sabato 28 marzo 2015

Claudio Di Scalzo: la notte in cui muore il pittore Bruno dell'Ava


 Claudio e Bruno, 2004



Claudio Di Scalzo

LA NOTTE IN CUI MUORE IL PITTORE BRUNO DELL'AVA

Stanotte ho pensato alla poesia “Sopra tutto” che Bruno dell’Ava mi donò con un disegno. E volevo pubblicarla in rete. Poi non l’ho fatto. Perché ho pensato che era meglio dirglielo, primo perché gli poteva venire il nervoso ad averlo saputo a cose fatte, secondo perché poteva desiderare un’altra illustrazione. O modificare i versi. Ho tenuto il disegno in mano. E ho ripensato al libro che inventammo assieme e alla sua pittura. Che lui follemente non faceva uscire da Chiavenna. Per altre mostre. Mi sono detto: Domani vado a trovarlo e beviamo un bianchino e fumiamo anche una sigaretta assieme. Ecco, questo non potrò più farlo, stanotte il pittore è morto in ospedale. All’improvviso. E credo che stesse accadendo mentre avevo il  piccolo quadro tra le mani. Per me questo vale come avessi potuto stringergli la manona ormai gialla usa a reggere quaranta sigarette al giorno. Erano le tre o le quattro di notte. A questo sfortunato e disperato amico dedico quanto scrivo. In sua morte. Mentre di nuovo il buio ha invaso la valle e le luci verso Chiavenna sembrano sparsi bottoni sopra un cappotto enorme gettato verso il confine.
Conobbi Bruno dell’Ava perché a fine anni Novanta andavo al Parco Paradiso, dietro la scuola dove insegno, a respirare profumi e a guardare il paesaggio. Si sale fino alle fondamenta di un antico castello. Notai che faceva dei disegni con la bic e che scriveva su foglietti che poi infilava in una specie di chiodo. Fui incuriosito. Capii. Li lessi. “Ce n'ho più d’una scatola”, mi disse, “e me li sono anche ciclostilati per leggermeli meglio” Tutti?, chiesi io. “Una manciata”, rispose lui. “Ma soprattutto disegno e quando chiudo ti posso far vedere come lo faccio”. Così iniziò la nostra amicizia. Abitava in un monolocale. Anche carino. Ma piccolo per la sua mole. Ci si girava appena. “Qui ci sto stretto e faccio quadri piccini. Quando avrò un posto largo farò quadri larghi”. Io, ora, traduco in pisano il suo parlare mezzo italiano e mezzo in dialetto. I suoi scritti erano aforismi e massime e brevi racconti di poche righe con dialoghi fulminanti. Il suo modo di fantasticare sopra un mondo che gli sfuggiva e spesso ostile. E i dipinti erano un diario anche con ossessioni e estreme delicatezze verso l’amore, la donna, la felicità che non aveva. Perché tutti lo conoscevano, tutti ci parlavano brevemente, tutti ci scherzavano amabilmente, in tanti gli compravano un disegnino, gli pagavano un calice,… ma la sua pittura non era stata compresa come appartenente all’Art Brut e a quel modo di esprimersi selvaggio che Dubuffet aveva canonizzato. Nel dopoguerra. Così nacque in me, pisano in Val Chiavenna, l’idea di dedicargli un libro. Per i suoi scritti i suoi disegni. Avevo trovato uno con cui intendermi. C’era del grande talento in quanto annotava, di più la purezza negli occhi stralunati. Parente di tutti i Campana e gli Chaissac che a volte appaiono come angeli goffi a parlare un alfabeto che gli altri poco intendono. Il libro si sarebbe chiamato “L’Alfabeto del Custode”. E dalla voce A come Amicizia alla Z come ZZzzzZzZ degli insonni... avrei raccolto i suoi foglietti. Assieme ai dipinti. Una scelta. La copertina? Semplice! Un suo disegno e il bianco e il rosso del pacchetto Malboro.
La Comunità Montana fu interessata al mio libro e alla mostra, la prima organizzata in uno spazio degno, come l’Ex Convento dei Cappuccini, e finanziò il progetto. A cui lavorai per un annetto. Assieme al mio amico. Questo libro, che ora purtroppo è esaurito, raccoglie l'universo di Bruno Dell’Ava tra la Mera e il confine. Sull’annuario Tellus ho pubblicato la poesia che stanotte mi è tornata alla mente mentre lui moriva. Ci tengo a dire che il nostro scambio non era quello tra l’intellettuale e l’artista folle. Affatto. Vedevamo il mondo con gli stessi occhi. Ed era bellissimo passeggiare a sera tardi, ciondolanti, per Chiavenna, e guardare in alto o la punta dei piedi perché i cani avevano fatto i loro bisogni. Sia sulle stelle che sulla merda inventavamo quella che comunemente si chiama poesia. Senza bisogno di scriverla. Claudio Di Scalzo discalzo@alice.it


PICCOLA ANTOLOGIA PER BRUNO DELL’AVA


Sopra tutto

La luna che mi sembra vera,
gli anni troppo pesanti,
le ragazze che camminano troppo lentamente,
la notte che adesso mi è amica,
le sigarette che mi piacciono troppo,
i pittori,
gli scrittori,
la casa rossa,
la casa rosa,
la neve
la piazza Pestalozzi,
gli amici così così,
la mortadella con la polenta,
la Celestina,
gli psichiatri che camminano da soli
nelle domeniche,
le domeniche con poca gente,
il freddo,
peggio il caldo,
i sacerdoti neri,
le suore,
i baristi,
i ricordi,
i sogni,
le canzoni troppo brevi
perché son troppo belle,
le canzoni stupide,
le montagne che son sempre lì immobili,
il nero Novembre,
il vento che fa frusciare le piante verdi,
la luce dei lampioni,
il bere alla sera quando tutto è finito,
le città italiane,
il nostro trenino,
il mondo di fuori che entra prepotentemente
nelle nostre case attraverso la televisione,
i suicidi,
il riflesso argenteo sui tetti delle case,
la gente sola nei bar,
i vecchi che leggono i giornali,
la solita strada,
le solite abitudini,
la noia,
la risata,
i nostri morti,
la denuncia dei redditi,
i musicisti,
i burocrati,
la primavera,
la donna che quando ero giovane
mi faceva impazzire,
Pratogiano,
l’autunno coi suoi colori incredibili,
gli alcolizzati,
i drogati,
i saluti noiosi,
il tempo che passa troppo in fretta,
andare a far la spesa,
le donne che parlano parlano
e non so cosa abbiano da dirsi:

Sopra tutto questo c’è Dio.



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