mercoledì 11 dicembre 2019

Claudio Scalzo: Legna tagliata con storia di trattori di camion di due monelli come Accio e il Pazzo - Con Butch Cassidy Sundance Kid Etta Place - Dedica a Sara Cardellino mentre ricordo il 9 gennaio 2017











Claudio Di Scalzo detto Accio
(da Facebook "Claudio Accio Di Scalzo 
5 maggio 2018)

LEGNA TAGLIATA CON STORIA 
DI TRATTORI DI CAMION
DI DUE MONELLI COME ACCIO E IL PAZZO

Con Butch Cassidy Sundance Kid Etta Place
Dedica a Sara Cardellino 
mentre ricordo il 9 gennaio 2017 





Accio e Sara Cardellino




A Sara Cardellino. Perché ami il boscaiolo il camionista e non l’artista. Perché sappia di un’amicizia che resta oltre la morte che attrista. Perché si convinca che il mondo sarà migliore quando i poeti da seguire saranno i barbieri e chi non scrisse mai un rigo in bella vista. Io a questi artisti voglio somigliare la loro strada imparare e sotto una lapide così, finalmente in pace, riposare.










Oggi ho spezzato con l’ascia quintali di legna. Da stamani e ne avrò fino a buio. Le mani mi stanno lievitando come pani nonostante i guanti. E sudo come un cavallo da tiro. 

Tra una pausa e l’altra per affilare la lama e bere qualche birra fresca, per carburarmi, ho ripensato a lontane vicende di me con Paolo Fatticcioni detto il Pazzo (1949-2005), col camion il trattore e il bosco che da noi si chiama macchia, pineta. Poi per non essere del tutto realista e sentimentale, monologando, mi sono regalato una teoria biografica dove io e il mio grande amico potessimo stare, anche se io son vivo e lui è morto.

La legna che stavo spezzando viene da 1200 metri d’altezza. Dal bosco. E la casa dove son alpino, in valle, è a 60 metri sul livello del mare. Quella di Vecchiano è a pari del mare. Ma lì non sono alpino bensì pescatore. La legna dicevo non vien giù come le pecore che basta battere le mani e fan da sole. La legna va tagliata nel bosco con la motosega. Alberi. Stando attenti a non farsi spaccà la testa dai rami dai tronchi. Se tra i dirupi ti ferisci, e spesso il cellulare lì non funziona, lì rimani. Inanimato poi come un tronco. E' il mio Klondike la mia lettura di Jack London!
In genere mi consigliano d’andarci in coppia. Ma chi trovo?! Non ho i soldi per pagare un boscaiolo di mestiere. Allora faccio da solo. Poi va accatastata, coperta, legata, perché secchi in parte. E a valle si porta quella dell’anno prima. Uso un trattore che mi prestano col rimorchio. Giunto a casa la spezzo con l’ascia. E bisogna fa' alla svelta perché se piove siamo punto e a capo. Gli sprovveduti pensano che basta coprirla con l’incerato. Ma se piove l’acqua passa dal terreno, impolpa, inumidisce, e addio legna da ardere. Bisogna fare alla svelta. Da mattina a sera. E se non basta accendere i fanali del trattore.

Il trattore… conobbi Il Pazzo nella bonifica vicino al lago di Massaciuccoli-Puccini. Avevo dodici anni, e il mi’ Babbo, giocando a carte, alla Pergola, e perdeva, e aveva il nervoso, mi disse: avviati, al campo, che arrivo presto a caricare il grano. E allora accesi l’OM FIAT 62, diesel, e partii facendo i cinque km necessari. Per me era normale. Però di certo non per la polizia stradale. Ma tanto passavo in strade sterrate. E se l’avessi visti, avrei fermato il camion, chiuso la cabina, e mi sarei dato alla fuga. I contadini mi conoscevano, come Accio il figlio di Lalo, mi avrebbero aiutato con qualche scusa.

Quel giorno lontano parcheggiato il camion mi sdraiai sotto un ciliegio con le ciliegie tutte beccate dagli uccellini. Immangiabili. E allora adocchiai un altro ciliegio e stavo per salici sopra, quando una voce, da un trattore mi disse: cogli le più mature così me ne dai qualcuna. Era Il Pazzo.

