mercoledì 29 novembre 2017

Karoline Knabberchen: L'Impiccato sul ponte di Kafka. Racconto trascritto da Claudio Di Scalzo dal Diario di KK, 1983



CDS: "L'impiccato sul Ponte di Kafka", 1983





Karoline Knabberchen

L'IMPICCATO SUL PONTE DI KAFKA

(racconto trascritto su file dal Diario di KK, 1983)

Sono un uomo la cui sorte è misera quanto il suo passato, se un passato l’ho mai avuto. Dacché mi ricordi infatti, vivo penzolando dalla giacca di costui, che è un ponte. Non conservo ricordo del prima: se fossi altrove, con lui e senza di lui, o se altro destino avessi se non dondolare , come impiccato, dalle falde del suo soprabito. Tant’è, vivo qui, oscillando con le gambe sopra il baratro, sbattuto dal vento che sferza costantemente questa gola, e s’alza a balzi, scotendomi come una banderuola. Potrei anche essere scambiato per quei pesci pagliaccio che abitano gli abissi all’interno di anemoni, e che in simbiosi con essi ondeggiano secondo come li spinge la corrente; non fosse che me ne sto appeso guardando il fondo anziché la superficie, e che su di me agisca tutta la pesantezza della gravità.

Non mi è dato sapere se l’uomo ponte sia al corrente della mia esistenza, poiché a causa del continuo svolazzamento degli abiti, riesco ad intravvedere appena un accenno di volto: talmente poco, che non potrei descrivere com’è fatto, né saprei riconoscerlo per strada, qualora mi capitasse d’incrociarlo.

Da questa ingrata posizione conservo altresì un’ottima visuale sui luoghi intorno. So bene che l’uomo ponte vive la condizione opposta alla mia: egli è ben saldo, con piedi e denti ficcati a fondo nel terreno. Ma non tutte le giornate sono uguali: capita ch’egli s’angosci e gema (sì, a volte lo sento piangere e disperarsi: è il vento a portar fin qui i suoi lamenti), poiché ignora tutto quanto gli è attorno. S’accorge del mutare delle stagioni e delle condizioni atmosferiche grazie agli altri sensi, perché la vista gli è preclusa: odora i forti profumi di resina e fiori a primavera, il gelo dell’inverno lo attraversa, cospargendo il suo corpo d’un soffice manto di neve.

Capitò un giorno un fatto straordinario: un viandante giunse fin qui. Sbucò come dal nulla, rimanendo per ore sul margine del bosco. Lo vidi avvicinarsi, certo animato da non buone intenzioni: lo osservai brandire per aria il suo bastone dalla punta di ferro, agitarlo sopra le nostre teste come una spada. Avrei voluto avvertire l’uomo ponte, metterlo sul chi va là: e tentai infatti (benché sapessi in cuor mio dell’inutilità del gesto), gridando con quanto fiato avessi in corpo, e spingendomi come su di un’altalena, sperando infine egli mi notasse. Fu tutto inutile, anche perché mi trovavo sempre naturalmente sottovento: era dunque improbabile che la mia voce lo raggiungesse in qualche modo, catturandone l’attenzione. Rischiai oltretutto di cadere, fui sul punto di mollare la presa e lasciarmi andare di sotto, stremato dallo sforzo dei movimenti e dallo sgolarmi senza risultato.





E avvenne poi quanto avevo paventato. L’uomo ponte, nel tentativo estremo di vedere chi lo stava attraversando, pungolandolo col bastone di ferro, si voltò precipitando entrambi nello stretto dirupo che sovrastavamo. Il balzo fu abbastanza lungo da permettermi di raddrizzarmi e sistemarmi sulla sua pancia: lo strinsi con prepotenza, ficcai gli occhi nei suoi per la prima volta, con sguardo di rimprovero per quel suo agire sconsiderato.

Egli morì dopo poco, col capo rivolto al cielo, senza una sola smorfia che lasciasse trapelare su quel volto un’emozione, un sentimento, fosse di dolore o di gioia per la liberazione.


Ora io, riverso a terra, con i piedi che lambiscono l’acqua ghiaccia del torrente che per tutto quel tempo avevo osservato dall’alto, non so che fare. Non esiste alcun sentiero, alcun appiglio, per cui sperare una risalita.





domenica 26 novembre 2017

Claudio Di Scalzo: Il Libro Perduto di Karoline Knabberchen - Otto dicembre 2017 con Sara Cardellino


CDS: “Fabio Nardi e Il libro Perduto di Karoline Knabberchen”
Installazione - Ferro, legno, carta, cera - 1987
Visita nel marzo 2014 col gallerista Roberto Peccolo
autore delle fotografie




Karoline Knabberchen in questa lettera rivela tutto il suo amore
per Fabio Nardi e la sua indomita opposizione 

ad ogni carriera letteraria borghese.
Anche questa lettera sta nel Libro Perduto. 

Io e Fabio Nardi siamo stati onorati ad esserne i destinatari.
E in questi decenni sempre sono stato fedele alla sua scelta.
Neppure se mi avessero offerto la direzione del New Yok Times
o la pubblicazione di opere da Gallimard o da Adelphi avrei abbandonato
la cura del LIBRO PERDUTO di chi ho amato e amo.
Tradendone il messaggio e l'insegnamento.
Che è etico e politico libertario.






