CDS: "I campi del prete e la chiesa di Sant'Alessandro
a Vecchiano"
1970 - olio su tela 50 x 40
Claudio Di Scalzo
QUANDO UNA METÀ CERCA QUANDO LA RENDE INTERA
(a Sara Cardellino per l'anno che verrà)
“Sei ancora in questo campo di grano, Claudio. Lì ti vedo,
bambino. Già sai che una metà non può che cercare quanto la rende intera. I
tuoi giochi di allora, come tutti quelli nelle arti seguiti, son stati in
funzione di questa ricerca. Ecco perché il quadro è quello più importante che
tu abbia dipinto. Quello dove adesso entro per andare a prenderti. Stare
con te.”
In questo momento, come regalo di Natale e per l’anno nuovo,
un corriere sta andando, da Pisa-Ospedaletto, alla volta di Venezia, parcheggia
il veicolo, sale sul traghetto col dipinto incartato, e presto raggiungerà una
graziosa casa dove suonando il campanello lascerà tra le mani, anche stupite,
di una donna dagli occhi scurissimi: “I campi del prete con la Chiesa di
Sant’Alessandro a Vecchiano”.
Quando entrerò nella sala, in questo fine dicembre, vedrò
sulla parete, appena sopra al pianoforte e alla custodia del flauto traverso,
“il quadro più importante che abbia dipinto”.
Sara Cardellino ha scoperto “i campi del prete”, che tenevo
nella casa alpina, perché l’ho portato nella casa di Vecchiano, in occasione
del nostro incontro a Lucca, alla Fiera del Fumetto. E mi ha rivelato che sono
ancora tra questo grano tra i papaveri rossi accanto al ruscello
dispettoso adatto alla barchette di carta. Con me che cercavo quanto non ho mai
trovato.
Sara Cardellino modella Fauve Oriental
CDS - 14 dicembre 2017 - Acquarello e china su carta
cm 27 x 36
Realizzai “I campi del prete con la chiesa di
sant’Alessandro a Vecchiano” quando avevo diciotto anni. Nel 1970. Di ritorno,
quell’estate, dall’albergo di mio zio Lenino, “La Belle Elisabeth” In
Montparnasse. Con ancora negli occhi la scoperta dei pittori Fauves fatta al Musée National d'Art Moderne, soprattutto Maurice Vlaminck André Derain e Georges
Braque.
Dipinsi i campi dove avevo vissuto splendide avventure,
spesso da solo, perché avevo un soprannome che allontanava gli altri bambini: Accio.
Usai nel preparare la tela sabbia del Serchio e i fili da cucito della sartoria
della Nada, e siccome a un certo punto avevo finito l’olio di lino,
talmente preso dal puntinismo colorato, non andai acquistarne di nuovo a Pisa,
ma usai il petrolio bianco del lume di mia nonna Messinella che stava lì da
quando era arrivata l’elettricità. Motivo per cui ci sono screpolature. E annerimenti.
E visto che c’ero dipinsi anche “Il Campo alla Barra”,
“Il Monte Castello col Santuario” , “Notturno con cagnolino verde” e un’altra
decina di quadri. Anni dopo, il gallerista Roberto Peccolo, venutomi a trovare
a Vecchiano, mi disse che queste tele erano perfettamente post-moderne, cioè
citazione di stili storici delle avanguardie pittoriche, ma con un intento
nuovo, più decorativo, meno ideologico.
“Se fai altri quaranta oli e una ventina di tempere su carta ci facciamo una
bella mostra”. Fu una delle prime richieste di un grande amico per espormi che
rimasero senza risposta da parte mia. E siccome è anche un astuto mercante
sapeva benissimo che una mostra si può fare anche con trenta tele. Il resto da
vendere a mostra chiusa a prezzi più bassi per tenere “caldo” il collezionismo.
Se torno, e presto accadrà, ancora a Vecchiano, ne avremo di tempo per
raccontarci, io pisano lui livornese, la nostra comunione in tanti viaggi e
mostre visitate per mezza Europa. “I quadri vanno visti da vicino, tanti, e
ripensacci da lontano, e ritornacci vicino per capire quanto non avevamo
capito, hai inteso Accio?”. Avevo inteso alla perfezione. Ho seguito il suo
consiglio in tanti anni. Ma per capire cosa c’era nel mio “Campi del prete e la
chiesa di Sant'Alessandro a Vecchiano”… ho avuto bisogno di Sara
Cardellino.
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