giovedì 22 luglio 2021

Karoline Knabberchen: Schelling e la lumaca d'Ardez sulla tomba di Boine. Cura Claudio Di Scalzo nel 35° della morte



Karoline Knabberchen in Val Bregaglia. 1979. Foto Fabio Nardi




Karoline Knabberchen

SCHELLING E LA LUMACA D’ARDEZ 
SULLA TOMBA DI BOINE



Prefazione

Come carezza come difesa di tomba d'acqua

Sara Cardellino ha sfogliato il Quaderno Giallo di Karoline Knabberchen che custodisco nelle soffitte a Vecchiano. 
Con commozione scopro che nel 1983, aveva ventitré anni 

(ci eravamo conosciuti nel 1979 in una traversa di Borgo Stretto a Pisa nell’agraria paterna come rivelo su L’Olandese Volante: 



Karoline Knebberchen a 35 anni dalla morte 1959-1984 


quando sue mani accolsero il libro FRANTUMI di Giovanni Boine edito da Garzanti in ampia filologica raccolta; che avevo studiato in Università grazie a Silvio Guarnieri in edizioni meno curate.

Trascrivo una pagina del Quaderno Giallo con date del 1983. Karoline aveva ventitré anni e scriveva in maniera unica. 

Il destino della Knabberchen (Guarda/Engadina 1959 - Lofoten. Isola di Austvågøy. Norvegia) è stato anche quello, ahimè, dall'Olandese Volante (2011-9 gennaio 2017) di finire in luoghi a lei non adatti on line. 
In altra rivista. 
Predata. 
Contro la mia volontà.
Commentata per ricavarne sbilenca teoria estetica.

Possa questa pubblicazione (nel Trentacinquesimo della morte per suicidio) evidenziare che non deve più accadere e quanto “usato” tolto da chi compie,  a tutti gli effetti, una profanazione.

Essendo titolista nato, ma non capace di scrivere di estetica e filosofia come fa Karoline Knabberchen (che non dimentichiamo nel 1983 ha ventitré anni!), ho apposto i titoli al Trittico, dove appare Giovanni Boine, e in certi passi KK usa la tecnica del poeta ligure col trattino salda/parole come risulta dal Quaderno Giallo.




1


SCHELLING E LA LUMACA D’ARDEZ 

SULLA TOMBA DI BOINE

Neppure m’è estraneo il turbinio d’acqua che màcula il quieto transitare della lumaca sulla pietra d’Ardez casa sfibrata autunnale. Quale estetica m’immagino nel tempo operoso cattivo del temporale che ignora cose e lumaca? Basta il grumo della bava che m’appiccica sotto antenne svettanti paura in me a farsi grazia rigore riflessione?

Schelling con l’estetica riunisce conscio e inconscio come conoscenza assoluta che lega - nodo lo potrò sciogliere volendo? - filo Natura filo Spirito. 

L’acquivento sferza vetri, s’impadronisce delle fessure, smaglia ricordi della felicità, alcun filo estetico a ciò resiste debole come bava di lumaca.
Luce crepita smorta attorcigliata nei soffi che mi bagnano volto.

Che me ne faccio mio caro Schelling dell’identità originaria di natura e spirito ancorché l’agguanti nodo filo bava acqua sciolta sulla pelle? Se scrivessi sulla lumaca travolta su me esposta all’umido ottobre non vi ravviserei alcuna Necessità come suggerisce il tuo Idealismo Trascendentale. Ogni mio atto in scrittura non corrisponde giammai alla volontà realizzatrice che sortisce effetti opposti. Per me l’eterogenesi dei fini, come scoprì Vico, a senso unico mi conduce al contrario.

Appena “prodotto” poesia racconto poemetto il mio io prende reale consistenza mi percepisco in qualcosa diventato oggettivo, cioè oggetto, non mi appartiene più, però invece di condurmi alla Libertà – come tu Schelling auspicavi – mi realizza nella prigione. All’aperto mentre salvo la lumaca dall’annegamento in casa mentre la poso in salvo sul pavimento di pietra domestica. Tutto dura poco più d’un abbaglio filosofico, ancora vige il vortice della tosse in me - ho acquistato in agosto a Lucca sopra una bancarella le poesie di Boine poeta ligure a Davos per curarsi - che squaderna i punti fermi della vita immutabile, dentro e fuori, immutabilmente insicuri.

La poesia che scrivo non è mai libera perché non contiene alcun segno progettuale mio non è mai “necessaria” e dunque non oggettiva.

Il corpo nella tomba subirà lo stesso scacco. L’acqua sul volto che travolge me e la lumaca mi suggerisce che essa contiene il principio di libertà e oggettività, unificatore, di quanto è spirituale di quanto è naturale, così che la forma del vuoto che stamani vivo l’accolgo col pudore dell’inetta filosofa alle prese con la cortesia della menzogna diaristica.




Karoline Knabberchen a Guarda/Engadina 1979
 Foto Fabio Nardi





2

SCHELLING SUL GRETO INN E SERCHIO.
 TRAGICO E ARTE


Nel giorno d’Engadina approdo all’ansa di quiete zampettando, Knabberchen, anche saltellante, sull’Idealismo di Schelling. Se simili impronte le ritroveremo mie, dal greto dell’Inn,  sulle ripe del Serchio a Ripafratta, sarà un bel connubio Spirito Natura. Lo rimarcherò a Fabio Nardi, che fotografi ove poso i piedi in doppia terra l’imperativo del sogno idealista a occhi aperti: ove l’invito.