Claudio Di Scalzo
IL LIBRO PERDUTO DI KAROLINE KNABBERCHEN
(aperto l’Otto dicembre 2017 con Sara Cardellino)



1

Il “Libro perduto di Karoline Knabberchen” è un’installazione in Ferro-Legno-Cera che realizzai sulla parete di una chiesa sconsacrata in Lucchesia nel 1987- e non intendo rivelare dov’è, se uno ci capita la vede sennò no, se la vede qui non è la stessa cosa - come autore e come personaggio Fabio Nardi. L’opera non è stata mai firmata. Come altre che ho disseminato, in quegli anni e dopo, in luoghi che sceglievo o mi sceglievano. Anche in pittura o affresco o scrittura spray. Qui a volte torno, sarò qui anche l’Otto dicembre 2017, per il mio compleanno, a toccare questo LIBRO dove sto nella “piega” a me adatta con Karoline (1959-1984). E che alcune vicende di quest’anno hanno rinsaldato come catena che non si spezza. Né mai si spezzerà d’amore.

Il Libro Perduto contiene quanto mai sarà letto: perché parte degli scritti della poetessa e filosofa fidanzata di Fabio Nardi fotografo, e dei quali ho custodito l’avventura, sono andati realmente perduti distrutti dalla madre (Gerda Zweifel ) assieme alla quasi totalità delle fotografie di Nard con KK; perché gli inediti da me custoditi a Vecchiano assieme a quelli di CDS/NARDi non saranno pubblicati. Quanto custodito sull’Olandese Volante basta e avanza. Dunque questo “Libro”, trenta anni dopo, è adatto a concludere anche la mia vicenda di autore ancorché atipico in varie estetiche e vicende.

Nel “Libro Perduto” c’è anche l’errore, la colpa, l’equivoco, il male. Non è un libro consolatorio. C’è del sacro. Che scuote. L’autore di questo “libro” e il personaggio Nardi ne sono stati investiti a più riprese. Di quanto attiene a loro cristianamente si sono presi responsabilità dolore strazio. Hanno però impedito che IL LIBRO PERDUTO, LA STORIA DI KAROLINE KNABBERCHEN, la sua presenza in vita e in morte, fosse acquisita o scambiata come esercizio letterario da chi l’avvicinò. Per ricavarne pubblicazioni. Carriera letteraria. In anni lontani come in tempi recenti.

Tutto, ma proprio tutto, il LIBRO PERDUTO TIENE IN SÉ. TUTTO. E qui rimarrà.


L’otto dicembre 2017, giungo in questa pagine di ferro e carta fantasmatica e cera come candela che non si spegne né si consuma, entro un’ultima volta con il nome e cognome d’autore con il nome e cognome di Fabio Nardi nelle vicende qui raccolte. Non ci saranno altre fotografie o disegni. Non sarò solo. Sara Cardellino - la donna che visse e vive due volte nel mio cuore - mi terrà per mano nella religione adatta per incontrare l’altra mano che il 20 agosto 1984 non riuscii ad afferrare per salvarla dal gorgo mortale alle Lofoten.




Fabio Nardi e Claudio Di Scalzo abbracciano il LIBRO PERDUTO
dell'amata Karoline Knabberchen




 
2

IL LIBRO PERDUTO DI KAROLINE KNABBERCHEN racchiude il lusso folle della morte per suicidio. Consunzione anonima nel gorgo del tempo, sacralità, rito. Ci sono forze in questo LIBRO PERDUTO che modellano il dinamismo dei poveri materiali usati. Effrazione al canone della lapide, opera nello scuro della matericità detta vertigine del libro cancellato.
Il rigore dell’impianto coesiste con una sorta di vitalità nel ricordare perdita e morte che si “spericola” nell’ appuntamento altrove, in altra simmetria: si sottrae al tempo letterario o estetico vigente, per indicare un emblema e l’azione della fede nel re-iicontro. Questa è un’opera cristiana.









Vi si delimita il vuoto che si creò il 20 agosto 1984. Attorno le simmetrie esistenziali di Nardi personaggio di me autore e di chi ama Karoline Knabberchen cercandone il centro per amore e bene da proseguire verso la mia persona per come ero per come sono. Però mutato - nelle fondamenta - dalle due donne che mi proteggono mi salvano.

Questa dominante percettiva questa esuberanza nella fede, in quanto non si consuma, elide, resta amore per sempre, si realizza perché Sara Cardellino è tornata per la seconda volta la Domenica delle Palme 2017 nella mia vita di uomo. E può aiutare Nardi nella moltiplicazione e divisione adatti alle vicende terrene e spirituali, di chi la letteratura che generò ritiene sia necessario si nasconda ancor più.

Questa è un’opera che può teatralizzare il corpo e i corpi di chi vi si pongono davanti se fotografati; ecco perché non ci sono fotografie dell’otto dicembre 2017; ma quelle che risalgono a quattro anni fa.




