Giovanni Boine dopo aver scritto "A tagliare gli ormeggi"
e averne evocato l'eco negli ultimi giorni di vita.
(cds, maggio 2017)
Giovanni Boine
A TAGLIARE GLI ORMEGGI
(1917)
A tagliare gli ormeggi il vento via ti soffia. Però non si
sa dove.
E sia per dove sia! il vento mi strappi via, della disperazione.
Però a scrutarmi nell’oscurità, che gemere, che smarrimento!
Però a cercarmi nella mia pietà stringo le mani in contorcimento non so che Iddio scongiuri per esaudimento nella improvvisa ingenuità.
Non v’è luce nell’opacità! Limai le sbarre di questa prigione: verso la liberazione l’anima ruppe con voracità. Ma porto fu il nulla.
Ormai non ho più nulla da via buttare son nudo fino all’anima non sono che un’anima tutto son fatto di tristezze amare e di sgomento. Senza meta e per disperazione reggo contro me in ribellione ma il nulla fa spavento.
Signore questo rotto corpo, non mi porta ormai non mi conforta pei chiari occhi la sanità del mondo. Qui giaccio qui lento mi disfaccio gemebondo. Oltre al corpo cercai Signore, ansioso le tue porte; sprofondo ora spento nel disfacimento della morte.
Non c’era vero nella verità!
Squamai le fedi ad una ad una con tenacità in cerca della mia, scavai la via pesta della consuetudine. Giunsi all’amaritudine bieca di questa solitudine. E sosta mi fu il nulla oh amici! A tagliare gli ormeggi il vento via ci soffia. Però non si sa dove.
E sia per dove sia! il vento mi strappi via, della disperazione.
Però a scrutarmi nell’oscurità, che gemere, che smarrimento!
Però a cercarmi nella mia pietà stringo le mani in contorcimento non so che Iddio scongiuri per esaudimento nella improvvisa ingenuità.
Non v’è luce nell’opacità! Limai le sbarre di questa prigione: verso la liberazione l’anima ruppe con voracità. Ma porto fu il nulla.
Ormai non ho più nulla da via buttare son nudo fino all’anima non sono che un’anima tutto son fatto di tristezze amare e di sgomento. Senza meta e per disperazione reggo contro me in ribellione ma il nulla fa spavento.
Signore questo rotto corpo, non mi porta ormai non mi conforta pei chiari occhi la sanità del mondo. Qui giaccio qui lento mi disfaccio gemebondo. Oltre al corpo cercai Signore, ansioso le tue porte; sprofondo ora spento nel disfacimento della morte.
Non c’era vero nella verità!
Squamai le fedi ad una ad una con tenacità in cerca della mia, scavai la via pesta della consuetudine. Giunsi all’amaritudine bieca di questa solitudine. E sosta mi fu il nulla oh amici! A tagliare gli ormeggi il vento via ci soffia. Però non si sa dove.
Con nocche di sangue in cima alla scalea scuoto in angoscia
la porta di bronzo: sono un perduto nell’eternità.
M’abbranco naufrago alla disperazione; tutto son teso nell’invocazione; – di qui qui qui all’eternità! -
M’abbranco naufrago alla disperazione; tutto son teso nell’invocazione; – di qui qui qui all’eternità! -
Claudio Di Scalzo
A TAGLIARE GLI ORMEGGI È
UNA PREGHIERA
dal Non-Libro Transmoderno "Giovanni Boine Muore"
Giovanni Boine scrisse “A
tagliare gli ormeggi" nell’ultimo tempo della sua malattia mortale. A me
non interessano le preziose note filologiche su come e quando Mario Novaro li
abbia pubblicati. Mi preme invece ricordare, in prossimità del centenario il 16
maggio, quando Boine muore a trenta anni, che questa è una preghiera. E che
attiene al Sacro.