Quando scesi gliele portai. Era nelle mie stesse condizioni. Lui guidava il trattore di su pa’. Come io il camion. Aveva quindici anni. Tre più di me.

Io so mandà anche l’automobile, mi disse. E allora facciamo un giro, gli risposi. E lui aggiunse spavaldo: prendiamo la Bianchina del pastore, ci lascia sempre le chiavi nel cruscotto. E ora è in collina. Così facemmo un giro sulle strade polverose che portavano al lago, ai retoni, e in certi piazzali anche alle puttane. Che ci salutarono divertite. Poi tornammo al campo.




Paolo Fatticcioni 
raccontò e ascoltò storie
nella sua barberia
tu che passi e qui sosti
aggiungi una storia al vento
al silenzio di questa stele


Questa è parte della Stele che sta al campo sportivo la Coronella sul Serchio,

tra Vecchiano e Nodica. Stele dedicata, e che fortemente volli, e scrissi,

senza firmarla tanto chi si ferma sa che è di Accio,

a Paolo Fatticcioni detto "Il Pazzo" (1949-2005), 

barbiere e anarchico e Figaro seducente.

Epica popolare che non necessita di miti importati da qualche Parnaso.

L’elegia incisa nel marmo è dedicata a un grande narratore,

a un poeta della recita orale, a un amico indimenticabile.

Anch’io aspiro a qualcosa di simile nel cimitero di Vecchiano

quando sarà la mia ora.

Che lascino chi mi conobbe una storia

perché la raccolga e l’ascolti.





Diventammo amici e lo saremmo stati per una vita. Lui era un escluso, lo chiamavano appunto Il Pazzo. E faceva l’apprendista barbiere. Io ero Accio, e anch’io non godevo di tante simpatie in paese. Lui abitava a Nodica un paesino a 1 km da Vecchiano.

Mesi dopo, con la seicento che si era imprestata da suo zio, il Pazzo mi portò a caccia di frodo, a notte fonda, nella macchia dei conti Salviati. Una macchia che tra pineta lago campi andava da Bocca di Serchio fino a Viareggio. Tutto di una famiglia ricchissima. Che c’era già quando ospitava il D’Annunzio dell’Alcyone.

-E se ci scoprono le guardie dei Salviati?
-Cercheranno di arrestarci. Ma non ci scopriranno. Sono più furbo di loro.
-Ma se accadesse e fossero più furbi di noi, eh Pazzo?
-Allora bisogna fanni ‘apì che siamo più cattivi di loro.
-… e cioè. Che abbiamo il fucile e lo useremo…
- tutto questo per dei fagiani?
-Tutto questo perché loro sono dei servi della proprietà privata e noi prendiamo quanto è anche nostro.
-Sei comunista come ir mi’ babbo.
-Sì. Come mi pa’ anche. Prima della guerra e nei secoli passati i Conti Salviati e le loro guardie se ti prendevano con un fagiano un cinghiale t’impiccavano. O ti bastonavano a sangue! Ti sembra giusto? E lo stesso coi pesci? Ti sembra giusto Accio?
-No no! Stanotte riprendiamo quanto è nostro. E se arrivano saremo più cattivi di loro. Pensi vogliano prendere una fucilata per un fagiano?
-Bravo Accio, io con te mi c’intendo! E ora mettiamoci controvento. E stammi accosto, mai dietro, col fucile cario non si sa mai… accosto!

Questi ricordi mi dicono che per me, la natura, ieri e ancora oggi, è legata all’idea di lavoro. Rispetto e ho simpatia per chi fa trekking, passeggiate, escursioni, navigazioni, nuoto… ma se sto nella Natura è perché, da monello o da uomo oggi con la mia età,... ho in essa un lavoro da fare. Che sia tagliare la legna o pescare orate e branzini a Bocca di Serchio e avere pesce per tutta la settimana.