Sara Cardellino l'Otto Dicembre 2017
in visita al Libro Perduto di Karoline Knabberchen
con Claudio Di Scalzo






Il Libro Perduto ha la preziosità e la mancanza di soluzioni propria del labirinto. Bisogna entrarci col filo dell’amore che non si spezza né muta e tenerne i capi assieme Karoline K ed io e Sara Cardellino.

Questo rituale è ostensiorale, rima voluta, va oltre le categorie inutili di bello estetico. Questa è l’antica vite del sacro. Del Vangelo. Della Croce. Del sangue. Della rinascita. Della Resurrezione. Non necessita di altro.

La materia povera ferro cemento cera se ancora spalmata producon l’idea di impianto sacro di preghiera di sinfonia e la conchiudono. Svanendo. Se qui tornassimo tra un anno si riproporrebbe quanto ora intuiamo e viviamo. Dentro e fuori questo Libro Perduto. Non so se tra un anno sarò ancora vivo. So che ancora ci sarà Karoline Knabberchen e Sara Cardellino con me. Ovunque sia.
Questa costituzione materiale di ferro e pagina è la fuga da ogni materialità estetica: la polarità di peccato e salvezza realizza la semplicità della preghiera senza necessità di poesia letteratura arti.

L’ombra che avvolse IL LIBRO PERDUTO svanisce nella notte per arrivare alla luce del mattino dopo il 9. L’Immacolata Concezione è avvenuta. Il bambino di sette mesi è nato nella povera casa di una sarta e di un camionista. Si salverà dalla morte quasi data per certa dal medico. Deve incontrare nella sua giovinezza Karoline Knabberchen non deve morire.

Bambino appena nato che somiglia come disse il padre a un “conigliolo spellato”. Deve diventare alto aitante coi capelli ricci e conoscere la poetessa Svizzera a Pisa in una strada dietro Piazza Cavalieri dove il padre ha un magazzino. D’agraria. Lei cercava quel giorno una gabbietta. Per un canarino. Ora quell’uomo coi capelli grigi nel suo autunno ha accanto chi lo porta all’esperienza della musica e all’incontro con quanto vive e si ripete nell’amore. Nella Fedeltà. Nella temporalità che un tempo fu inerzia spreco peccato. La donna è un Cardellino.






Sara Cardellino in visita notturna al Libro Perduto
di Karoline Knabberchen con Claudio Di Scalzo detto Accio




Le mani si intrecciano.

Oltre la morte e il presente l’esperienza dell’assoluto.



SULL'OLANDESE VOLANTE BARRA ROSSA/CDSKAROLINE K

(Guarda-Engadina 1959 - Lofoten-Norvegia 1984)







giovedì 23 novembre 2017

Karoline Knabberchen: Apologhi per il Serchio e dintorni. Campo della Barra 1982. A Fabio Nardi mio fidanzato



CDS: KK alle Lofoten - 1985 






Karoline Knabberchen

APOLOGHI PER IL SERCHIO E DINTORNI

CAMPO DELLA BARRA - 1982

a Fabio Nardi mio fidanzato



1

Il Serchio scrive per me questa lettera, la carta bagnata come  i polpastrelli che ieri m’accarezzavano, agguanterà la tua nudità intesa dal tatto e consegnata  all’ascolto.

Due sensi si prestano il senso, dentro il verso denso d’acqua che impasta schiuma e inchiostro nella corrente.
Ho gettato i fogli dall’argine dove giocavi bambino, nel punto esatto e agevole  – quando l’acqua era poca –  a saltare dall’altra parte. Spero da qui di raggiungerti.

Il Serchio ha cambiato corso nel VI sec. per ordine del vescovo di Lucca, San Frediano. Da allora lambisce Ripafratta, a ovest del Monte Pisano.
Le parole che ti dedicavo non esistono più, sono schiuma: il bianco ha cancellato il peccato della scrittura; come animale ferito che si lecca, l’onda lambisce il passato prossimo del mio pennino sulla carta.
Anche l’ansa del pube è stata deviata verso la tua tirannia amorosa. Non te n’eri accorto, fino a questa mattina?, quando la grafia ha disertato il tuo sguardo per la sciocca ripicca del carcerato verso il carceriere.


2

Marina di Pisa consegna un campo metafisico. In inverno spreme il sole come limone sulle nostre fronti.
Sei asprigna, dici, e mi raggiunge la tua lingua lì dove i raggi cercano la maturazione.

Questi viali tanto ampi - già piste d’atterraggio per i G50 dalla Regia Aeronautica, durante la Grande Guerra - offrono un corrimano ascendente alla mia fantasia surrealista.

Amo gli intonaci che cadono, pezzando le facciate a Villa Ruchal e Villa Belliure. I drappeggi liberty sono appena rammendi sdruciti dall’alito salmastro: rivelano regole difformi alla mollezza balneare del blasone vacanziero di queste rive.

È tutto in disarmo, anche il tuo sorriso indispettito davanti a certe mie cerimoniose stranezze.


3

Dalla Rocca di San Paolino, Massaciuccoli sembra un’iride stemperata nel torpore pomeridiano che, a marzo, imita la primavera. L’ascesa al colle Vergario è la diramazione del nostro amarci. Dove piega la strada, dolcemente divaga il respiro. Esiste un punto in bilico nel vuoto, in cui nulla somiglia più a ciò che è: non esiste più il budello di Ripafratta con le sue poche case infilzate a terra come lisca di pesce; non esiste Vecchiano, sprofondata nel verde indomabile dell’entroterra lucchese. Qui leggevamo i falchi di Jeffers.

