martedì 10 ottobre 2017

Alessandro Assiri - Claudio Di Scalzo: Sulla buona o cattiva poesia. Con ricordo de L'Olandese Volante Transmoderno.




Immagine dalla bacheca Facebook di Alessandro Assiri. 






Alessandro Assiri – Claudio Di Scalzo

SULLA BUONA O CATTIVA POESIA

(dalla bacheca Facebook di Alessandro Assiri)


(AA)  Io non so niente della buona poesia e non so più nulla dei poeti, perchè non riesco più a starci dietro, perchè per giudicare bisognerebbe perlomeno conoscere. Ma in questa espansione infinita della necessità di parola emergono solo atteggiamenti che si possono in maniera raffazzonata associare a un testo.
Ho sempre pensato che anche se non si era poeti una cazzata scritta bene poteva anche capitare, e allora chiedimi come riconosco un poeta perché della poesia oggi non è rimasto quasi niente.

Il problema del riconoscimento è troppo connesso alla forte pressione di tutto ciò che vuole farsi leggere, al punto che la poesia oggi è solo avvenimento senza conseguenze. Credo ci sia una fortissima responsabilità culturale in quello che ha per decenni permesso il fatto che la spinta dell’antipoetico facesse credere che tutto avrebbe potuto essere poesia. In questa spinta alla negazione, in cui è stato trascinato tutto il mondo dell’arte, si è preteso di trasformare tutto in estasi estetica, incrementando una conseguenza di eccesso di vanità. Come tutte le altre cose, il gusto è diventato un escrescenza, effetto di un proliferare di generi che caratterizzavano l’impoetico e allontanavano il lettore che smarriva per strada gli strumenti di giudizio, se di giudizio è sensato parlare, per orientarsi.

La pancia è rimasta come unico arbitro per stabilire delle affinità: questa è la poesia del maalox, quella costretta a fidarsi del disturbo. La poesia istintiva che si riconosce per educazione sentimentale mi mette tristezza; questa nostalgia empatica che sembra diventato l’unico metro di lettura mi avvilisce.
Come riconosco una buona poesia vuol dire sapere come si riconosce un incontro; e anche se questo vale per tutta la letteratura, il “vieni qui” a cui la poesia ci chiama meriterebbe di essere ascoltato sinesteticamente. Sinestesia come contaminazione dei sensi, unico strumento per una percezione dell’accadimento poesia, perchè questo occorre sempre tener presente : una buona poesia è un accadimento, un incedere del presente.
La poesia dove non si scorge un Dio che nasce mi interessa poco. Nella mia concezione di poesia esiste sempre un volto che irrompe verso l’io; in questa irruenza scorgo anche epidermicamente quella che per me potrebbe diventara buona poesia, perché un testo non è mai buono subito: si forma nel riconoscimento, nella trasformazione di una iconologia del presente. Basterebbe forse cercare di azzerrare la distanza tra il dispositivo e la domanda, invece, spesso, la poesia contemporanea vorrebbe ridurre lo spazio tra il volto e il nome.

Una buona poesia è uno spiazzamento comunicativo, non una forzata risemantizzazione. Credo che sotto certi aspetti la poesia vada istigata a rivelarsi, a darsi nei suoi sapori. E forse è arrivato il tempo di smettere con questa lingua da centrifuga per tornare al punto zero dell’immagine a parlare di scrittura.








(CDS) L’intervento di Alessandro Assiri sullo stato della Poesia oggi on line mi suggerisce questo contributo. Sposto la questione ad un ABC: A) Il “Mestiere della poesia” o il “Mestiere del poeta” B) Chi dà l’accesso o riconosce il Mestiere di poeta e la poesia stessa? C) La poesia e il sovvertimento non solo delle forme ma dello strumento editoriale che pubblica poesia nel più generale mezzo di produzione capitalistico. 


Sul Mestiere di poeta ho care tre indagini-libri-antologia con dichiarazioni dei poeti: Maselli-Cibotto: Antologia popolare di poeti del 900 Vallecchi, (anni cinquanta); “Chi è il poeta di Batisti-Bettarini (1980); “Il mestiere di poeta”di Ferdinando Camon (1982). Di tutte le dichiarazioni ho sempre amato quella di Montale. “Ho la terza media. La poesia è un quid, e se ce l’hai la fai sennò amen”. Più o meno dice così. Ma lui era crudele anche con se stesso sennò non avrebbe inventato le poesie sceme-stronze (idea di Flaubert) per la Annalisa-Cima. Aveva capito che la poesia era destinata alla Betise, anche alla stronzata. 