A caccia di frodo col Pazzo ci sono andato tante volte, era il nostro segreto e la complicità più grande. Abbiamo sempre pensato che fossimo una specie di Butch Cassidy e Sundance Kid. Del resto Daniela Cantelli (1952-2011) ci amò tutti e due, esattamente come Etta Place. Che fossimo a caccia di cinghiali o di folaghe nel lago o a ballare a Viareggio e negli scontri con la Celere stando in Lotta Continua... eravamo sempre insieme. Lui morto non ci sono più stato a caccia di frodo. Né mai vi tornerò. Ho ancora però la patente per guidare i camion. Mi ritengo un camionista dei segni che è stato parecchio nella natura, amori compresi, e poco nella cultura.

Per impilare la legna c’è bisogno d’esperienza. Mischiare in modo giusto castagno quercia faggio betulla robinia ciliegio. Legna per bruciare lenta, altra veloce. Legna più secca e meno. Ci vuole occhio e saggezza. Data dal lavoro. Dalle mani. Anche per pescare è così. Bisogna avere cura della barca, delle reti, dei remi, del motore. Bisogna conoscere i pesci, e le onde, le correnti e annusare il tempo che viene. Il vento. E non per scriverci poesie grevi nel simbolismo coltissimo, bensì per non venir rovesciati in mare con i pesci: loro che tornerebbero  a vivere e i pescatori a moricci.


Il lavoro manuale è il mio comunismo. Buona parte della mia vita l’ho passata a chiacchierare, anche oggi è così, con chi fa lavori manuali. Meccanici, carrozzieri, muratori, fruttivendoli, allevatori di mucche da latte. Conosco i boscaioli, i pastori, chi tiene le ultime stalle a mille metri. Gente spesso della mia età. Nessuno più fa questi lavori. E così, a volte, ho conosciuto storie di contrabbando su e giù il confine con la Svizzera. E contrabbandieri in pensione. E, i ragionamenti loro, non si discostano poi tanto da quelli del Pazzo. Esiste una storia delle classi subalterne che pensarono l’uguaglianza - e che si difesero anche violando la legge del capitale del liberalismo - a cui appartengo. Ed è anche per questo che la mia vicenda di uomo che un tempo si dedicò a scrivere o alle immagini,… è stata tanto diversa. E anche tanto sconfitta.

E mentre penso al Pazzo, so che se lui non fosse morto, mi avrebbe ancora guardato le spalle, consigliato, e gli sarebbe bastato incontrare una sola volta Robert Ford, vedere da vicino chi poi mi avrebbe sparato alle spalle il 9 gennaio 2017, per mettermi sull'avviso: "attento Accio, non fidatti in tutto come tuo solito!, c'è qualcosa in questa persona che non mi 'onvince!"

Perché lui era Butch Cassidy, più intelligente e furbo, e io il veloce Sundance Kid, più creativo e ingenuo. 


Gli sarebbe però, ne sono sicuro, piaciuta Sara Esserino, e anche qui, se fosse stato vivo, nel 2011, mi avrebbe detto: "Accio, una 'osì non la ritrovi più, non perderla, fai di tutto per tenerla con te! Rinuncia pure a ogni scrittura e pittura se lei teme che questo porti catastrofe al vostro legame. Vale cento racconti mille poesie diecimila quadri". E io gli avrei detto retta. 

Sara Esserino, tornata nella mia vita, come Sara Cardellino, la Domenica delle Palme 2017,... "La donna che visse due volte nel cuore dello stesso uomo", mi ha condotto mesi dopo alla tomba di Paolo detto il Pazzo. Solo con lei ne ho avuto la forza. Di accettare che era morto e stava dietro una lapide.
Questa poesia, umanissima, le mani nelle mie, sono state un dono immenso, Che Accio mai scorderà!  


Ora riprendo a tagliare la legna, perché mi sto commuovendo, e mi dico, in questa domenica, sudato a bestia, con l’ascia in mano, che così sono poeta e scrittore nella maniera a me adatta, pensando a due giovani monelli, che guidavano trattore e camion, e che poi, come banditi, stavano a notte fonda nella pineta del grande latifondista a vivere una splendida pericolosa avventura. Che poi qualche bella donna amava sentirsi raccontare. Con qualche piccola variante a seconda dei due narratori: in tutta innocente scemenza protagonisti di una trama senza bisogno di libri a conservarne le gesta. Tanto personaggi lo erano già, e forse lo sono ancora.


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