Non ti sembra l’ossigeno ci succhi l’azzurro del suo cielo?


4

Sbuffi di vento t’illuminano i capelli in lampi violacei, dietro cortine di nuvole che accendono e spengono l’orizzonte. Marina di Vecchiano è un’infermità dell’anima. Refoli rigettano in grembo, annerendola, l’indecisione incisa dietro le tue palpebre. “La sabbia sembra grattugia”, ti dico, “come i tuoi Zeppelin”, quest’oggi.

5

L’abitudine ad abitare le pagine dei libri l’ho presa da bambina, durante i lunghi periodi di malattia, in cui le uniche a parlarmi – passando dal buco della serratura come in una clessidra – erano le ore. Qui a Vecchiano ho disvelato il segreto dell’ascolto. Abitiamo stanze e scaffali con la stessa dimestichezza del ragno che pazientemente intessa il suo più prossimo futuro e, contemporaneamente, un bozzolo capace di contenerne il corpo. La pazienza, però, si lega sempre all’attesa della caccia, in quest’angolo della casa; e la scrittura diluita sul bianco della fronte non spegne il desiderio di morire, nonostante tutto, assieme alla parola “FINE”.


6

Dietro: dune e ciuffi d’erba dadaisti, spalle al mare. San Rossore freme nella luce serale.

Qui Friedrich avrebbe dipinto me, Karoline, damascata nell’ora che sfinisce il canto delle cicale. Come rappresenteresti il tuo amore per me? Certo incollando tra loro frammenti discordanti come  labbra imperlate di sabbia, sprofondato nel petto di un col-la-ge scambiato per il mio de-col-té.
Ma tu, sentinella rossa d’avanguardia, non comprendi la necessità di respirare con tutti i sensi l’ultimo esito romantico che quest’aria imprime?
Sarei la tua “Signora alla luce del tramonto”, sotto l’ascella siderale del primo buio, dietro l’orizzonte che piega sopra le nostre spalle; e ti dovrebbe bastare, di me, questo cameo. Invece aneli alla scomposizione, popolano demiurgo d’una nuova estetica d’amore.


7

Da Piazza Garibaldi, svoltata poi via Indipendenza, mi sento a casa… E tu non ci sei.
Sei rimasto al mare dopo il litigio, piantato come uno scoglio (“Senza te la solitudine è perfetta”, hai detto, “con te c’è sempre la necessità di condividerla!”): ma i tuoi genitori han reciso con l’affetto questo virgulto d’indifferenza. Tuo padre ha riconosciuto sul mio viso, arrossato, le tracce del tuo passaggio, lo sfregamento della lingua rasposa con cui delimiti un territorio troppo vasto da esplorare: è la sua semplificazione, ha detto  – in realtà già atto di sottomissione al sentimento che segna e spaventa, come un marchio rovente del pensiero.

Se solo tu sapessi attendere, dietro al bisogno, sarei la devota rappresentazione d’ogni vastità turbata dal tuo sguardo.


8

Cos’ha panificato la notte al nostro abbraccio?
Sei stato attento che tra le mie ossa non ci fosse spazio perché germogliasse il seme? Non vuoi un figlio: perché siamo giovani, dici. Non credo all’anagrafica compiuta o incompiuta dell’amore che lega due destini più stretti che se fossero già un corpo solo.
Cos’è che, mentre cresce, ti diminuisce, fino a spegnere la luce nel buio del mio ventre?

Marina di Vecchiano accoglie tra le dune solo gli accoppiamenti, tralasciando gli esiti più fausti, che sgorgano in sangue e sperma, nella donna e nell’uomo?
Non sono tagliato per la famiglia, hai sussurrato alla mia spalla che tremava. Con questo hai creduto di rasserenare il cielo.


9

A Santa Maria in Castello è dispensato lo sguardo pacifico di Dio. Accanto alla croce sono la pupilla espansa nella preghiera, e ciò che sotto di me si concretizza, la luce subito rivela.

Vedo casa tua - più in là mi indichi Piazza dei Miracoli. Tu non te ne accorgi, ma qui in alto neppure tu sai celarti come quando abitiamo le stesse similitudini. Divento un unico senso, e ne ho sei – sempre uno più di te – con cui giocare.
Stiamo in silenzio per un’ora, ed è come ritrovarsi, quando ce ne andiamo.
Sopra di noi volteggia silenzioso il falco. È sorprendente la sua immobilità. Non te lo indico, e tu non te ne accorgi.



10

Il Campo alla Barra disperde semi, come un’anfora scoperchiata. “È la primavera”, mi sorride tuo padre, e torna al lavoro. Ci vorrebbe mettere gabbie per conigli e galline, ma poi è inutile perché i fascisti glieli verrebbero a rubare – “Per sfregio”, dice, “non per fame. Fosse per fame li lascerei anche fare”. Questa è la sua poetica, Fabio, vera militanza alla Majakovskij. Il comunismo con lui non ha fallito, e questo te lo ricorderai quando lui non ci sarà più, e ancora ti rincorreranno i fascisti, per rubarti tutto ciò che hai vissuto assieme a me.


