porta
                                   Suggeriscono di affidarmi a loro per la partenza
                                   Per cortesia signor Frenatore perché non suona la campanella?
                                   E la suoni forte e scandita. Per favore signor Pompiere,
                                   Perché non suona la sua campanella?
                                   Informi la gente che anche loro devono volar via da qui.

                              (Traduzione, al volo, di Margherita Stein per Accio e il Pazzo)








martedì 23 febbraio 2010

Buck Eden: La gerarchia feudal-poetica: Poeta-Poetallo-Poetore-Poetino

   
Il richiamo alla gerarchia feudale di Sovrano-Vassallo-Valvassore-Valvassino mi sembra adatto per presentare una scheggia di facile sociologia sulle dinamiche poetiche nostrane. Nell’epoca del sottoproletariato poetico (una specie di plebe che ingloba letterati e intellettuali proletarizzati e servi della gleba cartacea che accettano di essere proprietà di un’idea-castellana modellata sulle loro vite), assistiamo sul Web al dilagare di Poetalli che nominano Poetori che a loro volta nominano Poetini con premi, recensioni, prefazioni, gestioni di collane, segnalazioni. A volte i Poetini fanno prefazioni a Poetalli che si sentono di raccogliere la loro opera completa.

Nessuno si accorge di queste opere complete né delle prefazioni dei poetini. Ma chi scrive e cura tali “opere poetiche complete” pensa di essere Contini che scrive su Montale. E la neurologia più che la poesia è interessata a questa patetico servaggio feudale. Oltre che la casuale rima. IA-IA-OH
Il Poetallo regna avendo ricevuto dal Sovrano-Poeta investitura certificata da premi ricevuti, lettere, vendita di parti nobili del corpo per uso sessuale,... senonché il Poeta-Sovrano spesso è un morto o più morti insigni sommati nel simulacro di poesia del Novecento... il Poeta-Sovrano è tenuto in vita con convegni, edizioni commentate, anche film o sceneggiati televisivi, università celebranti, vedove piangenti, amanti di vario genere, agenzie di viaggio con visita a tombe monumentali... (Milano è un centro di Sovrani-Poeti-Defunti notevolissimo)... Al Poetallo il compito di amministrare un territorio cartaceo ed editoriale in estinzione-contrazione.

Il Web ha scompaginato i confini amministrativi di antichi domini, e moltiplicato le gerarchie così come il sottoproletariato letterario in versione gleba. Molti blog e siti sono stati costruiti sulla gerarchia feudal-letteraria. E così vanno avanti. Amministrando una massa enorme di poeti oscillanti tra la pubblicazione su carta e quella su pagine telematiche. Questo sottoproletariato a volte chiede una comunità dove vengano cassati i privilegi altre volte li riproduce appena messo su un blog proprio o un sito letterario. Questa massa sa anche essere feroce, ingrata, assassina contro i Poetalli i Poetori i Poetini. I quali ad ogni sommossa (spaventatissimi) alzano alti spalti e merlature e da lì dettano condizioni spietate per l’accesso alla Poesia: Vuoi una recensione? Vuoi pubblicare dall’editore dove faccio il critico? Vuoi essere segnalato su rivista? 

INGINOCCHIATI, CHINA IL CAPO, BACIA IL GUANTO CHE SCRIVE PER TE.

  

  
Ma cosa può portare un uomo e una donna, agitati dalla poesia, che scrivono poesia, a bramare una prefazione da un Poetallo o da un Poetore o da un Poetino? A spintonare per  poterlo presentare in un piano bar o in  librerie di periferia o nei grandi magazzini delle metropoli tra un manuale per i bicipiti e un altro per la caccia alle farfalle ?

Quale disperato bisogno di protezione e riconoscimento può spingere una persona sana di mente e con i neuroni poetici in visibil’io a vivere per essere riconosciuti poeti da vuoti simulacri che dei poeti di un tempo, eroico? fatuo?, terribile?, hanno soltanto il prurito, la scabbia, la vanagloria, la supponenza?

L’occasione di una comunità, di un soviet, di un’assemblea di poeti liberi viene sacrificata in nome di un riconoscimento che vale come l’oro dei baracconi elevati dai giostrai nelle feste di paese!
Intanto milioni di voci si diffondono sul web che affidano alla poesia confessioni, diari, versi, entusiasmi, lacerti di biografie e trovarne l’esistenza tra qualche decennio sarà come trovare la vita sui pianeti dell’universo in espansione!
Chi certificherà vita poetica in queste scritture?
La prefazione del Poetallo? la benedizione su di un blog del Poetore? L'occhiolino di un poetino?
Il sigillo del poeta sovrano morto da cento anni?
Il premio vinto in una città italiana dedicato a un poeta morto più di un fossile di dinosauro?
Tutto questo affannarsi ha qualcosa di terribile e di tremendamente comico.
Bisognerebbe uscire tra la folla dei poeti da gerarchia feudal-letteraria e sparare a caso come suggeriva Breton di fare con i borghesi parigini a passeggio.