Il dominio dell’Assoluto va tenuto assieme con l’elastico del “genio”, afferma il filosofo. Onda su onda in qualsiasi stagione la natura a noi umani superiore rende ciò possibile tramite genio in arte. Genio è chi ha fantasia aggiunge De Sanctis, immaginazione chi ha talento. La declinazione realista del nostro italico critico m’aiuta: rende tutto meno elevato rispetto all’idealismo di Schelling. Anche se Natura che per “gratuito favore” attraverso mani e spirito di un uomo o donna dà forma ad arte come non farne privato exemplum incorniciato.

L’Arte siffatta contiene echi del Tragico. Se mai avessi briciolo di genio sulle scapole correrei un bel rischio, stando a Schelling. S’insinua l’irrazionale nel progetto razionale che ha mosso l’autore. L’artista si calca, s’incide, nell’Eroe Tragico del viavai destinale. Non realizza quanto si riprometteva, anche ad arte finita davanti ai suoi occhi, una forza lo sovrasta, la sovrasta - mi sovrasterebbe qualora avessi un coriandolo di genialità fantasia? - conduce al fallace approdo a operare dannandosi, in qualcosa di infinito in vita che sarà finita, perché l’assoluto è infinito e vive di tratti dei tanti artisti. Mi prende neurosi, tossente?, se tale è il debito con l’Idealismo e la Natura da pagare.

L’arte siffatta, genio o stolto, in fantasia o immaginazione, nella contemporaneità dell’aria fredda autunnale impone l’accadimento inatteso, risucchiati da pagina in poesia da tela dai grigi della foto. L’opera ti-tira in mezzo tra quanto volevi e non hai ottenuto e il destinatario che legge guarda-tocca. Uso i trattini come Giovanni Boine! Coscienza e incoscienza in matta nottata nòtula del nonnulla, intenzionalità dell’atto creativo artistico e oscuro seme dell’ispirazione, svaniscono grumo bacca ramo secco, si riprenderà a primavera, che stila, anzi stilla, me stessa volto nella tosse, polmone sobbalzante dialettica tragica di Hybris (presunzione di forza punita dagli dei) di Ate (rovina inganno dissennatezza), di colpa e espiazione; che, ad andar bene, sarà riassorbita in estetica poesia, ad andar male in una modernitas peremnis che m’estingue. Riduce all’impotenza. Al tragico delle misere intenzioni foglia caduta, al massimo sinopia sul terreno, incaglio tra sassi indifferenti. Sull’INN sul Serchio dopo Lucca verso la bocca a mare.







Karoline Knabberchen alle prese con la dialettica di Schelling 

Vecchiano 1979 - Foto Fabio Nardi








3


IL TEMENOS DELL’EROINA TRAGICA KAROLINE KNABBERCHEN STUDIOSA DI SCHELLING


Tragedia ramaglia nel celeste vitale sonda l’intensità col nero opposto cilestre. Quanto sgronda in me dall’albero-cielo: sovra chi amo a rischio d’accalmìa tra poche certezze asperrimo incaglio?

L’eroina tragica, che sono, vive e costeggia in consapevolezza, fino alla sera madida di fronde scure, di segni persi in matte nottate, quanto non posso mutare: ciò secondo Schelling, s’io fossi artista ma pure colei che riflette su quanto è estetica e filosofia in essa, sposo quanto punge, ferisce, ammala, in forma destinale, con riflessa creazione-gesta quanto consapevolmente cercavo accetto. 

Nella “consapevolezza” il dramma: conflitto che esibisco racchiudo qui scrivendone: pensando a Fabio Nardi mio compagno e amato che mi leggerà.

Arte parola scritta sono di per sé artificio - nel petto sgorga dell’eroina tragica cosa diventa in questi anni ottanta del novecento? - verità che giunga fino all’uso della bugia dell’infingimento-inganno, la “apate” dei greci antichi, come mezzo della propria rivelazione.

Riflessione estetica, critica per me su minuscola bica, s'intrecciano, condensa fusione – in me confusa Knabberchen ranocchia saltellante – sul terreno fiabesco e sacro ovvero spazio magico si direbbe, nel “temenos” sacrificale unito all’artificio.

Quest’ultimo, ricorrendo all’etimologia, è pure armonia ricomposizione, sottolineato con dialettica schellinghiana: coesistenza e intreccio tumultuoso di destino e volontà, di necessità (non dimentichiamo la storia a lato) e, ancor ribadito, consapevolezza.

Lo Schelling de L’idealismo trascendentale, che in seguito giungerà ad altri sviluppi con la Filosofia della Rivelazione, formula qui uno dei più speculativi pensieri, ontologici ed esistenziali, riguardo al fondarsi della creatività, dell’eroe eroina tragica in essa (ci aggiungo me) e come conseguenza al riconoscimento della molteplicità dei significati in un’opera (se prodotto autonomo diventa accessibile a tutte le coscienze, dunque il conservatore Schelling sta qui nel progresso comunitario) che travalica l’originaria ideazione estetica data dal pittore dal poeta e ci metto pure del fotografo.

Se così è, tu Fabio Nardi che conservi i miei taccuini, se mai li raccogliessi unitari con tue fotografie o scritti nati in duetto, noi, siamo eroina ed eroe tragici, probabile lo siamo; anzi certo bensì tu svicoli verso la commedia, poi stando accosto a me che meno rido, ti determino nel segno; se morissi il tragico diventerebbe la componente intenzionale della nostra nascosta estetica, ma quella inintenzionale, cioè svincolata da me da te, sarebbe altrettanto fondamento del tutto. Definendola per questo opera d’arte. Che pure vivrebbe anche di pochi righi, versi, pitture, foto rivelate.

Ricordalo qualora il Tragico mi ghermisse giovine come da regola greca.







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