11

Il cielo illividisce i contorni nella pineta, a Marinella di Sarzana. Diretti a La Spezia ci incagliamo come palloncini tra le sue fronde. La mattina è ancorata intorno a me, mi lavora i fianchi il vento come dentro un tornio. Insomma, il mare d’inverno qui si fionda, lancia frammenti d’immaginario come segni d’abbandono o di rinuncia.
“Qui la nostra guerra è persa!”, ti annuncio (mi chiami “estrosa” e tutto ricevo da te qui come un minuzzolo di salvezza). Mi mette allegria pensare che ci siamo persi prima di arrenderci.


12

Il vetro si intromette tra le nostre febbri. Opacizza e non chiarisce. Infatti tu ci respiri sopra e riscrivi la fine, come si trattasse d’un gioco e non della sostanza che ci estrae.

È trasparente ciò che separa, inesplorato confine del mondo: e si manifesta sempre qui, in queste due stanze, mentre la magnolia fischietta nel vento la sua indifferenza (o solo la mancata partecipazione?) a quanto avviene dentro. È piena di leggende questa casa. Tamburellano tra le mie tempie il tempo esatto d’un distico – tu dici ‘è la pioggia’ che a goccioloni marcia sopra la finestra già da ore - kamikaze del nostro amore - come un accento su ciò che muore.


13

Torna a chiudersi l’Arno tra le nostre dita. Intreccia la Chiesa della Spina il destino con divinità incapaci a proteggerla dall’inondazione. Pisa è tutta in bilico su queste dieci dita: l’intreccio è una diga che benefica si scorda della sua immortalità. Come giocano gli amanti tra una sponda e l’altra!, ogni ponte è la prossima vita in cui si ritroveranno – vergini – dentro un altro piacere.


da "Le età dell'angelo svizzero Karoline Knabberchen" 1982





KK





SULL'OLANDESE VOLANTE BARRA ROSSA CDS/KK






sabato 18 novembre 2017

Claudio Di Scalzo: L'agguato a gennaio. Di padre in figlio con tradimento. Alla tomba di Libertario Nardi. Dal "Canzoniere di Karoline Knabberchen"


Libertario Nardi con il figlio Fabio




Claudio Di Scalzo detto 


L’AGGUATO A GENNAIO. DI PADRE IN FIGLIO CON TRADIMENTO ONTOLOGICO

(
capitolo del feuilleton e melodramma
che attiene al "Canzoniere di Karoline Knabberchen")


Questa la storia nuda e cruda. Babbo. Sono qui a raccontartela in questo gennaio ventoso. Ti ricordi di cosa mi dicesti quando tornai a casa, avevo dieci anni, ferito alla testa dai sassi che mi avevano tirato?; maculato nelle braccia per i colpi di bastone ricevuti nell’agguato da quelli della mia età e anche dai più grandi? Ricordi che capitai in questo agguato con Franceschino che mi aveva convinto che lì c’era un antico elmetto tedesco residuo della seconda guerra mondiale e invece c’erano i suoi nuovi amici con le fionde  e i bastoni? Mi difesi ma erano in tanti e fu uno scempio!

Giunto  a casa mi vedesti dal camion. Stavi caricando balle di grano. Tua madre così non deve vederti! Mi sorreggesti. In casa, assente Elvira, era andata a  consegnare la gonna cucita per il matrimonio di una cliente, mi lavasti il viso, mi desti l’acqua ossigenata in testa, dicesti che non c’era necessità di punti, mi mettesti la pomata sulle braccia e le spalle dove le macchie erano diventate da rosse  nere. Mi facesti respirare forte per capire se i polmoni avevano retto. Mi facesti  stare su di un piede per vedere se avevo ancora l’equilibrio. Lo facevamo anche da partigiani dicesti. Ora come le bestie ferite ci vuole la tana! Il silenzio. Sopportare il dolore. Scoprire che è meglio essere traditi che tradire. Questo mai! Mai!! Figliolo!!! La prossima volta, fai come facevo io, guarda le mani di chi ti accompagna. Poi gli occhi. Le mani non stanno mai ferme in chi tradisce. Le palpebre battono più forte. Non reggono lo sguardo.

Quella sera venni a trovare quella che sarebbe diventata tua madre. Gilberto mi aveva preparato un nascondiglio. Nella sua stalla. In una botte vota. Accanto alle altre piene.  In caso di pericolo mi sarei nascosto lì. Ma anche per vedere la Nada senza pericolo. Quando arrivai lo vidi inquieto. Le mani non gli stavano ferme. E batteva le palpebre come un telegrafo morse.