Ognuno di queste dichiarazioni è superata dall’avvento del web. E ancora più dai social poco più avanti. M anon la dichiarazione di Montale, si badi bene. Il capitalismo schizoide-web ha fatto saltare ogni gerarchia editoriale-critica-accademica che dava l’accesso al “Mestiere di poeta” accogliendolo in una Gerarchia Vassallatica Imperiale. Che fosse Fortini o Pasolini o Porta o Sanguineti o Cucchi. Punto. Storia finita ed è un bene sia finita. Quanto volevano ribaltare le avanguardie sovversive novecentesche lo realizza il capitalismo. Sorta di capita-comunismo dove tutti sono poeti e scrittori e artisti. Ma non come lavoro culturale liberato, quindi non merce, non feticizzato, come auspicava il Marx dei Manoscritti-economico filosofici” o il Situazionismo di Debord, bensì come lavoro-merce poesia-cultura per sostenere la pubblicità nel social della multinazionale. Vincere il Premio Viareggio o il Premio Sagra delle Anguille di Fucecchio è lo stesso. Han bisogno del web-social per farsi notare, nell'affidarsi ad esso scompaiono. Punto.



I social come Facebook o Instagram… hanno spazzato via anche l’utopia in cui ho creduto dal 2000, dal 2000 sono in rete con siti e blog, della creazione di siti e spazi elettronici Cyber-Soviet-Comunità di poeti e artisti che sfruttando la rete creavano zone libere. Fallimento. Anche perché la poesia in rivoluzione vive se c’è la rivoluzione. E l’ultimo episodio è stato il 1977. Personalmente credo nella Poesia come Rivoluzione non solo nei segni ma anche nel sociale. Se un soggetto rifiuta qualsiasi carriera letteraria, tra l'altro impossibile, ha realizzato il suo soviet personale. La sua presa del Palazzo d'Inverno. E' arduo, ma si può fare. 



Personalmente penso che la poesia possa tornare in un’epoca di rivoluzionamento che però non passerà più dall’Europa ma chissà dove. Poesia intrecciata ai generi più vari e altri. Tanto da non essere più poesia come è stata conosciuta: bensì altra forma commista a fumetto teatro musica pittura scienza designer. Un’opera totale adatta al duemila di cui s’intravedono frammenti qua e là. E dove l’autore non c’è più. C’è la Firma anche anonima. Come in opere di Street Art anarchiche. Oppure c’è il Personaggio. Questa prassi io la chiamo transmoderna. Il Transmoderno e sull’Olandese Volante ho cercato, fallendo, di organizzarlo come appunto romanzo in vari linguaggi. Ma a questo tendo. 



Escludo che si possa creare ancora accesso al “Mestiere di Poeta” con nuove gerarchie che propongono il ritorno alla sapienza poetica anche metrica. Qui si creano enfiati poemi mitologici senza capo né coda. Pesanti come mattoni leggeri come merda di piccione. Ci vuole l’enciclopedia Treccani per decifrarne un rigo. C’è già stato Onofri mi sembra. E, in ogni caso, una poesia breve di Penna o di Govoni o di Saba ma anche del poeta recentemente scomparso come Cappello, vale queste metrature farcite di filosofia e letterarietà che appunto non è poesia. Le gerarchie, per mia formazione anarchica, le trovo sempre un po’ fasciste e reazionarie. Ed anche mediocri perché nelle Gerarchie Imperiali di un tempo c’erano i Baldacci i Bo i Contini i Mengaldo come critici con poeti come Montale Caproni Bertolucci Pagliarani Rosselli ecc, ed ora le gerarchie, in siti o blog, sono del tutto sottoproletarie, cultura da lumpenproletariat piccolo borghese frustrata in cerca di rivincite o di un posticino-librino al sole di un click mi piace o nel premino che si dà anche al più cretino. 



Vedo invece con favore embrioni attivi di comunità poetiche amicali che tentano anche un’editoria volta con autori stranieri oppure volta all’estero in lingua inglese. Oppure di poeti che in coppia d’amore e con amici propongono una sorta di nuova predicazione cristiana. E poi c’è sempre l’esempio di Serse Cardellini. Uno smette di far poesia. Pubblica quanto gli interessava. E va in Cina studiare la cucina di quei popoli. Per quanto mi riguarda in estate pesco orate a Bocca di Serchio nella Repubblica di pescatori Kronstadt-Durruti e nelle altre stagioni studio musica e con essa entro nell’estetica anche letteraria e fotografica. I personaggi che inventai vanno poi dove vogliono. Saluti. E, ovviamente, non siete tenuti a leggermi, ogni contributo su Facebook, forse anche altrove in siti di settore, è cenere verso il nulla del tutto che si nomina virtuale per chi ci sta (noi) e concreta realtà per chi il capitale sa amministrà.







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