"È deciso si muore,
borbotta Boine,
col vestito migliore"
CDS
China e acrilico su carta
maggio 2017
Giovanni Boine
I CESPUGLI È BIZZARRO
– I cespugli è bizzarro come crescono di nero a l’ora bigia
degli ottobri! Il mare tetro fiotta nel crepuscolo come una fantasima… Allora
nel cavo degli scogli gorgoglia a riva un pauroso ventriloquio di silenzio.
– Va con piedi di feltro e voci di secreto la frotta dei
tornanti: tutta d’ombra. Escono dai cavi, quatte l’ombre: i sogni delle cose,
piano, fumano e pigliano statura. Allora finalmente stano l’anima di dentro, e
“guardare” è tollerabile.
– Apro gli occhi di macerazione a questo mattino-di-sera, a
questo mattino notturno, che finalmente il mondo disgela e tutto si popola
d’anima: è muto e cieco, ma d’indecifrabili mitologie.
– Strisciano dal gorgo del lucido buiore ecco i
pesantidraghi, goccianti come coccodrilli, dove il ponte è capovolto.
– Torme pronte di mistero subito al limite dei boschi fanno
ressa, fan marezzo come i mostri dietro i vetri dei marini acquari.
– Dico fiat: l’aria viscida si manipola di febbre, ma con
che? è con fughe, con spaurite d’ali. Verso dove? È con echi di spettrali
lontananze.
– Si sformano le forme dell’opacità, i lieviti s’esaltano
degl’impossibili; e per esempio! quel dorso idillico della consuetudine oh oh
come getta i getti enormi dell’apocalittica verzura! salgono a prova per
zampilli sovrapposti, salgono, s’incurvano con zitti scrosci. Eruttamenti sono
di vulcanico fogliame nero, eufrati di radure come lave verdi che dilagano.
– Ed ora, dentro dentro, ora dentro, il denso è
impenetrabile! Nessuno mai saprà (nessuno!) che mostro vi si celi né in che
antro. Il fiato di caverna, respiro muto, esala; farà d’intorno un abbandono
secolare. Il volo cauto degli uccelli passerà lontano ratto, come dall’albero
tropicale dei veleni: – lo starnazzo triangolare degli spettrali gru, le frecce
nere-stridule delle fughe dei rondoni, come il sonnifero ronzio delle mille api
quando a cerca fanno l’estate elementare. Che deserto, e che deserto! Non si
vedrà un vivente, né un insetto per trecento miglia di disperazione! la terra
intorno vi sarà gelida e sassosa. Ma ritta la babele verzicante con le danze
delle liane medusine, le cascate delle cupe edere e i pitoni attorcigliati
degli immani tronchi per le altezze, lo sperduto leone con fulva posa di pavido
stupore, con occhi di sgomento, un attimo voltandosi fino ai cieli la vedrà,
fino ai cieli dell’immobile diamante, mareggiare buia, senza scroscio senza
vento, senza fruscio nell’estatica aspettanza, sotterraneo celando il freddo di
un incomprensibile segreto.
– Tutto il mondo si disgela in addobbo primigenio: piano,
lente si disgroppan le potenze dell’oscurità. Allora l’anima svolazza pel suo
caos con volo ambiguo di stregoneria, come il ribrezzo flaccido dei
vipistrelli. Libidinosamente, allora l’anima diguazza i nenufari dei pantani
favolosi, ittiosauro senza morte di prima d’ogni tempo. – Fuori d’ogni tempo
“guardare” è tollerabile un più fedele specchio di questa oltreumana cecità.
– Però, però, lenti, non basta per le sere andare? Subito le
chiuse della valle son sprofondi gonfi di tenebrore. Come si sfa nei biechi
fiumi l’insostenibile solennità!
– A l’ora fonda delle confessioni questi passanti radi sono
larve. Dove dove sono le baldanze delle luci? La valle di delizie, come furtiva
geme nell’opacità! Come come sottovoce geme a l’ora fonda della verità!
– Quanto alla via e dov’è la via? è un biancore appena,
oramai non porta a nulla. Di qua o di là? Ormai la meta è il nulla.
– Sono i paesi di fosforescenza, non hanno solidità. Ma
dentro all’acqua quel fanale verde che si spande, giù dilaga fino a me, fa una
scia di sogno per le fluidità.- E questa mi sia la via nell’ora fonda della
verità.
CDS: "Terra del giardino di Boine morente - I"
(terra, e fiori di maggio strofinati su carta- cm 23 x 35)
Claudio Di Scalzo
CESPUGLI IN BOCCA PAROLE CIECHE IN GOLA
L’otto maggio 1917 traballa in mezzo alla stanza nella
notte. Non sta in piedi. S’accuccia s’inginocchia si rattrappisce sul
pavimento. I dolori lo devastano come ramo secco-sfrondato. A fatica raggiunge
la finestra. Si alza. Pertica piegata sul vetro. Guarda fuori. I cespugli del
giardino i fiori di cui non ricorda il nome. Le parole gli sfuggono come semola
in imbuto-gorgo.
Decide di uscire fuori. Sembra una bestia ferita che si
trascina. Ripensa un luogo di Porto Maurizio dove c’è una pergola di glicine.
Ne sente il profumo stordente eppure dal mare gli viene odore di lezzo e
di carcasse di pesce marcio. Si china sul terriccio. Lo prende tra le mani. Lo
sbriciola. Potessi passarlo sui manoscritti-linfa a vuoto che ho in casa! Fino
a cancellare ogni grafia! Un tempo scrissi sui cespugli sulla
bizzarria che portano a chi li guarda. Boine non ricorda a chi spedì il
manoscritto.
Se sulle carte passassi strizzandoli nei colori negli umori
nei gambi nei petali questi fiori senza nome per me allora terriccio vivo e
fiori morti sarebbero il perfetto esito di una oltreumana cecita, la mia
cecità di adesso, di ieri, la mia perdita di tutto. Poi ha uno svenimento. Si
riprende. Sulle labbra umide-incise di saliva di sangue, precipitate sopra un
mucchio di terriccio smosso, s’incollano brandelli di radici strappate.
Buttandosi sul letto vestito e impolverato Boine s’addormenterà-scosse
col volto cespuglioso. Imbrattato.
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