Entra nella botte che vado  a chiamare l'Elvira. 
Non mi fidai. Seppi in un attimo che ero tradito. Fuori c’erano i fascisti e i tedeschi. Mi ficcai nel tino e come nei film presi  a rincattucciarmi sul fondo del mosto respirando con una cannuccia trovata. Sentii la smitragliata alla botte dove sarei dovuto stare. Le urla di disappunto alzato il coperchio. Pensarono fossi scappato. I fascisti dissero alla spia, a Gilberto, che ormai era “bruciato”  che doveva seguirli intruppandosi con le brigate nere e le SS. Imprecava il dannato contro me. Tre settimane dopo gli americani giunti a Pontasserchio, nell'agosto del 1944, in uno scontro a fuoco l’avrebbero ucciso. Non ho mai pensato  a cosa gli avrei fatto se lo prendevo. E’ una fortuna non esser stato messo alla prova. Uccidere a sangue freddo non mi è mai riuscito. Solo per difesa.

Guarda le mani e gli occhi la prossima volta figliolo mio. Piccolo Fabio coraggioso. Siamo partigiani noi Nardi. E non possono vincerci. Mi hai rimboccato le coperte. Mi sono addormentato con gli occhi bagnati  e una goccia di sangue mi colava dal naso.

Quel lontano tradimento che subì mio padre, in questo gennaio 2017, ha compiuto il suo circolo con il figlio. Non ho potuto guardare né gli occhi né le mani di chi mi "tradiva". E con me la mia Karoline Knabberchen. È avvenuto usando il web: un sito poetico e culturale. Ancora una volta non ho potuto difendermi. Curami da dove sei, ancora le ferite, babbo!  Compagno mio. Proteggi le mie spalle Karoline. Amata mia.






domenica 12 novembre 2017

Claudio Di Scalzo: "Il Cerchio nell'acqua e la macchia rossa". Sogno rivelatore, omaggio a Edgar Allan Poe. Dalla raccolta "Amori a bassa quota"








Claudio Di Scalzo 

IL CERCHIO NELL'ACQUA E LA MACCHIA ROSSA

(il sogno rivelatore, omaggio a Edgar Allan Poe)

(dalla raccolta di racconti: "Amori a bassa quota")


Sognava e aveva freddo. Gennaio imperversava tra le canne del laghetto o forse era una palude rilucente ghiaccioli. Sulla riva sassi e fanghiglia con brina sciolta sopra nidi disertati dai migratori. Prese un sassolino e lo getto sulla bruna superficie increspata. Disse ad alta voce: “La tua poesia è come un sasso nell’acqua che allarga cerchi e porta linfa, il verbo?, nelle periferie del corpo poetico da cento anni stagnante”.

A quel punto da una delle impronte di piedi scalzi, dove l’acqua batteva la sabbia ricovero di rane, udì la voce irridente che diceva: “L’hai già scritta questa interpretazione per un altro poeta. Enfatica, melensa, recitazione da scolaretta che lecca la cattedra”. 

Lo spavento fu enorme, scappò perdendo l’orientamento, s’addentrò tra gli alberi che pescavano fronde nell’acqua, batté musata in un ramo fino a stordirsi, travolse nidi di averle schiacciando uova e tuorli. Si muoveva come automa con dolori alle gambe. Si svegliò e la finestra s’era aperta sotto una burrasca di vento. La mano che aveva stretto il sasso gettato in acqua lanciava fitte. Si guardò il palmo. Scoprì che su di esso s’era disegnata una macchia bruciante come  rosso tuorlo. Vide la carne viva sotto la pelle scomparsa. 

È rimasta nell’acqua?, si chiese. Provò a reggere la penna per scrivere versi imitanti quelli calcati sulla sua fronte dall’urto nel ramo. Udì dall’impronta del piede sabbioso apparso sulla mattonella della camera ancora la voce scherzosa che diceva: “Anche questo l’hai già fatto! Sei stucchevolmente servile nella mimesi nelle dediche”. 


S’alzò con rabbia  fremente dal letto, prese da sotto il guanciale la lettera che definì calorosa, dove la sua mano il sasso l’acqua i cerchi il verbo, venivano istruiti con una teoria strabiliante, e prese a strofinare l’impronta fino a cancellarla. Il palmo della mano spellato lanciava fitte, sanguinava in alcune parti.  “Queste parole sono fenomenali”, si disse, “meglio di Ava come Lava!, mi guariranno anche la ferita”. Si voltò su di un fianco. E smise di sognare.






giovedì 9 novembre 2017

Claudio Di Scalzo: Varianti sulla Tomba di Boine con me spettro alla presentazione del libro DISCORSI MILITARI Museo Storico del Trentino 9 novembre 2017


"Autoritratto. Sangue per la Tomba di Giovanni Boine nel Maggio 2017"







Claudio Di Scalzo

VARIANTI SULLA TOMBA DI BOINE CON ME SPETTRO ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO “DISCORSI MILITARI” – MUSEO STORICO DEL TRENTINO, 9 NOVEMBRE 2017











“ORA COS’È QUESTO SPETTRO CHE TORNA (L’IERI NELL’OGGI) E QUESTA IMMOBILE TOMBA DEL NOME”


da GIOVANNI BOINE, FRAMMENTI


“Questa IMMOBILE tomba del nome…” propongo varianti per andare avanti sui tempi che non hai vissuto: che ne diresti di “Questa IGNOBILE tomba del nome”? Non ha qualcosa che contiene anche atti peccaminosi, ignobili, cattivi, insensati il nome sopra una tomba? Non va il nome al giudizio di Dio? Non è ignobile affidare per i vivi un nome accostato all’insensata pratica della letteratura? Vedo che annuisci e non mi schernisci. 

