Giovanni Boine tossisce la sua malattia mortale il 14 maggio 1917
maggio 2017
Claudio Di Scalzo
LO SCANDALO DEL CORPO
SOLITARIO
(NEL MALE NELLA
POESIA)
DI GIOVANNI BOINE
(14 maggio 1917)
Lo scandalo inaggirabile della
vita di Giovanni Boine è che muore solo, il 16 maggio 1917 a Porto Maurizio di
tisi in agonia terribile, rifiutando qualsiasi adempimento letterario,
disinteressandosi di ogni pubblicazione dei suoi scritti, dispersi già in vita
ovunque senza farne libri! (a), negando ogni letteratura (tantomeno il riflesso
ancora più caduco della letterarietà colta decadente) nella sua agonia, per
scegliere, lui lettore di Kierkegaard e di Unamuno e dei mistici medievali, la
morte dell’umiliato nell’abbassamento ( “L’Esercizio del
Cristianesimo”, Kiekeegard) croce-malattia mortale.
Mi lasciano solo come corpo senza
importanza come anima già consegnata al nulla i letterati che conobbi. So che
Giovanni Boine non sta affatto in salute, me lo saluti. Si dicono in scambi di
letterine. Ma a sollevarti la schiena per farti bere un sorso d’acqua a volte
capita il vicino di casa, l’operaio, il brunista, l’erbivendola impietosita. A
sapere che mentre sputo sangue sulla Croce, con dolori incurabili devastato da
incubi e allucinazioni, i letterati della Voce o gli amici di un
tempo in Rinnovamento discutono altamente nei loro consessi se è
necessario tornare a Leopardi per rinnovare la poesia italiana o fin dove
spingersi col Vangelo nella comprensione della povertà economica, mi scuote
alla residua nausea, di più al vomito, verso questi mestieranti delle facezie
teoriche con cui condiscono grandine filosofica scopiazzata oltralpe o in
qualche Walhalla per addivenire a nuove estetiche superanti, o integranti, la
crociana convinti di cambiare le sorti della spiritualità umanistica rimasta
ferma al Rinascimento; mi muove al riso, che posso soltanto immaginarmi! non articolo la mandibola, e il collo è torso legno scheggiato, la glottide pruno!,
verso queste figurine grottesche. Con cui ahimè mi scambiai! Le lettere che
scrissi pure a me danno un ruolo di marionetta letteraria. Possa la malattia
che alla morte mi porta recidere i fili di quel me stesso di allora. E questa
agonia, Cristo mio Signore, Gemma mia dama di protezione, farmi morire distante
da quel mondo lì abitato a sproposito a mia dannazione.
Soltanto chi ha provato
l’infermità, il dolore nella sofferenza incessante, può capire cristianamente
chi soffre. Può stare vicino all’ammalato, reggerne da vicino il capo dare
all’infermo parole di consolazione più alta medicina, avendo vissuto o vivendo
medesimo dolore e sconvolgimento nei muscoli negli organi rotolanti
sull’inutile ceppo del male. Cristianamente questo atto di pietà e amore,
il più alto, gorgoglia Boine tossendo - altro che dichiarazioni di amore
assoluto tra fidanzati e amanti nella terrestre giostra oggi sì-domani no!, dei
sensi e delle spirituali letterarietà amorose insufflate d’enfatismo a
cui pur’io stolto infinitamente stolto peccatore m’affidai - salva chi lo
riceve salva chi lo dà. Porta alla Grazia. Se guarissi, non accadrà!, andrei a
portare la mia poesia atto concreto d’amore ai malati in ogni ospedale e camera
d’ammalati qui a Porto Maurizio!
Una volta incassato, continua
Boine il monologo framezzato a fitte e tosse che pure risente del suo carattere
fino in fondo pugnace e fiero verso il decadimento intellettuale italiano ora a
lui manifesto in tutta la sua volgare superficialità e inutilità,
scriveranno necrologi frettolosi gli amici letterati. Non ho libri al
momento coi quali possano ricavare luce da indossare come da loro prodotta. Non
son poeta di successo e col cadreghino!
Giovanni Boine, due giorni prima
del 16 maggio 1917, non ebbe bisogno di aggiungere altro a quanto scritto anni
prima per uscire dal viluppo di disgusto verso il mondo a cui era appartenuto:
“Pasqua. Confessione. Comunione – Ma s’io dovessi confessare tutta la mia vita
sarebbe peccato. O quasi – In verità pressoché tutto è logico e santo in me.”
Nei sedici giorni di maggio
Giovanni Boine confesserà alle pareti della sua camera la vita sua nel peccato
scoprendone la logica che lo aveva sospinto a traversare la colpa-errore
santificandosi. Il peccato stava nell’essermi affidato alla letteratura, la
santità averne rifiutato le lusinghe capendo come essa abbia travolto ogni
amore che ebbi a vivere. Ogni mia interpretazione della spiritualità e financo
della politica in affari economici. Chiedo perdono nella mia sofferenza a
chi portai del male e non il bene; perdono a chi sofferenza mi diede - travolta
come me stesso in questa bugia della letteratura - sofferenza d’amore mentre ne
davo.
Claudio Di Scalzo
NOTICINA INUTILE MEDICINA
PER IL
CENTENARIO DI GIOVANNI BOINE
(1887-1917)
(a)
lo si ricordi in tempi on line ove libri fioccano come grandine
annunciati per il dimane celebrati quei del passato sottolineati nel presente.
Libri libri libri, presso improbabili editori!, di botto grandinano senza alcun
plauso di lettori a cui gli scrivani dicon son ori non ghiaccio!
Chi si avvicina a Boine nel centenario vivendo vite
letterarie, al cubo, praticando convulsioni imposte dalla gerarchia letteraria
- quanto ne resta, pateticamente, on line e su carta stampata, negli scambi di
recensioni, interpretazioni, encomi, commenti altisonanti - incistate nella
carriera e nel mestiere del letterato o dell’esteta o dell’artista altamente in
vista, non può che lustrare la propria solenne targhetta accanto alla
tomba del poeta che la pensò anonima, senza nome, se non quello che, il Cristo,
gli avrebbe dato.
Nessun commento:
Posta un commento