Che fare della poesia on line? Cosa può fare Tellusfoglio-blog per la Poesia on line?

Intanto A) invitare alla comunità libertaria senza feudatari a sigillare-imporre l’accesso al mestiere di poeta. B) Autopromuovere i poeti ad editori senza il beneplacito dei Poetalli. Gli editori di poesia subiscono anche loro una sorta di castrazione dai Poetalli e Poeti-sovrani perché sembra che senza la loro casta a gestire premi letterari ed occasioni di pubblicità i libri di poesia siano destinati al macero. Cosa non affatto vera! Lo dimostrano i Poetry Slam gestiti da editori. E non dai poeti feudatari. Quest'ultimi in genere danneggiano i libri per rivalità tra castelli e contrapposte bandiere poetiche contribuendo alla peste della disaffezione verso la poesia. E alla rovina degli incauti editori che a loro si affidano. C) Pubblicare i poeti e diffondere coscienza di appartenenza alla poesia non da servi della gleba ma da LIBERI. L’aria del Web può rendere liberi, l’aria nel blog TELLUSFOGLIO già lo è!

                                                                      Buck Eden







 

Buck Eden: La saggezza della pista sul Web



Buck Eden personaggio ideato da Claudio Di Scalzo
nel 2005 sul giornale Telematico Glocale Tellusfolio
 


Vi voglio donare il flebile vanto della mia lezione. Sul web che abitiamo. Del resto è una giornata alpina con striature di sole che mitigano il gelo sui monili che sparsi ho sulla scrivania: di ritorno da Parigi. Dai lucori turistici di Montmartre e altre apparenze scorte in quadri che come rampicanti mi tediano nel ritorno. Il Web, cari adoratori orfani della carta che carriera non vi ha dato abbastanza! né nome in classifiche d’ogni genere, né piacere all’altezza dei vostri sessi ragionevoli, il Web dicevo è un po’ come la frontiera, almeno a me piace immaginarlo così, e la frontiera, che ne so, il Klondike di London, lì, mi pare, niente è di nessuno, lì vale solo “la saggezza della pista”; la situazione è elementare e nell’elementare molte sono le possibilità e molti i rischi. Lì quelli come me sono astuti come la bestia che uccidono senza tanti problemi e testardi nello sgusciare nell’informe di ciò che cade dal cielo dell’insignificanza d’ogni evento. Anche familiare, anche letterario, anche politico, anche etico. Non so se mi spiego. Qui il mio essere incalzato dai venti contrari mischia come una spremuta, di nervi e sangue, la cialtroneria e l’aristocrazia in bella rima; ho anche fifa perché il miscuglio assomiglia a qualcosa di innominabile. Forse il baffuto Nietzsche mi comprenderebbe. Tengo echi del suo pensiero nella bisaccia con la frasetta hegeliana che il concetto puro deve conferire alla filosofia l’idea della libertà assoluta. Croste comprese cari signorini che tenete siti per leccarvi fra voi a margine delle plaquette di turno. La creatività assoluta è parlare senza coperture, non derivante da altro, non fondato in altro, che cresce e si sviluppa da se stesso, an-archico, che poi significa anche selvatico. Nel buttare via ogni cosa. Non salvare neppure lo spazio, geografia della via, della pista che hai attraversato. In nervosa allegria, sputo dilagante sopra il vetro dell’impronte digitali di una qualsiasi firma.
Scalza che sia.

Intendete? Nelle vostre postazioni riscaldate e foderate di “classici”?
Ah che disdetta ambire alla comunità degli aurei linguaggi, aprire un cottage sul web, e poi mostrarsi letterati nella midolla, professori del distinguo, perché diploma feudale e gerarchia vi diedero! e un maestro da sé nominatosi vi fece inginocchiare. In qualche premio. In qualche prefazione. In qualche conciliabolo per mesti scambi. Comunisti, socialdemocratici, cattolici, impegnati a lenire le sofferenze del genere umano, ne fate macchia fiorita nelle vostre biografie. Bollini premio. Santità posticce. Io spurgo - in me - ogni segno di umanità da voi antropologicamente manualizzata. Sulla pista. Il piano è corrugato. Il socialismo realizzato delle idee e delle scritture è una poltiglia, spesso infame, come lo fu nel reale di tanti paesi con i partiti comunisti al potere. Di questo paesaggio non m’importa. La mia intelligenza animale non è affatto collettiva, bensì individuale, meglio: singolare. Se mi seguite vi sperdo, se mi cercate vi sbudello, se mi copiate vi avvelenate. Intanto questo bolo lascio da dove sono passato. Con le cartoline di Parigi e il fumo ritrovato della merda di mucca sotto casa.
Oltre il biancore della pista attraversata c’è il nulla l’abbandono l’unione a qualcosa che non so. A questa creatività inconoscibile che mi modella, perché scelta brada feci, affido l’intero mio destino… la doppiezza del nome il quartetto della vista.