Proseguo. Questa INDOCILE tomba del nome, insomma la tomba col nome non sta proprio ferma, nei tempi del web, si frammenta in migliaia di post, ognuno può pregarti o pisciarti addosso: Nome e Tomba sono indocili. Lasciano il guinzaglio della fama letteraria per stare indocilmente e ignobilmente in mano d’altri. Spesso idioti.
Annuisci, vo avanti. Questa IMITABILE tomba del nome, olalà, qui davvero siamo nel massimo poetar… ognuno on line può imitarti e dannarti… ci sono centinaia di Boine in frammento on line anche al tuo centenario ne reciteranno qualcuno! sei contento? Muovi il capo con nausea, ti capisco eccome! Questa immobile tomba del nome FILMABILE. Quanti video si posson girare sulla tua tomba sul tuo nome sulla tua biografia. Incalcolabili tombe. Dove tutti si fan belli con te che mesto niente raggranelli. Non tossire… è così! accade questo!... e poi tu sei guarito da morto. Grazie. Proseguo.

Questa MIMABILE tomba del nome. Quanto mimano parole lucenti in tua imitazione? Quanti ti imitano provando dolore letterario con stomaco pelosamente vario? Quanti si sostituiscono a te con interpretazioni anche le più dannatamente assurde? Sei molto imitato e ancor più dannato sulla terra: nell’oltretomba sei santo puoi fregartene di cosa ti accade nella magra becchina editoria e nei centenari dove raspano tra le tue ossa in sparute celebrazioni dietro targhette per calzare intellettuali ghette. Sei immutabile con la tua tomba. Ovvio sei l’originale e gli altri calchi, in coda, che tentano di renderti simulacro COPIABILE. Son poetelli senza cervelli che bussan alla fama come i turisti agli sportelli coi treni già partiti per posti belli. 

Questa SOMMABILE tomba del nome. Si! si può sommare ad altre tombe. Ma la tua poi le cassa tutte: le altre si crepano s’impolverano perdono la stampa dei nomi sui loro libri e la tua rimane. Perché è UN’IMMOBILE TOMBA INIMITABILE.

Ti garba Giovanni?

Belin!! se mi piace!





“Trasfusione accorata”, 1975. Da “Cardiodramma”
 Performance Galleria Peccolo Livorno.
 Trasfusione accorata l’ho ripetuta nel maggio 2017



Ma non ti vedo mio caro visitatore alla mia tomba. Per forza è novembre sta nevicando. Sul mare. Oggi 9 novembre accade questo. E noi due siamo pallidi come fantasmi letterari e non ci vediamo né ci vedono. Proprio non ci notano per nulla! Oh sì ti passo questo foglio: tossiscici. Fatto? Fatto. Ma perché? Ora te lo spiego. E io ci sanguino dal naso. Sì mi accade dal gennaio di quest’anno. Forse mi preparavo al sangue tuo ultimo di maggio e anch’io sanguino nell’ultima mia fatica letteraria. In ogni caso guarda! nevica e sul bianco che ci nasconde noi bianchi e infreddoliti e fantasmi di qualcosa più grande di noi lasciamo traccia col sangue. Ci passo sopra un dito ci ricavo un cuore. E lo chiamo Cardiodramma del nome sanguinante da qui in poi non andremo avante.
Oh ridi... che bello vederti ridere Giovanni Boine. Che bella questa giornata del 9 novembre! unica nel suo genere nei nomi accostati che non si vedono sbiancati e un po’ li si trova sanguinati.

Addio. Scrittore senza nome.

Addio Giovanni Boine, addio alla tua tomba.



mercoledì 8 novembre 2017

Claudio Di Scalzo: Giovanni Boine è in linea al telefono. Dialogo con la tomba ovvero la vita sdoppiata e deforme.


Nel volume curo i "Dialoghi Militari" e altri scritti semi-inediti






Claudio Di Scalzo

PREFAZIONE COME UNA NUOTATA CHE TRAVERSA IL FIUME IN AGITAZIONE



Questo NON-LIBRO da 1 a 100 (impossibile ricavare un Libro da un Dialogo telefonico avvenuto sopra una tomba, anche se è quella di Boine, tenendo una calla bianca all’orecchio, questo lo capisce anche un bambino) come gli anni dalla morte di Boine nel maggio di cento anni fa, non esisterebbe se non mi avessero escluso dalle presentazioni del Libro con tre voci “Dialoghi Militari e altri scritti” che si terranno, la prima a Trento, al Museo Storico della città. Il 9 novembre ed a quelle seguenti.

Sono un uomo semplice. Anche se m’è capitato di scrivere disegnare fotografare tanto. Tanti Non-Libri. Quindi questo “Giovanni Boine è in linea al telefono - Dialogo con la tomba ovvero la vita sdoppiata e deforme” prende avvio, in tutto e per tutto, salvo l’età, ma se il cuore è bambino è un particolare di poco conto, da quando sul Serchio, col soprannome di Accio, monello considerato terribile, gli altri m'escludevano. Non mi volevano nei loro giochi. Mi prendevano in giro. E se mi avvicinavo dovevo difendermi sempre da tanti. Ero un escluso.

