sabato 13 maggio 2017

Giovanni Boine scandalo del corpo solitario morente. Claudio Di Scalzo per il centenario 16 maggio 2017


Giovanni Boine tossisce la sua  malattia mortale il 14 maggio 1917
maggio 2017




Claudio Di Scalzo

LO SCANDALO DEL CORPO SOLITARIO
(NEL MALE NELLA POESIA)
DI GIOVANNI BOINE

(14 maggio 1917)

Lo scandalo inaggirabile della vita di Giovanni Boine è che muore solo, il 16 maggio 1917 a Porto Maurizio di tisi in agonia terribile,  rifiutando qualsiasi adempimento letterario, disinteressandosi di ogni pubblicazione dei suoi scritti, dispersi già in vita ovunque senza farne libri! (a), negando ogni letteratura (tantomeno il riflesso ancora più caduco della letterarietà colta decadente) nella sua agonia, per scegliere, lui lettore di Kierkegaard e di Unamuno e dei mistici medievali, la morte dell’umiliato nell’abbassamento ( “L’Esercizio del Cristianesimo”, Kiekeegard) croce-malattia mortale.

Mi lasciano solo come corpo senza importanza come anima già consegnata al nulla i letterati che conobbi. So che Giovanni Boine non sta affatto in salute, me lo saluti. Si dicono in scambi di letterine. Ma a sollevarti la schiena per farti bere un sorso d’acqua a volte capita il vicino di casa, l’operaio, il brunista, l’erbivendola impietosita. A sapere che mentre sputo sangue sulla Croce, con dolori incurabili devastato da incubi e allucinazioni, i letterati della Voce o gli amici di un tempo in Rinnovamento discutono altamente nei loro consessi se è necessario tornare a Leopardi per rinnovare la poesia italiana o fin dove spingersi col Vangelo nella comprensione della povertà economica, mi scuote alla residua nausea, di più al vomito, verso questi mestieranti delle facezie teoriche con cui condiscono grandine filosofica scopiazzata oltralpe o in qualche Walhalla per addivenire a nuove estetiche superanti, o integranti, la crociana convinti di cambiare le sorti della spiritualità umanistica rimasta ferma al Rinascimento; mi muove al riso, che posso soltanto immaginarmi! non articolo la mandibola, e il collo è torso legno scheggiato, la glottide pruno!, verso queste figurine grottesche. Con cui ahimè mi scambiai! Le lettere che scrissi pure a me danno un ruolo di marionetta letteraria. Possa la malattia che alla morte mi porta recidere i fili di quel me stesso di allora. E questa agonia, Cristo mio Signore, Gemma mia dama di protezione, farmi morire distante da quel mondo lì abitato a sproposito a mia dannazione.

Soltanto chi ha provato l’infermità, il dolore nella sofferenza incessante, può capire cristianamente chi soffre. Può stare vicino all’ammalato, reggerne da vicino il capo dare all’infermo parole di consolazione più alta medicina, avendo vissuto o vivendo medesimo dolore e sconvolgimento nei muscoli negli organi rotolanti sull’inutile ceppo del male.  Cristianamente questo atto di pietà e amore, il più alto, gorgoglia Boine tossendo - altro che dichiarazioni di amore assoluto tra fidanzati e amanti nella terrestre giostra oggi sì-domani no!, dei sensi e delle spirituali letterarietà amorose insufflate d’enfatismo  a cui pur’io stolto infinitamente stolto peccatore m’affidai -  salva chi lo riceve salva chi lo dà. Porta alla Grazia. Se guarissi, non accadrà!, andrei a portare la mia poesia atto concreto d’amore ai malati in ogni ospedale e camera d’ammalati qui a Porto Maurizio!

Una volta incassato, continua Boine il monologo framezzato a fitte e tosse che pure risente del suo carattere fino in fondo pugnace e fiero verso il decadimento intellettuale italiano ora a lui manifesto in tutta la sua volgare superficialità e inutilità,  scriveranno necrologi frettolosi gli amici letterati. Non ho libri al momento coi quali possano ricavare luce da indossare come da loro prodotta. Non son poeta di successo e col cadreghino!  

Giovanni Boine, due giorni prima del 16 maggio 1917, non ebbe bisogno di aggiungere altro a quanto scritto anni prima per uscire dal viluppo di disgusto verso il mondo a cui era appartenuto: “Pasqua. Confessione. Comunione – Ma s’io dovessi confessare tutta la mia vita sarebbe peccato. O quasi – In verità pressoché tutto è logico e santo in me.”

Nei sedici giorni di maggio Giovanni Boine confesserà alle pareti della sua camera la vita sua nel peccato scoprendone la logica che lo aveva sospinto a traversare la colpa-errore santificandosi. Il peccato stava nell’essermi affidato alla letteratura, la santità averne rifiutato le lusinghe capendo come essa abbia travolto ogni amore che ebbi a vivere. Ogni mia interpretazione della spiritualità e financo della politica in affari economici.  Chiedo perdono nella mia sofferenza a chi portai del male e non il bene; perdono a chi sofferenza mi diede - travolta come me stesso in questa bugia della letteratura - sofferenza d’amore mentre ne davo.








Claudio Di Scalzo

NOTICINA INUTILE MEDICINA 
PER IL CENTENARIO DI GIOVANNI BOINE 
(1887-1917)


(a)
lo si ricordi in tempi on line ove libri fioccano come grandine annunciati per il dimane celebrati quei del passato sottolineati nel presente. Libri libri libri, presso improbabili editori!, di botto grandinano senza alcun plauso di lettori a cui gli scrivani dicon son ori non ghiaccio!


Chi si avvicina a Boine nel centenario vivendo vite letterarie, al cubo, praticando convulsioni imposte dalla gerarchia letteraria - quanto ne resta, pateticamente, on line e su carta stampata, negli scambi di recensioni, interpretazioni, encomi, commenti altisonanti - incistate nella carriera e nel mestiere del letterato o dell’esteta o dell’artista altamente in vista, non può che lustrare la propria solenne targhetta  accanto alla tomba del poeta che la pensò anonima, senza nome, se non quello che, il Cristo, gli avrebbe dato.






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