Ho accostato, di recente, a
Lucca, a fine aprile, a questa preghiera di Boine, una di Gemma Galgani
agonizzante e un lacerto di Kierkegaard sull’esistenza autentica nell’abbassamento,
nell’umiliazione del corpo ammalato, che porta alla vera conoscenza,
ricavandone sintonie impressionanti: “Perché il giudizio della conoscenza abbia
il suo valore ci si deve buttare allo sbaraglio nella vita, fuori, sul mare, e
far echeggiare il proprio grido, per vedere se Dio non lo voglia ascoltare; non
stare sulla riva del mare e guardare gli altri lottare combattere –
soltanto allora la conoscenza diventa giudizialmente nota e in verità sono due
cose completamente distinte lo stare su un piede solo e dimostrare l’esistenza
di Dio e il ringraziarlo in ginocchio”.
Giovanni Boine è il SINGOLO nella
disperazione della malattia mortale: sta sul piede solo, ultimo, della sua
residua capacità e voglia di scrivere come poeta, un testo, da rivolgere a Dio:
richiesta d'aiuto consolazione cura; e poi in ginocchio, senza più nessun
orpello da letterato s'affida al Cristo all’umiliato dalla Croce dal Male. Sta
nella sua stessa solitudine. Ricordiamolo. Del Crocifisso. Nessuno e nessuna lo
cura da quando ha tagliato gli ormeggi. È solo. Accanto ai fogli con l'ancora sollevata
per il mare aperto della scelta finale... c’è anche un telegramma.
“So che vivi un momento durissimo nel tuo presente ma di ciò non mi voglio più occupare per tutti i motivi che ti scrissi e che furono causa della nostra separazione - Stop - Sono sollevata a sapere che la signora Sandra viene una volta a settimana a trovarti per sapere come stai a confortarti conversando un poco con te - Stop”.
Boine lo guarda, quel telegramma così impietoso, e prova una pena talmente infinita che lo fa quasi soffocare. Poi eleva un Padre Nostro. Anche per chi vergò tali parole ultime. D'insensibile distacco. Verso la sua camera di dolore.
“So che vivi un momento durissimo nel tuo presente ma di ciò non mi voglio più occupare per tutti i motivi che ti scrissi e che furono causa della nostra separazione - Stop - Sono sollevata a sapere che la signora Sandra viene una volta a settimana a trovarti per sapere come stai a confortarti conversando un poco con te - Stop”.
Boine lo guarda, quel telegramma così impietoso, e prova una pena talmente infinita che lo fa quasi soffocare. Poi eleva un Padre Nostro. Anche per chi vergò tali parole ultime. D'insensibile distacco. Verso la sua camera di dolore.
Quindi “A Tagliare gli ormeggi”,
lo inserisco in "Giovanni Boine muore" per il 6 maggio, come
fondamento, testimonianza, frammento, del racconto cristiano sugli ultimi
giorni dell'autore di Porto Maurizio.
"A tagliare gli
ormeggi" non è roba per costruirci sopra teorie letterarie. Chi lo fa o lo
farà nel centenario somiglia, secondo me, a chi si cala negli ossari per
raccattare teschi e scapole a caso tanto per ricostruire uno scheletro su cui
studiare a Medicina. Lascino perdere quanto attiene al Boine malato, alla sua
ultima produzione scritta che neppure volle sistemare. Si dedichino casomai ai
soliti ritornelli sul frammento vociano sulle estetiche che i letterati
elevarono nel novecento e che ora sono polvere. Sono sempre esistiti ed
esistono anche oggi in rete e su carta stampata chi costruisce statue con la
polvere tenendola insieme con la saliva della propria vanità.
Agli angoli della camera e casa
dove Boine agonizza non si può pisciare, come i cani, per lasciare
segnale per attirare altri cani dediti all’ermeneutica sui morti più o
meno celebri dai quali ricavare vite poeticamente ispirate. E propellente per pubblicazioni.
Quando anni fa, primavera, marzo 2011,
andai ad Imperia sulla Tomba di Giovanni Boine, e mi giunse la luce del
poeta attraverso il cipresso accosto al marmo dove riposa colui che tagliò gli
ormeggi soliti del letterato, mi ripromisi di difendere l'uomo, il fratello,
nel Sacro che muore col suo vestito migliore. La fede nell'umiliato
Cristo. E questo faccio nel maggio 2017.
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