Allora, siccome il Serchio è un fiume in “agitazione” torrentizia, anche d’estate, e ci sono i gorghi, i mulinelli, dove alcuni erano annegati,… io traversavo il fiume agitato a nuoto da una sponda all’altra: da Vecchiano a Metato. Gli altri ragazzi anche più grandi non avevano questo coraggio, non sapevano nuotare come me! E giunto sull’altra riva agitavo il pugno chiuso, senza sapere bene cosa fosse ideologicamente, che vedevo alzare a mio padre e ai compagni anarchici che frequentavano la nostra casa.


Io ero così. E così sono rimasto.




CDS: Giovanni Boine con cravatta che non fa moine - 40 x 50 cm





GIOVANNI BOINE È IN LINEA AL TELEFONO
(DIALOGO CON LA TOMBA  OVVERO LA VITA SDOPPIATA  E DEFORME)


Il 9 novembre 2017, un giovedì per la precisione, sono giunto alla Tomba di Giovanni Boine a Imperia-Porto Maurizio. Ho dialogato con lui al telefono della sua lapide con al culmine la Croce col ceppo spinoso del male da cui si risorge. La cornetta era una bianca calla che mi sono portata all’orecchio, dove sentivo la voce del poeta, dove parlavo il gambo reciso gocciolante umore.



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-Se t’impressiona questa mia comunicazione al telefono - uso il tu confidenziale adatto ad un pisano adatto ai tempi, rimuovo il lei il voi, adatto al virtuale pure on line pur mi sembra - puoi riattaccare.


-Non ci penso nemmeno, Giovanni Boine, son qui per il centenario della tua morte.

-Come scopri al telefono sono ben vivo e pronto ad ascoltarti. Cosa mi racconti? Cosa vuoi sapere da me?

-Ti racconto cento frammenti, e se vuoi, puoi rispondermi ad essi ed io ai tuoi.

-Mi sembra un “dialogo possibile” tra un vivo e un vivo non ancora morto. Con un fiore in mano che parla ad un morto tornato vivo. Insomma la poesia tra strambi genera questo teatro. Potrei chiamarla “La vita deforme”. Claudicante. Sgraziata.

-Sarà il non-libro per il non-centenario a cui non m’invita nessuno.

-T’ho invitato io. Alla mia tomba. Più di così non c’è! Nei convegni negli incontri ai musei nelle biblioteche loro sono morti e io non mi voglio far resuscitare da questi intellettuali poeti universitari. Tutta gente che quand’ero a Porto Maurizio m'hanno dimenticato morente, m'hanno martirizzato con le loro gerarchie e riviste. Sono dei Papini dei Soffici delle Sibille Aleramo in sedicesimo. Persone e libri con poche pagine e parole anche se ne scrivon milioni. Se tu fossi come loro la Calla non sarebbe ora il telefono la cornetta che a te ben s’adatta. M’intendi?
-Certo che t’intendo. Partirei in questa maniera. Con la mia chitarra che trascrive la rapsodia ungherese numero 2 di Liszt.

-Caspita… una schitarrata non me l’aspettavo! Ha qualche legame con la telefonata immagino.

-Ovvio. Questa telefonata sarà una rapsodia. Zingaresca. Io zingaro su e giù i luoghi che abitasti a Porto Maurizio e altrove. Nei generi più diversi. Tu zingaro senza fissa dimora nella tomba dove t’inventi per me il telefono con la calla. Ti garba?

-Mi garba parecchio. M’intendo di musica. Liszt è adatto. A quanto hai nell’orecchio con la mia voce con la tua avanti e indietro. Lo stile degli zigani è stile improvvisato. Lo stesso noi due faremo. Non ha un arrangiamento preciso. Ci arrangiamo sull’elettroniche pagine che chissà poi cosa diventano. So anche come funziona il web mio caro pisano boiniano! Neh! La rapsodia trascritta da Liszt unisce popolare e sublime. Estro e regola compositiva. Frammento e disegno. Con ogni variante orchestrale e scritturale. Neh.

-Maestro questa telefonata sarà unica.

-Come ogni libro che poi non si stampa! Non so se m’intendi?... basta non capitino i sistematori a posteriori com’è successo a me.

-A me non capiterà.

-Fammi ascoltare la tua chitarra e poi inventami altro.



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(CONTINUA)



lunedì 6 novembre 2017

Claudio Di Scalzo - Sara Cardellino: L'ultima storia con morti e pistole. Jesse James e Robert Ford a Vecchiano - Vicende Lucchesi ed ermeneutica western 1 - 2 con Jesse James e Butch Cassidy e Il Pazzo


Sara Cardellino e Accio





Claudio Di Scalzo - Sara Cardellino


 L'ultima storia con morti e pistole. Jesse James e Robert Ford a Vecchiano


 Vicende Lucchesi ed ermeneutica western


 1 - 2  con Jesse James e Butch Cassidy e Il Pazzo



SULL'OLANDESE VOLANTE DEL 2 NOVEMBRE 2017







Sara Cardellino  accoglie tra le braccia 
il suo Jesse James di Vecchiano
dopo che Robert Ford gli ha sparato a tradimento