                                                Buck Eden

lunedì 22 febbraio 2010

Jacques Brel: Seul, Solo. Traduzioni del lunedì 1 - Accio per Sara Esserino








                                                                     
                                                                                   


                                                           ACCIO PER SARA ESSERINO

                                                              22 febbraio 2010


                                                              JACQUES BREL
                                                              SEUL


                                                             On est deux mon amour
                                                             Et l'amour chante et rit
                                                             Mais à la mort du jour
                                                             Dans les draps de l'ennui
                                                             On se retrouve seul

                                                             On est dix à défendre
                                                             Les vivants par des morts
                                                             Mais cloué par leurs cendres
                                                             Au poteau du remords
                                                             On se retrouve seul

                                                             On est cent qui dansons
                                                             Au bal des bons copains
                                                             Mais au dernier lampion
                                                             Mais au premier chagrin
                                                             On se retrouve seul

                                                             On est mille contre mille
                                                             A se croire les plus forts
                                                             Mais à l'heure imbécile
                                                             Où ça fait deux mille morts
                                                             On se retrouve seul

                                                             On est million à rire
                                                             Du million qui est en face
                                                             Mais deux millions de rires
                                                             N'empêchent que dans la glace
                                                             On se retrouve seul

                                                             On est mille à s'asseoir
                                                             Au sommet de la fortune
                                                             Mais dans la peur de voir
                                                             Tout fondre sous la lune
                                                             On se retrouve seul

                                                             On est cent que la gloire
                                                             Invite sans raison
                                                             Mais quand meurt le hasard
                                                             Quand finit la chanson
                                                             On se retrouve seul

                                                             On est dix à coucher
                                                             Dans le lit de la puissance
                                                             Mais devant ces armées
                                                             Qui s'enterrent en silence
                                                             On se retrouve seul

                                                             On est deux à vieillir
                                                             Contre le temps qui cogne
                                                             Mais lorsqu'on voit venir
                                                             En riant la charogne
                                                             On se retrouve seul.
                                                             (1959)







                                                                        

                                                             SOLO

                                                             Siamo in due amore mio
                                                             E l’amore canta e ride
                                                             Ma nella morte del giorno
                                                             Nelle lenzuola della noia
                                                             Ci si ritrova soli

                                                             Siamo in dieci a difendere
                                                             I vivi dai morti
                                                             Ma inchiodato dalle loro ceneri
                                                             Al palo del rimorso
                                                             Ci si ritrova soli

                                                             Siamo in cento che danziamo
                                                             Al ballo dei buoni amici
                                                             Ma all’ultimo lampione
                                                             Ma al primo dispiacere
                                                             Ci si ritrova soli

                                                             Siamo mille contro mille
                                                             A crederci i più forti
                                                             Ma all’ora imbecille
                                                             Dove si contano due mila morti
                                                             Ci si ritrova soli

                                                             Siamo un milione a ridere
                                                             Del milione di fronte
                                                             Ma due milioni di risa
                                                             Non impediscono che allo specchio
                                                             Ci si ritrovi soli

                                                             Siamo in mille a sederci
                                                             Sulla cima della fortuna
                                                             Ma nella paura di vedere
                                                             Sciogliere tutto sotto la luna
                                                             Ci si ritrova soli

                                                             Siamo in cento che la gloria
                                                             Invita senza ragione
                                                             Ma quando muore il caso
                                                             Quando finisce la canzone
                                                             Ci si ritrova soli

                                                              Siamo in dieci a dormire
                                                              Nel letto della forza
                                                              Ma davanti a questi eserciti
                                                              Che s’interrano nel silenzio
                                                              Ci si ritrova soli

                                                              Siamo in due a invecchiare
                                                              Contro il tempo che batte
                                                              Ma quando vediamo arrivare
                                                              La carogna ridendo
                                                              Ci si ritrova soli.

                                                              Traduzione di Claudio Di Scalzo








Claudio Scalzo: Lapide dell’ufficiale posticcio - 3

    




                                     






Claudio Di Scalzo

LAPIDE DELL'UFFICIALE POSTICCIO




                                        L’indomito soldato si nominò delle parole generale
                                        Volle combattere per la Verità una battaglia epocale
                                        Peccato che di quei segni non sapesse il senso
                                        E soffrì così tanto dicendosi ora ci penso
                                        Che tutta l’energia da lui se ne venne
                                        E da sempliciotto ci lasciò le penne

                      
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